Bellivienne, Paprika e Nocciolina: la storia di Roberto Arioldi

Il cavaliere lombardo – nonché c.t. della squadra azzurra – ha vinto il campionato dei cavalli italiani di otto anni e oltre in sella all’ennesimo prodotto del suo allevamento: Nocciolina della Loggia, figlia della straordinaria Paprika

Bologna, 9 ottobre 2017Una storia continua e ricca di successi, quella che Roberto Arioldi e Annina Rizzoli e il loro allevamento della Loggia ormai stanno scrivendo da molti anni a questa parte. L’ultimo tassello è stato aggiunto ieri a Cervia, quando Arioldi in sella a Nocciolina della Loggia ha vinto il campionato dei cavalli italiani di otto anni e oltre. Nocciolina è nata nel 2007 ed è una figlia di Lemato e di Paprika della Loggia, entrambi compagni di gara ad alto livello internazionale del cavaliere azzurro. Ma pur nel pieno rispetto della carriera e delle qualità di Lemato (Kwpn nato nel 1993 da Voltaire x Cor de la Bryère: che genealogia strepitosa!), è Paprika l’elemento straordinario di questa storia, una storia scritta quasi esclusivamente da femmine a partire da quella Bellivienne che per Arioldi è stata il passo iniziale sia per la carriera sportiva di cavaliere negli anni Settanta sia per quella di allevatore più tardi. Paprika è stata una garista fuori dall’ordinario con la quale Arioldi ha conquistato per ben tre anni consecutivi il titolo di campione d’Italia assoluto (1999, 2000 e 2001) oltre che numerose formidabili vittorie tra le quali spicca quella del Gran Premio dello Csio di Modena nel 2000. Proprio a seguito di quest’ultimo successo la nostra rivista Lo Sperone ha pubblicato il pezzo che ora qui riproponiamo: una lettura quanto mai opportuna per inquadrare l’ennesima affermazione di questa favolosa squadra: Roberto, Annina, Bellivienne e Paprika della Loggia. Nocciolina ripercorrerà il grande cammino di mamma e nonna? Il primo passo intanto l’ha compiuto al meglio…

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di Umberto Martuscelli

Questa piccola grande cavalla che sparisce dietro gli ostacoli prima e dopo averli saltati, questa cavallina che si avventa in gara con l’ardore di chi sapendosi piccolo è ben consapevole della grandezza del suo risultato, questa campionessa che si diverte a ridicolizzare gara dopo gara lo scetticismo di chi l’aveva sempre considerata buona solo per i campionati dei cavalli italiani, poi al massimo per i Gran Premi di Csi-C, poi al massimo per i Gran Premi e le Coppe delle Nazioni degli Csio dell’est, poi al massimo per il Campionato d’Italia e poi al massimo… al massimo… quale massimo? Qual è il limite per questa cavallina/cavalletta che da tre anni si diverte a dimostrare di non avere limiti, per questa pony un po’ cresciuta che sotto un diluvio da fine del mondo è riuscita a mettersi alle spalle cavalli e cavalieri che da anni monopolizzano podii e medaglie e classifiche dell’intero pianeta?

E questo cavaliere, questo nostro campione, questo ragazzo prossimo ai 45 anni che lavora duro e sodo da una vita, questo fabbricante di vittorie che sempre sono state considerate – come dire – un po’ di secondo piano, vittorie un po’ di provincia, ai margini del mondo che conta: tante, certo, in serie, certo, importanti, certo, ma lontano dai bagliori della ribalta di prestigio, estranee agli echi della stampa internazionale. Questo cavaliere che ormai fa parte del Dna della nostra equitazione ma che nonostante ciò è stato presente solo due volte in Coppa delle Nazioni a Piazza di Siena, questo cavaliere che per anni, decenni addirittura è stato il più vincente su ogni campo ostacoli d’Italia ma che poi al momento di decidere le squadre per i grandi appuntamenti internazionali è stato spesso ignorato, oppure sottovalutato, oppure ancora escluso, talvolta forse giustamente talvolta forse ingiustamente.

Ebbene, questa cavallina e questo cavaliere, Paprika e Roberto, Roberto e Paprika, hanno fatto vivere a tutto il mondo dell’equitazione azzurra un’emozione stordente. Uno di quei momenti per i quali si vorrebbero fermare le lancette dell’orologio, uno di quei momenti per i quali la ferrea legge dello sport – la più bella vittoria è quella che deve ancora arrivare – va bellamente a farsi benedire. E allora fermiamolo questo orologio, fermiamo le lancette alle ore 19.00 di domenica 11 giugno 2000. Duemila: un vero giro di boa, così come l’edizione di questo “Pavarotti International”, la decima. Numeri che sembrano fatti apposta per rendere indimenticabili il momento e il luogo di un trionfo indimenticabile.

