Giulia Martinengo Marquet e Verdine: ti ho voluto, mi hai sorpreso

Una stagione favolosa: così la campionessa d’Italia descrive la prima parte del suo 2018, vissuta in sella a una cavalla divenuta quello che non sembrava possibile…

Bologna, 26 luglio 2018 – Nella storia del salto ostacoli azzurro solo tre amazzoni sono riuscite a vincere il titolo di campione d’Italia assoluto. Ma di queste tre solo una due volte: lei, Giulia Martinengo Marquet.

Che senso ha avuto questa seconda vittoria?

«Un valore enorme, emotivo soprattutto. Non tanto per il titolo in sé, al quale ovviamente non tolgo nulla, ma il fatto è che… Allora, io ero convinta di fare nel 2018 una stagione abbastanza sottotono con l’infortunio di Fine Edition e una sua convalescenza complicata che si è dilungata moltissimo, e quindi sono sincera: pensavo di dovermi occupare di Princy e non contavo proprio di fare affidamento su Verdine, e non solo per scaramanzia. Speravo che Verdine tornasse in salute sportiva, ma non pensavo svoltasse così, perché prima che si infortunasse… ».

Ecco, l’infortunio di Verdine. Quando?

«Estate del 2016. L’ho ripresa nell’estate del 2017, proprio in questi giorni ma un anno fa. Poi le ho fatto fare un po’ di percorsi fuori gara nelle prove per i cavalli giovani, e pian piano si è rimessa a posto. Chiaramente ero molto felice di sentirla in salute ma non facevo su di lei alcun affidamento di tipo agonistico. Prima dell’infortunio aveva fatto solo un paio di concorsi positivi, l’ultimo in Spagna a La Coruna dove aveva saltato straordinariamente bene, però per me quello rimaneva non dico un episodio ma… niente di più di un concorso ben fatto. Poi la magia è stata subito interrotta dall’infortunio, quindi… ».

Ma perché non faceva alcun affidamento su di lei? Cosa pensava di Verdine fino a prima dell’infortunio?

«Chiaramente se l’abbiamo comprata era perché ci piaceva molto e nella prova che avevo fatto a 7 anni sembrava davvero speciale. Ma per un lungo periodo questo suo essere speciale ha remato contro il cavaliere: Verdine aveva molta personalità, un sangue quasi esagerato, un sistema di salto non classico che peraltro conserva ancora adesso».

Quindi cosa sentiva di positivo in lei?

«Grandi mezzi, un sangue infinito e un coraggio infinito, sempre stata una grande guerriera: però risultati poco o niente. Spesso percorsi complicati, non belli da vedere… ».

Ma riteneva che con l’andare del tempo i problemi si sarebbero risolti oppure pensava che fosse una causa persa?

«Diciamo che Stefano (Cesaretto, marito di Giulia, n.d.r.) e io eravamo gli unici che continuavano a sentire qualcosa. Dicevamo se gira, se matura, se gira nel verso giusto… Verdine ragionava poco, ecco, mettiamola così. Molto coraggiosa, io arrivavo alla fine di qualunque percorso, ma quanto a ragionamento… poco. Molto poco. Quindi spesso un errore o magari due, del tutto a prescindere dall’altezza della gara, non era quello il problema. Beh, se devo essere sincera a un certo punto ci siamo detti oddio, rischia di essere uno di quei cavalli né carne né pesce perché sì, mezzi, ma saltando sul grosso è troppo complicata, competitiva, sì, ma dopo si scaldava, e quindi… a un certo punto non eravamo contentissimi del suo acquisto, non felicissimi, devo riconoscerlo».

E poi? Sarà scattato qualcosa… successo qualcosa, no?

«Sì, infatti, e forse fa un po’ ridere… Perché a un certo punto ci siamo anche detti che forse a disturbarla potesse essere l’imboccatura e così abbiamo messo l’hackamore un po’ per caso, così, come una delle tante cose possibili e… beh, sembra un po’ amatoriale da dire, ma c’è stata la svolta. È stato così. Verdine con l’hackamore ha veramente trovato la svolta. Solo che ha potuto dimostrarlo soltanto due volte prima dell’infortunio».

Lei ha vissuto la svolta di Verdine con la consapevolezza che i problemi fossero davvero risolti?

«Io ho sentito la cavalla cambiata, ma la cosa meravigliosa tipica dei cavalli di classe e intelligenti è che quando l’ho ripresa dopo l’infortunio nonostante fossero passati dodici o forse addirittura quattordici mesi, non mi ricordo, è che l’ho ritrovata esattamente come e dove l’avevo lasciata. Come se quei quattordici mesi non fossero passati. Non ho dovuto ricominciare o riprendere qualcosa. Lei era rimasta lì, ad aspettare».

