Akhal-Teké, il Celeste

Ciò che più distingue l’Akhal-Teké è il suo carattere: fiero, riservato con gli estranei, ha bisogno di instaurare un forte rapporto di fiducia col suo cavaliere

Bologna, 26 gennaio 2018 – Aprite un dizionario etimologico e cercate la definizione per l’aggettivo ‘celeste‘.

Leggerete: che appartiene al Cielo, viene da Dio, straordinario ed eccellente.

In poche parole (e nemmeno influenzate dai nostri entusiasmi equestri) c’è tutto l’Akhal-Teké, erede moderno del ‘Celeste Cavallo‘ allevato in Asia Centrale nell’antichità: erano i Davantsy, ricercatissimi dagli Imperatori cinesi che mandavano addirittura speciali spedizioni militari per impossessarsene.

Questi Davantsy assieme ai cavalli persiani e turcomanni hanno formato il patrimonio genetico di quello che noi oggi conosciamo come Akhal-Teké, quanto di più simile a un cavallo divino si possa immaginare: estremamente fine e sottile nella linea, alto sulle gambe, con uno speciale riflesso metallico ad impreziosirne ogni mantello ma che rende i sauri dorati di una bellezza mistica, così particolare nel portamento dell’incollatura – testa alta, collo di cervo – che per le altre razze è un difetto ma rende lui regale, e unico.

Anche le leggende sulle sue origini sono tinte d’azzurro e raccontano di cavalli che nascevano dal mare e avevano le ali per volare nel cielo, più veloci di una freccia.

La vera storia della razza non è meno eccezionale: originari dell’odierno Turkmenistan, territorio quasi per intero occupato dal deserto del Karakum e stretto tra mar Caspio, Kazakistan, Uzbekistan, Afghanistan e Iran gli Akhal-Teké sono considerati la più antica razza al mondo, addirittura tra i progenitori del moderno Purosangue Arabo perché è sopratutto da queste zone che arrivavano in Arabia i cavalli che, nel sesto secolo dopo Cristo, avrebbero generato l’Asil.

Questo lembo di Asia Centrale è sempre stata terra di conquista da parte di popoli strettamente legati al cavallo sia per necessità guerresche che per conseguente passione di vita: i Parti avevano la loro capitale, Nisa, a soli 10 km. da Ashgabat e il loro cavalli erano descritti come «…degni di Re potenti: di grande presenza, dai movimenti morbidi sotto il cavaliere, facili e obbedienti al morso, molto orgogliosi nel portamento della testa mentre la gloria del sole gioca con le loro criniere d’oro».

Ai parti seguirono gli arabi, poi i mongoli e quindi i turcomanni: tutti guerrieri famosi per la loro abilità in sella.

Il nucleo fondamentale della razza è stato per secoli in mano ai Teké, una tribù di guerrieri Turkmeni il cui territorio comprendeva l’oasi di Akhal.

I Teké erano un popolo libero, coraggioso e orgoglioso; per loro il cavallo valeva più delle mogli, dei figli o della loro stessa vita. Ogni yurta (la tenda delle popolazioni nomadi asiatiche) proteggeva uno o due di questi soggetti e alla nascita il puledro veniva tenuto in braccio per ore dal proprietario, il cui odore gli si fissava così nella memoria. L’uomo cresceva più che un destriero un vero amico, con il quale il legame era particolarmente forte ed esclusivo: il cavaliere dedicava al cavallo cure, tempo ed attenzioni e questi lo ripagava con tutta la sua dedizione.

Si racconta di guerrieri morti in battaglia il cui destriero continuava a combattere il nemico vicino al cadavere del suo cavaliere, mordendo e calciando: e anche oggi l’Akhal-Teké è il cavallo di un solo padrone, con un carattere fiero e sensibile che non accetta chiunque voglia considerarlo suo per un semplice (e un po’ volgare) diritto di proprietà.

