Da dove viene la carne equina che mangiamo?

Da dove viene la carne equina che mangiamo? Il servizio de Le Iene di Mediaset in collaborazione con Italian Horse Protection del 2 maggio ha messo in luce le falle del sistema, la scarsità di controlli e una vera e propria filiera criminale

Bologna, 3 maggio 2017 – La storia della cavalla Ieri Roby, raccontata ieri sera in un servizio de Le Iene andato in onda su Italia1, è la storia di migliaia di cavalli che ogni anno escono dai circuiti dell’utilizzo ludico-sportivo per andare a finire al mattatoio. In questo caso, la storia di una ragazza che in perfetta buona fede aveva cercato una sistemazione per la sua cavalla, scoprendo poi che in realtà era finita nelle mani di un macellaio.

L’Italia è il Paese europeo che macella più cavalli, sebbene i dati forniti siano molto contraddittori: nel 2016, secondo il Ministero della Salute, sarebbero stati macellati 50.123 equidi, mentre secondo l’Istat 42.793. Questi numeri così diversi ci danno l’idea della totale incertezza nella raccolta dei dati presso i mattatoi: incertezza dovuta a falle nella normativa e a controlli non adeguati sulla filiera.

Andando più nel dettaglio, sappiamo che quasi la metà dei cavalli macellati proviene dall’estero, in particolare Polonia e altri Paesi dell’est Europa; e che i cavalli allevati appositamente a scopo di macellazione sono stimati in poche migliaia ogni anno. Tutti gli altri, e quindi una cifra che ragionevolmente oscilla tra i 15.000 e i 25.000, non possono che provenire dai circuiti dell’ippica e delle varie discipline equestri in cui i cavalli sono impiegati.

Animali che, quando non sono più utilizzabili perché iniziano a essere anziani o perché non sono più “performanti”, evidentemente rappresentano solo un peso che nessuno vuole più: né il proprietario, che non è disposto a mantenere un cavallo “senza farci nulla”, né eventuali centri ippici o privati che non potrebbero “usarli”.
E’ qui, nel concetto di uso, che purtroppo risiede il destino di moltissimi cavalli nel nostro Paese: sebbene sempre più persone oggi li considerino animali d’affezione, da curare e rispettare anche nella vecchiaia, purtroppo la maggior parte li vede solo sotto forma di impiego. Cessato l’impiego, bisogna darlo via in qualche modo.

E qui entra in scena uno dei paradossi riservati dalle nostre leggi agli equidi, l’unica specie animale sottoposta sia alle normative sugli allevamenti e sulle produzioni zootecniche, sia a quelle sugli animali d’affezione. Ogni singolo cavallo, per la normativa, deve essere dichiarato dal proprietario DPA oppure NON DPA: nel primo caso può essere destinato alla macellazione (DPA = Destinato alla Produzione Alimentare), mentre nel secondo caso non potrà mai finire la sua vita in un mattatoio ma dovrà essere accudito fino a morte naturale (o eutanasia, possibile solo per evitare gravi sofferenze date da una malattia o da un incidente).

Attenzione: questa scelta imposta per legge non ha alcuna base etica, perché la sua ragione risiede nella futura possibilità di somministrazione dei farmaci. Per un cavallo DPA i controlli sull’uso dei farmaci sono molto più stringenti, ci sono dei tempi di attesa da rispettare e alcune molecole non si posso usare. Per un NON DPA non c’è ragione di porre queste limitazioni, visto che per legge quell’animale non potrà mai essere macellato per il consumo delle carni.

Da quanto detto, si deduce facilmente che per il proprietario di un cavallo a uso sportivo è molto più conveniente dichiararlo NON DPA, in modo da poter curare eventuali patologie senza troppi problemi e senza troppi controlli. Ma che succede quando il cavallo diventa anziano o si infortuna seriamente, il proprietario non trova nessuno a cui darlo e non può nemmeno mandarlo al macello perché è NON DPA? In teoria, responsabilmente, dovrebbe mantenere l’animale per il resto dei suoi giorni senza poterlo usare. Invece, nella pratica, si trova spesso un modo per eliminarlo, sfruttando le falle normative, la scarsità di controlli e una vera e propria filiera criminale che riesce a far sparire il cavallo nel nulla.
Ad esempio, basta far partire il cavallo con un documento di trasporto che reca una fantomatica destinazione, esistente solo sulla carta, che serve solo per giustificare il trasporto: in realtà il cavallo viene portato clandestinamente in qualche capannone o pseudo allevamento, in attesa di essere portato in un regolare mattatoio al momento opportuno (e cioè quando non ci sono veterinari in servizio) oppure in un macello abusivo.
Una delle conseguenze, accertate dalle ormai numerose inchieste giudiziarie, è introdurre in commercio carni di cavalli contaminate da farmaci assunti durante il loro impiego sportivo.

«La vicenda raccontata nel servizio de LE IENE non è un caso isolato, anzi è una delle modalità con le quali si fanno sparire ogni anno migliaia di cavalli che non servono piùdichiara Sonny Richichi, Presidente di IHPSuccede per colpa di una normativa sull’anagrafe inconsistente, di controlli inadeguati, di collusioni e di interessi commerciali da parte di molti addetti ai lavori. Infatti da tempo chiediamo una profonda revisione dell’anagrafe equina, nuove norme per una tracciabilità trasparente dei cavalli e controlli maggiormente orientati alla tutela degli animali, oltre che uno stop alla macellazione degli equidi. Ma quello che più di tutto deve cambiare e in fretta è la cultura della maggior parte dei proprietari di cavalli, che vedono nel loro uso la sola ragione per averli. Finché questa mentalità non cambierà, ogni anno continueranno a esserci migliaia di cavalli dismessi che nessuno potrà accogliere. Di fatto oggi come oggi la macellazione dei cavalli è una comoda valvola di uscita per tanti».

GUARDA IL SERVIZIO DE LE IENE – MEDIASET – CLICCA QUI –

 

Comunicato Stampa Italian Horse Protection