Per questo diceva del valore emotivo che ha rappresentato la vittoria del Campionato d’Italia?

«Certo. Se in quell’occasione non ho montato Princy è stato per un mero problema di coscienza. No, ci siamo detti, un campionato ad aprile dei 9 anni con un cavallo che l’anno precedente faceva le 135 a Manerbio non è giusto, è prematuro. Verdine ne ha comunque anagraficamente 11 anche se uno perso, quindi vado con lei. Questo è stato il ragionamento che mi ha portato a fare il Campionato d’Italia con Verdine e non con Princy. E sì che tra gennaio e aprile Princy ha fatto più Gran Premi di Verdine, proprio come numero, tre a Oliva, due ad Arezzo, quindi era più avanti come quantità di gare grosse, però ci siamo detti no, alt, aspettiamo, magari rischiamo di fare un danno. Monto Verdine e vada come vada. E poi è andata come sappiamo».

Quindi da una stagione che si aspettava sottotono è arrivata la vittoria del Campionato d’Italia e della Coppa delle Nazioni di Roma! E non è ancora finita…

«Davvero… Si sa come vanno queste cose, poi. L’andamento di Verdine ha permesso a una cavalla come Princy di partecipare a concorsi di livello importante, quindi di crescere fino a poter fare bene un concorso difficile come il cinque stelle di Ascona, per esempio. Diventa tutta una crescita quando si riesce a stare a livello: fa bene al cavaliere e fa bene alla scuderia di quel cavaliere. Se non ci fosse stata Verdine, Princy l’avrei portata in giro per l’Italia a fare i due e i tre stelle, niente mi avrebbe spinto all’estero o comunque verso concorsi di alto livello sportivo e agonistico. Invece così Princy sta diventando una cavalla fantastica per il futuro, e Verdine mi sta tenendo nei giochi. E inoltre le due cavalle mi stanno permettendo di non prendere alcun rischio nel gestire i tempi della convalescenza di Fine Edition, cosa che peraltro non sarebbe mai accaduta: però adesso c’è ancora più tranquillità. Funziona tutto, quando si hanno dei cavalli così».

Fine Edition è un cavallo importante. È già possibile prevedere il momento del suo rientro?

«Direi di sì: sarà a novembre in gare piccole, come ho fatto con Verdine, per poi fare Oliva in Spagna a inizio del 2019. Per lui si parla di infortunio, ma non è esatto. Stefano un giorno mi ha detto: ti rendi conto, un cavallo che sulla carta starà fuori dallo sport un anno intero e che non è stato zoppo nemmeno un giorno. Ed è vero! Fine Edition aveva una bruttissima schinella che in due evoluzioni diverse si è incrociata con ditino e sospensore eccetera, per cui è stato necessario intervenire chirurgicamente due volte perdendo un sacco di tempo, ma lui zoppo non è stato mai, questa schinella per dire ce l’aveva anche a Calgary dove ha fatto una prestazione favolosa. Però a un certo punto è stato necessario prendere un provvedimento perché altrimenti si potevano correre dei rischi, e poi la cosa si è rivelata un po’ più complicata… Ecco. Ma in realtà non c’è mai stato un infortunio in senso proprio».

A proposito di cavalli. Ce n’è una cospicua serie che lei e suo marito Stefano avete valorizzato e poi venduto, ma nessuno di questi è poi rimasto al livello raggiunto con lei, tanto meno migliorando: Galan, Uncanto di Villagana, Istafan Sissi, Funke van het Heike…

«Mah… secondo me per tutti ci sono storie diverse e ragioni diverse».

Non c’è un comune denominatore quindi? Del tipo che nessuno sia riuscito a montarli come aveva fatto lei, che li aveva formati?

«Non lo posso dire io, direi che non è giusto che lo dica io».

Tra tutti questi cavalli ne rimpiange qualcuno in particolare?

«All’inizio ho avuto dei grossi rimpianti per Galan. Sembrava che saremmo riusciti a trattenerlo, ma poi come si fa, ci si arrende… In quella vicenda quello che mi ha dato fastidio è stato il meccanismo. Poi maturi e smetti di avercela con il meccanismo, perché alla fine è così, e funziona così. Siccome a me piace così tanto questo sport che è una delle mie ragioni di vita, allora… non si possono non accettare le regole del gioco. In questo momento le regole del gioco sono che vince chi ha più disponibilità e più mezzi. Sono regole del gioco fatte da altri, ma ciò non toglie che questo sport sia l’amore della mia vita e quindi c’è tutto e niente da recriminare. Però mi piace da morire che ci sia uno come Steve Guerdat che si schiera in prima persona contro questo sport così eccessivamente venduto… ».