Tutto comincia quasi trent’anni fa, quando il giovanissimo Roberto Arioldi sale alla ribalta delle cronache nazionali grazie ai risultati ottenuti in sella a una piccola cavalla baia, tale Bellivienne, figlia dell’angloarabo Arlequin. Arlequin è un vero capostipite: il grande padre di campioni Zeus, tanto per dire, è suo figlio. La madre di Bellivienne, Thina, invece è un’illustre sconosciuta. Bellivienne nasce nel 1967, è baia, è piccola, anche un po’ tozza. Arriva ad Arioldi perché il suo proprietario non riesce a montarla. Roberto è un ragazzino classe ’55, monta quello trova, si arrangia come può, non dispone di grandi mezzi, possiede solo una determinazione e una volontà d’acciaio. Inizia a montare Bellivienne.

Siamo nella prima metà degli anni Settanta, periodo durante il quale Piero e Raimondo D’Inzeo e Graziano Mancinelli e Vittorio Orlandi sono ancora al massimo dello splendore, reduci dai trionfi olimpici di Monaco ’72. Loro sono ovviamente il punto di riferimento per tutti, cavalieri come pure semplici appassionati; l’ortodossia tecnica è dunque pressoché totale: perfino Mancinelli ogni tanto viene criticato da chi considera un peccato mortale lo spostamento involontario della gamba in parabola, da chi valuta come eresia galoppare non sempre sollevati sull’inforcatura. Figuriamoci come può essere visto in questo contesto un ragazzetto un po’ arruffato che non guarda in faccia a nessuno, che sta zitto e vince, e che vince montando un po’ acrobaticamente questa cavalluccia di fascino zero. Povera Bellivienne: sparisce se la si confronta con la sontuosa maestosità atletica di Bellevue, con i lampi argentei di Ambassador, perfino con la normale presenza di Easter Light. Per giunta lei è francese in un momento in cui la Francia è ancora nulla in fatto di allevamento, o comunque non certo paragonabile all’Irlanda o alla Germania. I grandi campioni allevati Oltralpe devono ancora arrivare.

Intanto arriva lei, Bellivienne: e arriva in alto. Arioldi con il suo stile da autodidatta, con le sue gambe che vanno da tutte le parti, con le sue mani che pilotano la sua piccola compagna di gara come fosse una bicicletta passando dal garrese alle orecchie e dalle orecchie al garrese salto dopo salto, e però Arioldi con quel qualcosa in più che distingue il buon cavaliere dal campione, con il dono innato dell’equilibrio, con il senso della gara che gli scorre nelle vene al posto del sangue: Arioldi e Bellivienne vincono in Italia, debuttano in internazionale nel ’75, poi nel ’77 conquistano la medaglia di bronzo nel Campionato d’Italia (oro è Mancinelli con Ursus del Lasco) ed esordiscono in Coppa delle Nazioni. Ecco: inizia da qui la storia di una giornata speciale, la storia di questa meravigliosa domenica 11 giugno 2000.

Quando Bellivienne finisce la sua carriera agonistica viene messa in razza. Roberto Arioldi nel frattempo non è più un ragazzino che per entrare nei salotti buoni del salto ostacoli azzurro deve chiedere permesso: lui ormai sta seduto sulle poltrone più comode. Oddio, seduto per modo di dire: in realtà non sta fermo un attimo, la sua vita è un continuo lavoro, un continuo costruire, una perenne ricerca di affermazione e consolidamento. Lavoro, lavoro, lavoro: questo è il credo di Roberto Arioldi. In ciò sostenuto da una compagna che sposa non solo l’uomo, ma anche il cavaliere, le sue idee, i suoi principi, i suoi obiettivi e le sue priorità: Annina Rizzoli non è tipo da adagiarsi sulle morbide comodità di un cognome famoso, quello di una dinastia di editori di fama e prestigio internazionali, no, lei è decisa a costruire con il suo Roberto qualcosa che prescinda totalmente dalle sue radici.

Roberto e Annina decidono di essere non solo un marito e una moglie, ma anche una squadra, un vero e proprio team. Decidono che per vivere di equitazione non ci si può affidare agli estri a volte un po’ sballati di proprietari di cavalli che dei cavalli spesso ignorano persino il nome. No, loro decidono di farseli in casa, i cavalli. Danno dunque vita all’allevamento “della Loggia”, e Bellivienne ne diviene una delle fattrici base. Ma non è facile: per mandare avanti l’intera macchina ci vogliono soldi, soldi e ancora soldi. E allora ecco Roberto montare sempre, ovunque, a tutte le ore del giorno e della notte, sfruttando nel migliore dei modi questa sua innata dote di riuscire a cavare sangue dalle pietre, cioè risultati dai brocchi. Arioldi monta di tutto, a tutti i livelli, e con tutto vince: gare basse, gare alte, gare riservate, garine e garette e gare importanti. Diventa a suo modo anche un simbolo da taluni ritenuto negativo: quello cioè del cavaliere che privilegia la quantità rispetto alla qualità. Chi nello sport equestre ha il suo hobby non riesce a capire che Arioldi lo stipendio mensile se lo deve guadagnare concorso dopo concorso; i signorotti un po’ ricchi e un po’ snob che hanno sempre pensato che coppa e coccarda debbano essere la massima gratificazione sportiva non riescono e forse non vogliono capire che i cavalli a casa non mangiano coppe e coccarde; chi ancora considera il concorso ippico una palestra di riverenze e di aggraziate moine di gentiluomini e gentildonne che hanno buon tempo da perdere rifiuta la logica per cui i cavalli e la gara – la gara: nobile tenzone in cui misurare orgoglio e dignità – possano essere fonte di reddito.

