Il fuoco dentro Bruno Chimirri

Un cavaliere la cui importanza per la squadra azzurra prescinde dal risultato del campo: la sua sola presenza è simbolo di forza e determinazione

Bologna, 31 maggio 2017 – Bruno Chimirri scende dal podio, corre verso la linea dei giornalisti e dei fotografi, afferra tra le braccia Caterina Vagnozzi – capo ufficio stampa dello Csio di Roma ma soprattutto passato presente e futuro della comunicazione a tema cavalli in Italia – e la stringe con la voracità dell’entusiasmo irrefrenabile facendola volteggiare in aria. Un momento di totale irritualità e proprio per questo significativo al massimo. Simbolico. Anche perché la nostra formidabile Marta Fusetti sempre pronta a cogliere l’attimo ovviamente coglie l’attimo e scatta una sequenza dalla quale esce una di quelle fotografie destinate a rappresentare per sempre il tutto. Bruno Chimirri lascia la sua postazione e il suo ruolo e va a raggiungere un’altra postazione destinata ad altro ruolo: in questo modo unifica tutto, mescola tutto, perché lui protagonista dell’azione sportiva che in quel momento deve essere guardato e raccontato va a prendere tra le braccia chi in quel momento lo deve guardare e raccontare. Abbracciando Caterina Vagnozzi, Bruno Chimirri ha infranto la forma e la regola e il cerimoniale e ha unito simbolicamente tutto e tutti in un unico momento, in un unico ruolo, in un’unica situazione, tutta l’Italia che vince ed è felice di una felicità incontenibile che va oltre ruoli e schemi.

E’ un momento irrituale soprattutto se si considera quanto sia studiato e rigido il protocollo per la premiazione di una Coppa delle Nazioni di uno Csio a cinque stelle di Prima Divisione europea. La Fei già a inizio concorso fornisce al comitato organizzatore un dettagliatissimo documento nel quale si prevede e si predispone ciascun minimo particolare: perfino la posizione delle piante decorative, per dire… figuratevi tutto il resto. Un documento di quattro pagine che va riletto almeno tre o quattro volte per assicurarsi di memorizzare per bene l’intera organizzazione della cerimonia. Un documento che quindi tutto prevede tranne l’estemporaneità, l’improvvisazione, l’eccezionalità. Figuriamoci la fuga di Bruno Chimirri con l’impossessamento di Caterina Vagnozzi… Bruno Chimirri ha quindi fatto una cosa che ha scardinato il protocollo, che ha sorpreso i presenti, che ha scatenato l’entusiasmo e la gioia di chi ne è stato spettatore. E che è diventata una immagine simbolica per un momento trasformato istantaneamente in storia del salto ostacoli italiano: quando l’Italia ha vinto la Coppa delle Nazioni a Piazza di Siena, dopo trentadue anni dall’ultimo successo.

Ma una cosa come quella di correre giù dal podio in piena premiazione per abbracciare Caterina Vagnozzi poteva farla solo Bruno Chimirri. Perché lui ha uno sguardo d’insieme che prescinde dal momento contingente. Un uomo, un cavaliere che sembra esserci poco, e invece c’è sempre. C’è anche quando non c’è. Una presenza fondamentale. Ed è quasi ancor più significativo che proprio lui sia stato il cavaliere con il peggior punteggio individuale in Coppa delle Nazioni a Roma: ultimo a partire, in entrambe le manches è stato proprio il suo il punteggio scartato. E però un punteggio ugualmente fondamentale: perché prodotto da Bruno Chimirri, che quindi testimonia la presenza di Bruno Chimirri. Una presenza di valore fondamentale per la squadra azzurra. Pochi cavalieri probabilmente al mondo ‘sentono’ la squadra come Bruno Chimirri. Nel 2002 lui in sella a Landknecht era una pedina fondamentale per il quartetto azzurro in procinto di affrontare il Campionato del Mondo di Jerez de la Frontera. Ma il suo cavallo si è fatto male proprio alla vigilia: ora, fermatevi un attimo e pensate come si può sentire un atleta che deve rinunciare a un Campionato del Mondo mentre sta vivendo probabilmente il miglior momento sportivo di tutta la vita… Ecco, immaginate. Ebbene, Bruno Chimirri è rimasto in Spagna con i compagni e si è dannato l’anima al loro servizio facendosi in mille, prodigandosi come se quello fosse in realtà il suo ruolo e il suo compito. Ha dovuto guardare tutti gli altri standosene fuori dal campo ostacoli, ma in realtà entrando in quel campo ostacoli più di quanto sarebbe accaduto se fosse stato in sella al suo Landknecht. Lui, forte e inflessibile e d’acciaio, forgiato nel carattere e nello spirito e nel fisico dalle asprezze della sua Calabria, ma con dentro di sé anche la delicatezza e la sensibilità di una madre che scrive con la bravura e l’eleganza di sublime poetessa e che porta un nome ricco di sapori ottocenteschi, Amalia, Amalia, un nome meraviglioso.

