Graziano Mancinelli, il padrone della vittoria

La bocca e il collo di Ursus e il galoppo del suo treno anteriore fanno sembrare il cavallo una specie di forza della natura pronta a sbranare qualsiasi cosa gli si pari davanti. Non è più tecnica, non è più equitazione: è lo spettacolo della vita…

Padova, venerdì 9 marzo 2018 – Nicola e io eravamo appoggiati con le braccia alla staccionata. Stavamo guardando la gara da lì, per essere il più possibile vicino al luogo dell’azione. A un certo punto Fausto Tavazzani si muove dal centro del campo ostacoli e cammina proprio verso di noi. Dice: «Ragazzi, che ne dite di venire a darci una mano?».

Nicola e io istintivamente ci voltiamo per vedere chi fossero le persone dietro di noi alle quali si stava rivolgendo Fausto Tavazzani.

«Dico a voi due, eh?», dice Fausto con quella sua aria serafica e ironica indicandoci con il dito. Nicola e io guardiamo nuovamente verso di lui con l’espressione stupita: noi… ?

«Dai, venite dentro a tirar su un po’ di barriere, se non avete di meglio da fare».

Santo cielo… Fausto Tavazzani stava chiamando proprio noi due! Per entrare in campo. Per superare quel confine minimo eppure fino a quel momento per noi del tutto invalicabile che delineava con precisione due zone e quindi due mondi: di qua il pubblico, gli spettatori, quelli che guardano; di là i cavalieri, i cavalli, quelli che fanno. Ma non cavalli e cavalieri qualsiasi, no: questo è un nazionale Formula 3, al Circolo Ippico Monzese di Villasanta, ci sono tutti i migliori cavalieri italiani, Piazza di Siena è all’orizzonte… Non avremmo mai nemmeno lontanamente immaginato che Fausto Tavazzani avrebbe potuto farci quella richiesta: era semplicemente una cosa non prevista e men che meno prevedibile dai fatti della nostra vita di quel momento.

Un’emozione pazzesca. Entriamo in campo: ci pareva che non potesse esistere niente di meglio. Eravamo non più spettatori, bensì attori. Dentro, e non più fuori. Il campo ostacoli di un concorso come quello era il tempio: il luogo per gli eletti, il luogo per i grandi, il luogo del rito. Non si poteva entrare in campo – dunque nel tempio – se non si apparteneva in qualche modo a quel mondo: al tempio.

Fausto Tavazzani lo conoscevamo di fama. Il suo era un cognome pieno di significati: l’allevamento del Lasco, ovviamente. Ma anche il ruolo di direttore di campo di concorsi importanti. Come quello che si stava svolgendo lì, al Circolo Ippico Monzese. Fausto Tavazzani non era più un cavaliere, in quel momento: i cavalli dell’allevamento li montavano suo fratello minore Aldo e il giovane Antonio Piovan. Sapevo che il padre dei fratelli Tavazzani si chiamava Attilio. Anzi, per la precisione: commendator Attilio.

«Uno va nella parte di là, l’altro sta nella parte di qua. Occhio al percorso, mi raccomando. Seguite sempre il cavallo con lo sguardo, e non muovetevi se non per andare a tirar su le barriere quando il cavallo è lontano da lì, ok?».

Certo, ok. Figuriamoci. Nicola di là, io di qua. Insieme a qualche altro uomo di campo. Il tempo non è bellissimo, ma se anche dovesse piovere… nessun problema, figuriamoci. Siamo lì. Siamo dentro. Sentiamo i rumori come è impossibile sentirli da fuori. Vediamo il movimento come è impossibile vederlo da fuori. Mi rendo conto che aver visto i cavalli e i cavalieri in gara da fuori – questi cavalli e questi cavalieri: ovvio – è come aver ammirato pesci stupendi dentro un acquario: adesso invece l’acqua la sento sulla mia pelle…

