Italia: il valore di una squadra

La vittoria in Coppa delle Nazioni a Dublino è un’impresa favolosa date le premesse e le aspettative: merito di quattro cavalieri, di quattro cavalli e di un selezionatore che le cose le sa

Bologna, luglio 2016 – Quando Bruno e Vincenzo Chimirri erano ragazzini d’estate andavano spesso lassù in montagna, sugli aspri rilievi della Calabria vicino a Catanzaro, dove i loro genitori possedevano una piccola azienda agricola con anche qualche cavallo. I due ragazzini si fermavano là per diversi giorni da soli, dormendo dentro una roulotte sistemata alla meno peggio. La sera andavano a letto nella roulotte e prima di dormire parlavano, ridevano, scherzavano… sarebbero andati avanti tutta la notte, ma a un certo punto dovevano per forza mettersi a dormire visto che l’indomani la sveglia sarebbe suonata prestissimo: alle cinque, al massimo. Perché Bruno e Vincenzo volevano montare a cavallo evitando le ore in cui il caldo sarebbe stato troppo forte. E dopo tutta la giornata dedicata ai cavalli sarebbero ritornati ad affrontare un’altra notte dentro quella roulotte dove si consumavano le loro fantasie di ragazzini innamorati dei cavalli e dello sport a cavallo. Poi quando si era in prossimità del mese di ottobre la loro eccitazione cresceva ancora di più perché ci si avvicinava al concorso internazionale di Palermo… e loro – sempre insieme e sempre da soli – avrebbero preso il treno da Catanzaro per andare a vedere la Coppa degli Assi, una specie di sogno a occhi aperti per entrambi. Poi avrebbero cominciato a fare anche loro i primi concorsi: su cavalli che è davvero difficile perfino immaginare… Vincenzo con le maniche della giacca che gli arrivavano oltre i polpastrelli, Bruno invece con una giacca che sembrava esplodergli addosso. In breve nacque la fama ‘dei due Chimirri’: i due cugini vincevano tutto. Dalla Puglia in giù erano protagonisti indiscussi. Già: dalla Puglia in giù. E in su? In su si apriva un mondo sconosciuto ed enorme: ma i due ragazzi era da quel mondo che si sentivano attratti. E in quel mondo ben presto ci si buttarono. Ed è così che successe tutto: andando verso quel nord al quale non si può rinunciare se nel nostro sport si vuole crescere fino a diventare grandi.

Oggi è bello ed emozionante pensare che dentro Bruno Chimirri c’è questa storia. Una storia che lui ha vissuto con una determinazione, una forza e una intensità assolute e totali e soprattutto ininterrotte. Una storia che l’ha fatto diventare uomo dal carattere di ferro, dal cuore di fuoco ma dalla mente di ghiaccio. Solo così si può spiegare quello che è stato capace di fare a Dublino ieri Bruno Chimirri. Cavaliere dalla grande carriera ma per lungo tempo fuori e lontano dai campi ostacoli dell’alto livello internazionale: tempo durante il quale lui però non ha mai smesso di pensare e credere che il lavoro e la dedizione alla lunga avrebbero pagato, anche quando sarebbe stato comprensibile e umano un certo disincanto, un certo distacco, una certa perdita di motivazioni e di intensità. Non per lui, calabrese nell’anima ma cittadino del mondo nel pensiero. E così ecco questo cavallo, prima giovane poi un po’ più maturo grazie al lavoro e alla pazienza, poi ecco che la qualità si fa notare, poi ecco il ritorno a Piazza di Siena dopo anni di lontananza e addirittura l’inserimento nei cinque di Coppa delle Nazioni, e poi la partenza per Dublino, una Coppa delle Nazioni per noi fondamentale per poter continuare a sperare di rimanere in Prima Divisione l’anno prossimo, e addirittura indicato come quarto a partire… Ma poi succede addirittura che i tre prima di lui pennellino altrettanti capolavori e quindi Tower Mouche può anche non portare a termine tutto il suo percorso. Infatti Chimirri saggiamente gli fa fare un po’ di salti, giusto per prendere confidenza con la situazione, e quindi si ritira. Però nella seconda manche la situazione si presenta tremenda: due zeri e un otto penalità; Chimirri ha l’ultima parola: deve fare zero per andare al barrage con l’Irlanda. Non ci sono alternative. Ecco, è il momento: Tower Mouche entra in campo per la sua seconda Coppa delle Nazioni della vita (la prima a Sopot con un disastroso risultato per la squadra, ma con le sue sole 4 penalità… ) e per un percorso decisivo. Inappellabile. Pensate cosa ci deve essere stato dentro Bruno Chimirri in quei momenti… Doveva fare zero: ha fatto zero. L’ha fatto. Forse uno dei percorsi più difficili della sua vita non tanto per la severità degli ostacoli in campo, quanto soprattutto per il carico di premesse, aspettative e responsabilità che si è improvvisamente schiantato sulle sue spalle. Tutto dipendeva da lui. E lui ha fatto vedere chi è Bruno Chimirri, ha fatto vedere cosa vuol dire per una squadra poter contare su cavalieri di temperamento ed esperienza, cavalieri con il fuoco nel cuore e il ghiaccio nella mente.