Sino a metà del XIX secolo la purezza della razza è stata preservata da due importanti fattori: il primo è stato l’isolamento geografico del Turkmenistan, isolato ad Ovest dal mar Caspio, a sud dalle catene montuose e per il resto dal deserto del Karakum; il secondo il fatto che non c’era nessuna necessità di incrociarlo con le razze provenienti dai paesi vicini, tutte molto inferiori come qualità.

Era lui il più veloce, il più alto, il più resistente, il migliore in assoluto sotto tutti i punti di vista. Ma nel 1865 il khanato di Khiva e quello di Bukhara (che controllavano il territorio turkmeno) diventarono stati-vassalli dello zar prendendo il nome di Turkestan, e i russi all’inizio del ‘900 non resistettero alla tentazione di modernizzare i Turcomanni Teké (come vengono chiamati nei testi dell’epoca) introducendo sangue Arabo e Purosangue Inglese.

Ci vollero trent’anni perché tornassero sui propri passi, ma nel 1932 l’amministrazione sovietica tornò ad allevare utilizzando solamente stalloni AT puri.

Nel 1973 esclusero dalla riproduzione selezionata tutti i soggetti con più di 1/16 di sangue arabo o inglese: rimasero 427 giumente e 89 stalloni con una bassa percentuale di sangue straniero ma ottime caratteristiche di razza, e solamente 28 femmine e 3 stalloni veramente puri.

Un numero esiguo, decimati com’erano dalla riforma agraria di Stalin durante la quale gli AT erano destinati al macello e scambiati con i trattori: le popolazioni turkmene si rifiutarono però sempre di cibarsi della loro carne, e lasciarono liberi i soggetti migliori sperando che potessero sopravvivere allo stato brado.

Nel 1939 in Russia c’erano diciassette milioni di cavalli, oggi solamente cinque milioni.

E di questi cinque milioni solo tremila soggetti sono Akhal-Teké: ma hanno doti talmente al di sopra della norma che permettono loro di avere risultati eccezionali in molte discipline sportive. Il caldo torrido del deserto e le sue notti gelide, le steppe immense, le battaglie hanno selezionato un cavallo resistentissimo, secondo soltanto al Purosangue Inglese come velocità.

Ma nulla della sua forza va a scapito dell’eleganza: Absent, uno stallone morello nato nel 1952 in URSS e dichiarato miglior rappresentante della razza nel 1958, vinse la medaglia d’oro nel Dressage sotto la sella di Sergei Filatov alle Olimpiadi di Roma nel 1960, due medaglie di bronzo a quelle di Tokio 1964 e una d’argento a Città del Messico nel 1968, montato da Ivan Kalita.

Venne proclamato cavallo del secolo, eppure non era nemmeno facile da montare: Filatov riusciva a non stancarlo del lavoro quotidiano (che annoiava a morte Absent) sminuzzando le figure da perfezionare in un programma di lavoro molto lungo e articolato.

Le discipline in cui un AT può dare il meglio sono l’endurance, il salto ostacoli e le corse oltre che, naturalmente i trekking: l’AT ha andature estremamente morbide e comode per il cavaliere ed è dotato di molta stamina, la capacità di sostenere prolungati sforzi fisici.

Nel 1935 un gruppo di cavalli Akhal-Teké e Iomud (anche questi con sangue turcomanno nelle vene) coprirono i 4300 km. che separano Ashkabad (capitale del Turkmenistan) da Mosca in 84 giorni, compresi 360 km. di deserto traversati in tre giorni e senza acqua.

Tra di loro c’era anche Arab, il padre di Absent: campione di salto ostacoli, detentore del record di salto in altezza nel 1936 con 2,12 m. e che nel 1945 fu uno dei protagonisti alla Sfilata per la Vittoria sulla Piazza Rossa.

Ma ciò che più distingue l’Akhal-Teké è il suo carattere: fiero, riservato con gli estranei, ha bisogno di instaurare un forte rapporto di fiducia col suo cavaliere.