Naturalmente arriva anche il momento. Quel momento. Io sento il fiato fermarsi in gola e il cuore accelerare: dal cancello di ingresso del campo entra Graziano Mancinelli. Io mi paralizzo. Mi irrigidisco vicino al piliere dell’ostacolo chiuso dove avevo il mio punto di partenza. Graziano Mancinelli… Il campione. La divinità. Il cavaliere dei miei sogni. Il cavaliere dei sogni di tutti. Graziano Mancinelli entra su Ursus del Lasco. Io lo guardo sentendo dentro di me qualcosa che si agita dal profondo fino in superficie. Assistere all’immancabile liturgia che Graziano Mancinelli celebra all’inizio di ogni percorso – qualsiasi percorso – mi fa capire che ciò a cui sto assistendo è vero. Ecco: Graziano Mancinelli ferma Ursus del Lasco al centro del campo. Si aggiusta lo staffile. Poi porta la mano dietro la schiena e sistema le code della giacca. Quei gesti… quei gesti scaramantici ripetuti precisamente ed esattamente ogni volta, quei gesti ai quali io avevo assistito chissà quante volte: ma davanti a uno schermo televisivo. Adesso invece lui è qui, a pochi metri da me. Sì, il rito di Graziano Mancinelli. E adesso io lo sto vedendo con i miei occhi, lì, davanti a me. Lui è Graziano Mancinelli.

Guardo i particolari. Capezzina incrociata. Filetto ad anelli. Redini con il rivestimento di gomma. Graziano Mancinelli tiene il frustino in mano un po’ più in basso rispetto alla zona dell’impugnatura. Ha i guanti. La mano è uno spettacolo: perfino adesso, perfino prima che inizi il tutto.

Fausto Tavazzani dice: «Graziano, guarda che devi darti da fare se la vuoi vincere… ».

Io sono annichilito: il tono di scherzosa confidenza usato da Tavazzani nei confronti di Mancinelli proprio poco prima che prenda avvio il percorso mi fa pensare a qualcosa per pochi eletti, per iniziati.

Graziano Mancinelli mantenendo un’espressione impassibile dice: «Ci proviamo Fausto». Io sono lì a qualche metro: e sento Graziano Mancinelli dire queste parole. Sono inchiodato al piliere.

Il rito di Graziano Mancinelli: staffile, code della giacca, sguardo circolare intorno a sé con aria fredda e dominatrice. E poi inizia qualcosa che non ha eguali al mondo. Vedere Graziano Mancinelli prendere il galoppo con Ursus del Lasco per andare a tagliare la linea di partenza di una gara a tempo è uno spettacolo che va al di là di concetti quali tecnica e agonismo: è piuttosto qualcosa che prende lo stomaco, qualcosa che eccita l’animo e il pensiero come poche altre cose nella vita. Ursus sembra un leone: galoppa con una marcata oscillazione del corpo, quando il posteriore carica la spinta in avanti sembra quasi che il cavallo con il treno anteriore voglia aggredire qualunque cosa gli si pari di fronte, con il corto collo rilevato e il mento quasi appoggiato alla gola. Graziano Mancinelli lo spinge a un ritmo serrato e nello stesso tempo lo controlla con una mano morbida ma autorevole. È questo lo spettacolo: l’incollatura si flette a ogni falcata con un’elasticità assoluta, non c’è mai un solo istante di resistenza alla mano, Mancinelli contiene e Ursus si raccoglie, Mancinelli manda in avanti e Ursus si distende, l’incollatura di Ursus sembra un magma pastoso ed elastico compreso tra il filetto e la mano del cavaliere, è uno spettacolo emozionante… Graziano Mancinelli parte puntando il primo ostacolo come se fosse un siluro sparato contro la fiancata della nave nemica, Ursus si lancia in avanti a ondate abbrancando l’aria davanti a sé e roteando le orecchie e soffiando… Ursus del Lasco non è certamente il più grande dei cavalli della storia di Graziano Mancinelli: ma sotto la sella di Graziano Mancinelli è diventato quello che non sarebbe mai stato sotto la sella di chiunque altro. Ursus del Lasco ha permesso a Graziano Mancinelli di esaltare oltre ogni limite la sua grandiosità di cavaliere. Io lo guardo saltare: penso a Rockette, Elke, The Rock, Turvey, Water Surfer, Doneraile, Ambassador, Fidux, Bel Oiseau, Lydican, La Bella… sono tutti lì, adesso, dentro quel cavallo e quel cavaliere che mi stanno dando l’indicibile emozione di assistere a uno spettacolo senza eguali.