E quindi non c’è il rischio che anche Verdine…

«No. Verdine non sarà mai venduta. Questo io lo so e mi fa stare bene. E anche Fine Edition. Anche perché in entrambi ci sono queste macchioline degli infortuni che giocano a mio favore! Il fatto è che spesso per noi italiani che siamo rimasti in Italia le cose devono funzionare con quello che c’è: bisogna approfittare di tutte le conoscenze e di tutte le capacità per far funzionare i cavalli che abbiamo, spesso per mancanza di alternative. Funke, per esempio: sembrava totalmente inadatta a me, ma quello avevo… E con Verdine ci sono stati davvero dei momenti in cui volevamo gettare la spugna, ma tanto chi se la sarebbe presa… E quindi ci lavori su con determinazione e impegno al massimo delle possibilità».

Parliamo della Coppa delle Nazioni di Roma. Domanda banale e scontata: che cosa ha provato quel giorno?

«Ah… cosa posso dire. La gioia della vita. Il sogno della vita. Perché non è come vincere un Gran Premio, come ottenere un grande risultato individuale come per la maggior parte delle volte individuale è il nostro sport, no: è stata un’emozione condivisa tra di noi di una forza totale, pazzesca».

Alla vigilia lei però aveva qualche tentennamento, non era sicura che per Verdine fosse ideale vivere il debutto in Coppa delle Nazioni proprio a Roma…

«Beh, per noi italiani non è certo la più semplice delle Coppe delle Nazioni… Poi io sono entrata in squadra in punta di piedi… insomma, non ero di certo una prima scelta».

Primo giro, zero penalità…

«Troppo felice, felice di sentire la cavalla così, felice di aver dato il mio apporto anche perché in Coppa non vorresti mai essere il punteggio da scartare, almeno per una con il mio carattere è così… e poi Roma è Roma, e poi la favola di questa cavalla che da brutto anatroccolino è diventata una star, mi ha fatto vincere il campionato d’Italia, poi la Coppa delle Nazioni a Piazza di Siena… ».

Bruno Chimirri e Luca Marziani hanno sottolineato molto il valore e il senso dello spirito di squadra. Ma sono le cose che si dicono quando si vince e va tutto bene oppure… ?

«No no è verissimo. In qualche modo che noi fossimo una squadra… insomma, senza vittimismi inutili bisogna riconoscere che forse sembravamo un po’ una squadra di serie B… Lasciamo stare che Luca Marziani è super affermato, che Bruno Chimirri è il super cavaliere che tutti conosciamo, però rispetto all’anno scorso sembravamo davvero una squadretta: senza Casallo , senza Ensor, senza Fair Light… e poi anche Cornetto… beh, insomma sembravamo un po’ l’armata Brancaleone e continuavamo a chiamarci proprio così. In realtà non è giusto definirci così, anzi è proprio sbagliato: Luca è da tre anni che lavora al meglio con il suo cavallo e da due anni è ad altissimo livello, Bruno non ne parliamo, quindi man mano nel tempo si mette a punto tutto… È come dire la mia stagione quest’anno con Verdine: sono sicura che l’anno prossimo potrò fare di meglio perché c’è quell’errorino che improvvisamente verrà via. E non riesci a toglierlo subito: tra fare zero o quattro la differenza è che lo devi fare… Certo che vedi e capisci che puoi fare zero ma non si riesce subito, perché devi fare il periodo del quattro, poi arriverà il periodo dello zero. Pensiamo a Tokyo: non faceva tutti i netti che fa adesso, adesso sembra infallibile. Bruno ha capito ancor più di prima come gestire il suo cavallo in modo che sia sempre fresco e contento senza nemmeno star qui a dire quanto bene monti lui. Emanuele Gaudiano: la suspence e tutto quanto, ma intanto la sua zampata con un netto al primo giro… e Dio sa se ha fatto fatica più di noi… l’ha data. Quindi questa Coppa è stata forse particolare, l’abbiamo sentita molto nostra: tutti cavalieri che stanno in Italia tranne Emanuele, ma senza grandi scuderie alle spalle, tutti con la farina del nostro sacchetto, tutti con il nostro cavallino tirato su e via».

Anche perché per lei oltre alla bellezza, all’emozione eccetera… per lei il risultato conta molto, no?