Senza questo perde l’interesse al lavoro e anche alla vita. «Gli Akhal-Teké scelgono da soli il padrone», ci ha spiegato Iztok Humar, un istruttore sloveno di dressage grande amante degli AT « non si comprano con una zolletta di zucchero e se non ci vogliono è meglio lasciar perdere perché non conquisteremo mai veramente la loro obbedienza. Ma se guadagneremo la loro fiducia allora sarà per sempre, fino alla morte e sopportando qualsiasi cosa».

Ancora oggi come i coraggiosi cavalli dei guerrieri Teké, laggiù nel deserto del Turkmenistan.

Absent e Filatov alle Olimpiadi di Roma: video da guardare e riguardare per la bellezza del movimento dei cavalli da dressage ai tempi, e sopratutto quella parte di video dove si vede un foglio di giornale che vola sotto i piedi di quella bomba di energia che era chiaramente Absent….che ha continuato a lavorare impassibile, senza nemmeno piegare un orecchio (dal minuto 9 e 13”). Magistrale.

Preziosi come gioielli

Per i tradizionali finimenti festivi turkmeni argento e pietre dure si usano senza risparmio: piastre e guinzaglio oggi sono solo una decorazione ma rimandano l’eco lontana dei tempi passati, quando proteggevano il collo e il torace del cavallo durante la battaglia. Oltre a questi l’Aladzha orna sempre l’incollatura degli Akhal-Teké: è una cordicella colorata di peli di cammello usata come talismano, cui spesso è legato un amuleto con parole del Corano.

Occhi d’aquila e mantello di seta

La silhouette del”AT è inconfondibile: alto sulle gambe, incollatura rovesciata, testa portata alta e così lungo di schiena da sembrare scarso al giro di cinghie, gli occhi dal taglio orientale, la lucentezza del mantello i cui peli cavi riflettono la luce in modo unico, la pelle fine e le orecchie vive, attente: tutto in lui è disegnato in modo elegante, asciutto, essenziale. L’aspetto ascetico, da levriero dei soggetti più tipici era dovuto anche all’alimentazione, poverissima di fieno e molto concentrata (grasso di montone misto a uova, burro e semi oleosi) e al sistema di allenamento: prima di mettere i cavalli in lavoro, in Asia Centrale c’era l’abitudine di alleggerirli del peso in eccesso facendoli sudare copiosamente: venivano legati al sole con addosso molte coperte (fino a sette), alla sera governati con ogni cura e poi abbeverati, nutriti e lasciati riposare al fresco, asciutti e puliti.

I Teké che hanno fatto le altre razze

Sbrigativamente indicati come cavalli ‘turchi’, molti soggetti entrati nella storia come padri storici dei PSI sembra potessero essere, in realtà, turcomanni: Byerley Turk e Darcy Yellow Turk sarebbero in questo caso il legame tra moderni PSI e AT. Storicamente certo invece l’influsso Teké nella razza Trakehner grazie al capostipite Turkmen-Atti, e nelle razze Don, Orlov, Karabak, Lokai, Kabardin e Iomud. Nel Purosangue Arabo si ritiene particolarmente evidente l’influenza dei cavali persiani e turcomanni nel tipo M’uniqi.

Parenti stretti

Poco più di tremila soggetti: è questa la consistenza attuale della razza, salvata nella metà del secolo scorso da zootecnici appassionati come Maria Cerkezova e Vladimir Shamborant, Evidente il fortissimo rischio di eccessiva consanguineità: oggi sono rappresentate in razza diciotto famiglie,di cui dodici discendono dal magnifico Boinou, un piccolo ed elegante sauro dorato nato nel 1885 ma grande sia in corsa che come padre. Gli allevatori devono quindi scegliere con molta cura gli incroci di sangue per evitare una serie di problemi genetici che potrebbero evidenziarsi nei prodotti, tra cui sindrome di Wobbler e criptorchidismo.