Quanti cavalli mediamente monta in gara ogni anno Roberto Arioldi? Impossibile dirlo: questo è compito del pallottoliere. Ma tutti, dal più famoso al più derelitto, hanno il merito di far crescere l’attività dell’allevamento e dell’azienda agricola di Roberto e Annina. Un allevamento in cui Bellivienne è senz’altro la padrona di casa, mentre lo stallone base è Fougueux (ottimi trascorsi agonistici con Andrea Martini), un fratello pieno di quel Mokkaido con il quale Arnaldo Bologni ha costruito la sua carriera internazionale: entrambi sono di razza angloaraba, figli di Dionysos II e Sérénité, da Israel.

Paprika della Loggia, nata nell’89, è una delle sette figlie di Bellivienne, tre delle quali avute da Fougueux (Ortensia, Paprika e Quassia; le altre sono Tabata, Menta, Belle Epoque, più una morta presto). Bellivienne muore a 23 anni nel 1990 senza aver mai messo al mondo un maschio, unico rimpianto di Roberto e Annina. Ma che Paprika sia una cavalla fuori dalla norma diventa ben presto chiaro. La sua carriera agonistica comincia a quattro anni con il Premio Nazionale di Allevamento dove è prima ex aequo in attitudine; poi è seconda nel Campionato del Cavallo Italiano per i cinque anni, gara che vince a otto anni nel ’97.

E il ’97 è anche l’anno del suo consolidamento internazionale: argento a squadre ai Giochi del Mediterraneo di Bari, vittoria del Gran Premio dello Csio di Budapest, Coppe delle Nazioni a Zagabria e Budapest (2° posto in entrambe), Bratislava (3°), Mechelen (7°); la piccola Paprika vola anche oltre oceano per farsi ammirare dal pubblico dello Csio di Calgary, che la vede ottenere un 7° e un 13° posto in due gare a tempo. Il ’98 porta con sé le vittorie dei Gran Premi degli Csio di Zagabria e Budapest, il 2° posto in Coppa delle Nazioni a Linz. E Linz sarà nel ’99 teatro di una grande impresa: Roberto Arioldi e Paprika della Loggia vincono Gran Premio e Coppa delle Nazioni! Poi ancora il 3° posto nel Gran Premio e nella Coppa delle Nazioni degli Csio di Washington e Poznan, il 6° posto in Coppa delle Nazioni a Rotterdam e Madrid, il 7° a Dublino. Ma soprattutto il debutto in Coppa delle Nazioni a Roma, in assoluto la prima a Piazza di Siena nella pur già lunga carriera di Roberto Arioldi: l’Italia è terza, Paprika autrice di una prestazione magistrale, chi dubitava della capacità della piccola figlia di Bellivienne (noi per primi, ammettiamolo) di confermarsi nelle grandi gare internazionali costretto a ricredersi. Senza dimenticare il Campionato d’Italia: Roberto Arioldi vince il suo secondo scudetto tricolore e poi anche il terzo (quest’anno) con la sua piccola grande Paprika.

Questa meravigliosa domenica 11 giugno 2000, dunque. Pensate: aver visto nascere questa cavallina, averla toccata, accarezzata, manipolata quando non era ancora più grande di un cane, averla vista crescere nei paddock di casa, poi un giorno averle messo per la prima volta la capezza, poi per la prima volta un fascione, poi ancora averla domata, girata alla corda, montata, addestrata, fatta salire sul van, il primo salto, il primo percorso, la prima trasferta, la prima gara… E poi insieme a quella cavallina vincere uno dei Gran Premi più prestigiosi del mondo, conquistare il successo più importante di una carriera trentennale. Sembra una favola, una di quelle favole che ti costringono a tenere il fazzoletto a portata di mano: ma invece è la realtà, è la realtà che si sono costruiti Annina e Roberto Arioldi insieme ai loro cavalli, Bellivienne, Fougueux, Paprika e anche tutti gli altri che hanno portato risorse e successi, una costruzione lenta, paziente, faticosa ma incessante. Pensateci: non è una storia bellissima?