«Ah, conta tantissimissimissimissimo! Conta più di ogni cosa, in verità. Io non sono molto romantica: il fine è la gara, è la prestazione sportiva. Per fare un esempio, a me piace da morire lavorare con i cavalli giovani, ma anche in quel caso c’è un obiettivo da raggiungere, che è la crescita sportiva, che è portare i cavalli in gara come momento di verifica. È il nostro lavoro. Anche con i giovani c’è l’adrenalina della gara, l’attenzione nel verificarne l’evoluzione da un concorso all’altro. Non ci sarà l’emozione del cinque stelle o della Coppa delle Nazioni vinta a Roma, ma anche lì c’è l’obiettivo. La prima cosa, la primissima è quella: l’obiettivo».

Gare, quindi. Che l’anno prossimo noi si possa fare un certo tipo di concorsi e dunque di gare dipende dalle due prossime Coppe delle Nazioni a Hickstead e a Dublino, dove ci giochiamo la permanenza nella Prima Divisione d’Europa.

«Eh sì. Dobbiamo rimanere in Prima Divisione. Certo. Per tutti noi esclusi Piergiorgio Bucci, Lorenzo De Luca e Alberto Zorzi, per tutti noi che non abbiamo l’occasione di poter fare il Global Champions Tour ogni singolo concorso a cinque stelle diventa preziosissimo. Un tesoro».

Lei come la vede?

«Se devo essere sincera io sono fiduciosa. Secondo me siamo in una situazione certamente non sicurissima, ma insomma… A Hickstead ci sono cavalieri forti e cavalli buoni. Poi ci sarà la cartuccia da sparare a Dublino dove credo che si possa fare bene. Parlavo proprio qualche giorno fa con Luca Marziani della nostra Coppa delle Nazioni di Falsterbo: quello è stato un quarto posto sulla carta, ma lo score è identico a quello dei vincitori… Non è che abbiamo fatto quarti a tre barriere dal primo… Abbiamo fatto quarti a due secondi dal primo, lo score è identico a quello dei primi tre. È questa la cosa che conta per il livello. Per i punti è chiaro che ci ha messo un po’ nei pasticci, ma per il livello no… ».

Lei sarà in squadra a Dublino insieme a Luca Marziani, Piergiorgio Bucci, Lorenzo De Luca, Bruno Chimirri…

«Sono carica più che mai, considerata la composizione della squadra. Lorenzo quasi non importa che cavallo monti, è un fenomeno. Tokyo e Tower non ne parliamo. Piergiorgio ha un cavallo di nove anni ma è navigato come uno molto più maturo viste le sue esperienze nel Global, visto il livello cui riesce a partecipare… E Verdine è in forma, il peggio che abbia fatto è un errore… ».

Insomma, lei è contenta.

«No, direi felice. Sta andando tutto bene… Io cerco di programmare tutto il più possibile, ma poi le emozioni vanno vissute alla giornata. Questa è per me una stagione fantastica. Facciamo concorsi che una settimana possono andare benissimo e la settimana dopo un po’ meno, ma bisogna prendere una certa distanza e chiedersi: ma in assoluto che stagione è? La mia risposta è che questa per me è una stagione strepitosa. Fantastica.  Potrei mettere un punto oggi 26 luglio e raccontarla come la mia più bella stagione agonistica. Al di là dei periodi fatti con Athletica, pur meravigliosi: però adesso ho la maturità per mettere più a fuoco le cose, sono un po’ più consapevole e quindi mi godo le cose di più e meglio. È una stagione favolosa non solo per i risultati, ma anche per una serie di cose che si sono incastrate al meglio e che rendono felici non solo Stefano e me, ma anche un intero gruppo di collaboratori. Pensiamo al recupero e alla ripresa di Verdine: c’è stato un intero staff di persone che ha lavorato su di lei e su questo progetto, e dunque vederla vincere a Roma è stata una gioia immensa per tutti. Perché noi facciamo i nostri due minuti di gara pensando che ci siano solo il cavallo e il cavaliere, invece più che mai il nostro sta diventando uno sport di team molto molto preparati che stanno dietro al risultato. Poi il risultato appaga tutti e fa sentire tutti un po’ meglio, no?».

Certo: crescono le motivazioni, inoltre.

«Quello che serve tantissimo nel nostro sport è la motivazione: più sei competitivo e stai a livello, e più ti senti motivato a lavorare, migliorare. Vedere gli altri cavalieri forti, proprio guardarli, guardarli dal vivo, quello che fanno in campo prova, cosa che non dico che non puoi fare nel nazionale in Italia, però certo se in campo prova hai Penelope Leprevost o Harrie Smolders o Kent Farrington e quanti altri potrei citare tra quelli che ho incontrato nei concorsi che ho fatto negli ultimi tre mesi… è un plus che stando seduta sul divano non riesci ad avere, ecco».

Magari può essere importante vedere cosa fa in campo prova anche Giulia Martinengo Marquet…

«Per qualche ragazzino, sì… certo, eccome!».