La mano del cavaliere e la bocca del cavallo. È questo lo spettacolo eccitante. Graziano Mancinelli non ha mai la mano serrata, anzi, il mignolo dà l’idea di non dover esercitare alcuna forza nella presa sulla redine con l’anulare. Quella è come se fosse una forbice sempre un po’ aperta. Però ogni volta che Graziano Mancinelli fa un’azione con la mano la bocca e l’incollatura di Ursus rispondono immediatamente. Sì, certo, quella è solo l’evidenza terminale di qualcosa di molto complesso che c’è prima e che c’è dietro: ma è un’evidenza entusiasmante, che dà i brividi. La bocca di Ursus è schiumosa e malleabile, in continuo movimento e masticazione del filetto, unita alla mano del suo cavaliere grazie a una tensione delle redini che è costantemente elastica e con l’incollatura che nonostante il galoppo e l’andatura e lo sforzo è come una fisarmonica inesauribile. Il dialogo tra Graziano e Ursus – quindi tra mano e bocca – è continuo, fitto, serrato, senza pause… La bocca e il collo di Ursus e il galoppo ‘rampante’ del suo treno anteriore fanno sembrare il cavallo una specie di forza della natura pronta a sbranare qualsiasi cosa gli si pari davanti. Non è più tecnica, non è più equitazione: è lo spettacolo della vita. Mancinelli e Ursus sono un’onda travolgente. Non sono un cavallo e un cavaliere: sono un fenomeno della natura inarrestabile e incontenibile.

Quando l’onda si placa e l’ultimo ostacolo è ormai alle spalle, Graziano Mancinelli finalmente si rilassa e con lui si rilassa anche Ursus che stende il collo in avanti, soffiando e scuotendo la testa.

Vittoria, certo, ovvio. Ma non è la vittoria ciò che continua a impedirmi di respirare. Il fiato mi manca perché quella è una forza che si insinua dentro lo sguardo e dentro il cuore e dentro la mente di chiunque stia a guardare: e se ne impossessa. Una forza che è entrata dentro di me e mi ha fatto sentire tutto. Una forza che ha prosciugato le mie energie fino all’ultima stilla. Le vittorie di Graziano Mancinelli – e dunque anche questa vittoria – non sono semplici vittorie: sono tutte rivalse contro il fato, sono tutte affermazioni del valore di un uomo che è diventato campione immenso a dispetto di ciò che il destino sembrava avergli riservato… anche se questo io lo avrei capito dopo, molto dopo. Dentro tutte le vittorie di Graziano Mancinelli c’è uno sforzo, una tensione, una complessità, una potenza che le rendono completamente diverse dalle vittorie di qualunque altro cavaliere. Non sono primi posti conquistati al termine di una gara: sono pezzi di vita che si aggiungono uno sull’altro per dare la dimensione del tutto.

La gara finisce. Fausto Tavazzani si rimette al lavoro per preparare il percorso della categoria successiva insieme agli altri uomini di campo. Nicola e io andiamo da lui per sapere il da farsi. Fausto ci dice: «Bravi ragazzi, avete lavorato bene. Andate pure a riposarvi se volete». No, non vogliamo. Vogliamo rimanere qui dentro, dentro questo campo: quando rientrerà Graziano Mancinelli noi vogliamo essere qui. Dentro, non fuori. Non vogliamo uscire mai più. La nostra vita sarà sempre e per sempre dentro il campo ostacoli in cui Graziano Mancinelli ci ha fatto respirare quell’ebbrezza. Spiegandoci il senso delle cose.