L’impresa di Bruno Chimirri è stata determinante, ma poi l’opera andava completata. Un barrage da affrontare. E chi lo può affrontare se non lui, Piergiorgio Bucci con Casallo Z? Un’altra storia spettacolare. Un cavallo di classe indiscussa. Un cavaliere di bravura ammirevole. Un cavaliere che sta montando il cavallo indubbiamente migliore della sua carriera: ma con il quale, fino a qualche tempo fa, sembrava sempre che mancasse quell’ultimo passo per compiere la grande impresa, spesso sfiorata e mai raggiunta. Piergiorgio ne è stato ben consapevole, ma con altrettanta lucidità ha sempre sostenuto che la completa maturazione di Casallo (e forse anche la sua come cavaliere di Casallo) sarebbe avvenuta un po’ più tardi rispetto al caso di altri cavalli e di altri binomi. Adesso la trasformazione c’è stata: e questo è il momento più esaltante in cui tutto combacia alla perfezione. Il cavallo e il cavaliere si fidano ciecamente l’uno dell’altro. Il cavallo sa cosa vuole il suo cavaliere: il cavaliere sa cosa può fare il suo cavallo. Ecco i risultati favolosi, quindi: Montecarlo, Estoril, adesso Dublino, senza dire di tutte le altre bellissime prestazioni finite con un esito solo un po’ meno appariscente. Il barrage di Dublino consacra Piergiorgio Bucci e Casallo come coloro i quali finiscono l’opera dopo aver contribuito a crearla con due percorsi netti da sogno: con la vittoria. La vittoria.

Inutile dire che il grande risultato di una squadra è sempre dato dalla somma del valore dei singoli, ovviamente. Vogliamo parlare di Emilio Bicocchi? Che certamente non ha mai perso fiducia nel binomio che lui stesso compone con Ares, ma che altrettanto certamente qualche momento di difficoltà negli ultimi tempi l’ha vissuto. Dopo la vittoria dei Gran Premi di Megeve e Bagnaia alla fine del 2015, la formidabile vittoria del GP di Mannheim e poi del Campionato d’Italia nel 2016, Bicocchi è arrivato a Piazza di Siena sulle ali di un entusiasmo – non solo suo, ma di tutti gli addetti ai lavori e tifosi – che lo dava come certo protagonista delle gare maggiori, vale a dire Coppa delle Nazioni e Gran Premio. Poi invece il tracollo in Coppa: un tracollo che avrebbe steso chiunque, di fronte al pubblico di casa (e con tutte le aspettative che ben sappiamo si hanno su Piazza di Siena) che lo attendeva quasi come il predestinato al successo… Per noi che guardiamo da fuori quelle sono ‘brutte’ situazioni: ma per chi le vive in prima persona possono diventare un inferno, questo troppo spesso lo si dimentica. Dublino è stato il primo momento in cui Emilio Bicocchi con Ares è tornato sotto gli occhi dell’Italia intera dopo le sventure di Roma: e il suo primo percorso senza errori ha regalato pura gioia non solo alla squadra che così ha potuto chiudere la fondamentale prima manche addirittura senza alcuna penalità, ma anche a tutti coloro i quali – geograficamente vicini e lontani da Dublino – avevano sofferto insieme a lui le sofferenze di Piazza di Siena.