Bruno Chimirri parla dei suoi compagni di squadra di Roma definendoli fenomeni: li chiama così da ben prima di questa inebriante vittoria. Ha ragione: forse però, a ben vedere, il fenomeno è anche lui. Per anni è sparito dalle gare di alto livello. Sembrava non esserci più (metaforicamente parlando, certo: in realtà lui non ha mai smesso di fare concorsi), ridotto a una vita agonistica che pareva la rappresentazione nostalgica di ciò che lui era stato, a partire dagli anni giovanili durante i quali con il cugino Vincenzo faceva razzia di coppe e trofei da Napoli in giù in sella rispettivamente a Pavoncella di Cappella e a Gino IV – Bruno con una giacca troppo stretta, Vincenzo con una giacca le cui maniche gli arrivavano oltre le nocche delle dita – per poi andare da Napoli in su e continuare a vincere fino ad arrivare alle massime gare mondiali, fino ad arrivare al sogno di qualunque atleta, le Olimpiadi ovviamente, certo, le Olimpiadi… Ecco, sembrava che ormai tutto questo non sarebbe tornato più e che la sua vita di uomo di cavalli fosse avviata come quella di tanti: allievi, cavalli giovani, concorsi medi e mediocri, una routine ripetitiva e ormai inconsapevolmente definitiva. Definitiva? No: non per uno come lui… Guardate che Bruno Chimirri dentro di sé ha una irriducibilità che fa paura, una determinazione metallica… Adesso c’è un abisso per alcuni aspetti tra lui e i suoi compagni di Roma: loro sono all’estero immersi nel mondo in cui si fa l’equitazione più importante del pianeta, lui è qui, in Italia, nella nostra provincialetta Italia; loro sono più giovani (beh, Piergiorgio Bucci di soli quattro anni) e vorticosamente proiettati verso un futuro che riserverà gioie perfino maggiori di quelle già vissute, lui è in quell’età in cui passato e futuro cominciano a essere di eguale dimensione; loro hanno a disposizione scuderie in cui i cavalli debordano per qualità e quantità, lui di cavalli ne ha uno solo; loro viaggiano da un capo all’altro dei cinque continenti ogni fine settimana, lui deve pianificare forse un concorso al mese (per dire… ); loro montano divinamente bene cavalli da favola, lui monta divinamente bene un cavallo bravo ma certamente non di qualità superiore; loro montano cavalli trovati lungo il cammino, lui monta un cavallo che si è fatto e costruito con le sue stesse mani; loro rappresentano il futuro del salto ostacoli azzurro, lui rappresenta soprattutto il presente di una realtà casalinga. Eppure lui è fondamentale tanto quanto loro. Lo sa bene il c.t. azzurro Roberto Arioldi, che con Bruno Chimirri ha condiviso un’infinità di gare fino a esserne compagno di squadra ai Giochi Olimpici ad Atene nel 2004, e che nel 2016 aveva effettivamente stupito tutti non solo convocandolo con Tower Mouche a Piazza di Siena, ma addirittura inserendolo come riserva nella squadra di Coppa delle Nazioni. I non addetti ai lavori sono sussultati: e Chimirri da dove sbuca fuori… ? Arioldi sapeva e sa, invece.

L’importanza di Bruno Chimirri in una squadra non è quella del momento contingente: è quella del tempo, della serie dei giorni che si ripetono. Lui c’era a Dublino, lui c’era a Barcellona, lui c’era a Piazza di Siena. E prima ancora a Donaueschingen e a San Patrignano. A volte è stato determinante per il risultato, a volte no. Ma non è questo il punto: il punto è che Bruno Chimirri è il traliccio che sostiene il rosaio… Lui parla di squadra e della squadra anche quando non c’è alcuna gara a squadre di cui parlare; lui è orgoglioso della squadra, dei cavalieri che la compongono, degli obiettivi che si raggiungono. Lui è il filo che unisce tutte queste tappe azzurre inebrianti: Donaueschingen 2002, San Patrignano 2005, Dublino e Barcellona 2016, Piazza di Siena 2017, è come se lui avesse sempre tenuto in mano la barra del timone senza minimamente curarsi del fatto che qualcuno lo stesse a guardare o meno, certo solo dell’idea di navigare secondo la rotta. L’importanza di Bruno Chimirri a Piazza di Siena lo scorso 26 maggio non è stata quella del suo risultato e del suo punteggio, no: piuttosto quella di tutti gli anni e le cose e i cavalli e i concorsi che lui ha dentro di sé, da quando bambino con Vincenzo andava in treno a Palermo per vedere la Coppa degli Assi, oppure quando con Vincenzo si addormentava dentro una roulotte sui monti della Calabria nell’azienda agricola di famiglia dove entrambi montavano i cavalli alle sei di mattina per evitare il caldo e però prima di cadere tra le braccia del sonno nell’immenso silenzio della notte chiacchieravano al buio parlando dei loro sogni di cavalli e di cavalieri… Si potrebbero raccontare cose di Bruno Chimirri ancora per ore, ma un articolo di giornale deve giungere a una fine a un certo punto, inevitabilmente: non finisce invece Bruno Chimirri, perché lui dentro di sé ha un fuoco che non si spegne mai.