Un sorriso, infine. Quello di Lorenzo De Luca. Un ragazzo adorabile e un cavaliere che sta diventando giorno dopo giorno sempre più bravo e competitivo. La storia di Lorenzo De Luca è quasi una favola: gli appassionati di salto ostacoli se lo sono visto crescere sotto gli occhi passo dopo passo, giorno dopo giorno, concorso dopo concorso. Partito da ragazzino dalla sua Puglia lasciando la famiglia spinto dalla passione per i cavalli e lo sport equestre, se n’è andato anche lui prima in Italia e poi in Europa verso quel nord al quale qualunque cavaliere tende inevitabilmente. Il nord dei concorsi, dei cavalli, dei tecnici, dei campioni, dei commercianti, delle risorse. Lorenzo sorride con gentilezza, con entusiasmo, con attenzione nei confronti di chiunque gli rivolga la parola. Lorenzo sembra sempre pronto a imparare qualunque cosa da chiunque possa insegnargliela: lui è pronto, sì. Del resto la sua vita di cavaliere è stata tutta così: apprendimento vorace ma discreto, determinato ma non invadente. Lorenzo all’inizio della sua carriera non sembrava uno di quei cavalieri baciati dalla natura, uno di quei cavalieri che fin da piccoli il talento se lo ritrovano in tasca senza mai nemmeno averlo chiesto. Lui il talento se l’è andato a cercare, lo ha voluto, lo ha desiderato sull’onda di una passione divorante: e adesso vince tre gare individuali nello Csio di Dublino, più una Coppa delle Nazioni decisiva per le sorti del salto ostacoli azzurro con un doppio percorso netto da togliere il fiato.

Certo adesso non siamo diventati improvvisamente fenomeni. Non abbiamo risolto tutti i nostri problemi. Ci saranno altre sconfitte e altre delusioni. Altri obiettivi mancati e momenti di apparente fallimento. Ci saranno, certo. Però lentamente sta accadendo che le nostre soddisfazioni, le soddisfazioni dello sport equestre azzurro (e non solo del salto ostacoli), si stanno in qualche modo ravvicinando l’una all’altra dando la sensazione di minore estemporaneità rispetto a quanto accaduto nel nostro recente passato. Questo è il dato più significativo, alla fin fine. La cosa veramente impressionante di Dublino è che siamo stati capaci di vincere una Coppa delle Nazioni che si doveva vincere. Questa è la cosa che deve essere sottolineata e valorizzata. Vincere è difficile, sempre: ma vincere quando bisogna farlo lo è ancora di più.  Questo successo è merito certo dei nostri cavalieri e dei loro cavalli, ma anche di un signore che si chiama Roberto Arioldi e che le cose le sa. Arioldi è uomo che naviga dentro questo mondo da sempre e con un’esperienza a tutti i livelli: cavaliere, trainer, istruttore, genitore, allevatore, dirigente, tecnico… lui ha fatto tutto. Sa tutto. Cosa si prova e si pensa stando di qua, e cosa stando di là. Non è un mago, e di errori ne ha fatti e ne farà di certo: ma a Dublino ha costruito e pilotato la squadra come meglio non sarebbe stato possibile. E oggi possiamo dire con fierezza: l’Italia ha vinto.

23 luglio 2016