Luca Marziani: io e il mio Tokyo

Cavallo e cavaliere insieme costituiscono uno dei binomi più forti e regolari in assoluto sulla scena internazionale: lente di ingrandimento su un vero e proprio fenomeno

Bologna, 18 luglio 2018 – Ammirarne e seguirne la crescita è stato entusiasmante. Vederli partire dalle gare per i cavalli giovani fino a diventare una macchina da percorsi netti nelle Coppe delle Nazioni di massimo livello internazionale è uno spettacolo… eccitante.  E la crescita è continua: nel 2017 rischiavano sul tempo massimo in ogni Coppa, domenica scorsa sono stati loro ad affrontare il barrage a Falsterbo per tentare di dare all’Italia la vittoria… Luca Marziani e Tokyo du Soleil: un binomio formidabile.

Al di là della posizione in classifica la prestazione nella Coppa delle Nazioni di Falsterbo è stata favolosa!

«Sì, prestazione bellissima, ma alla fine della gara non avevo il morale proprio alle stelle… È stato un po’ come giocare una finale e perdere ai calci di rigore, e all’ultimo rigore, dopo aver giocato la partita magnificamente bene… Io l’ho vissuta come una sconfitta: a essere sincero il quarto posto di Falsterbo io l’ho vissuto così».

Lei è stato il primo dei quattro finalisti a entrare in barrage: pensa che con un diverso ordine di ingresso sarebbe cambiato qualcosa?

«Entrando più tardi avrei forse guadagnato un secondo, che non sarebbe comunque bastato per la vittoria. Parliamo sempre con i se e i ma, nel senso che se il primo a entrare fa un errore cambia la tattica completamente. In realtà il mio non era un brutto tempo, ho tolto linee e falcate di galoppo ovunque, ho preso il rischio nell’entrata della gabbia in sette tempi… e magari se non lo avessi fatto io almeno qualcuno dopo di me non l’avrebbe ugualmente rischiata. Ma è una dinamica del tutto immaginaria. Se io fossi entrato per ultimo o penultimo avendo due zeri davanti a me forse avrei pensato di non considerare proprio le barriere… Forse avrei dato qualcosa in più. Ma il tempo dell’olandese… no, Tokyo non ha quella velocità, quel ritmo di galoppo… Tokyo nel fare un tempo di galoppo non è veloce, è un cavallo potente con un galoppo lungo quindi non muove le gambe in maniera molto rapida per cui più di così non si può fare».

Comunque il fatto che lei dopo tre percorsi netti senta di essere più deluso che soddisfatto dimostra un attaccamento alla squadra fortissimo…

«Io vivo per la squadra. Il fatto è che il nostro è uno sport individuale: quante Coppe delle Nazioni faremo in un anno? Forse sei al massimo, poi tutto il resto dei percorsi sono gare individuali, noi contro il percorso o noi contro gli avversari, quindi facciamo lo sport solo per noi stessi. Ma io amo follemente lo sport collettivo, la condivisione di un’impresa mi piace da impazzire: e questo con la squadra si esalta al massimo. Sarà che anche l’anno scorso abbiamo fatto tanto insieme, che c’è una grande stima e un grande rispetto tra tutti noi, ma quest’anno io certe cose le sento più che mai… ».

Tokyo ha fatto una progressione favolosa nel giro degli ultimi due anni.

«Sì, davvero. E poi essendo venuti a mancare cavalli come Ares o come Cornetto è ovvio che lui sia considerato come un probabile candidato al Campionato del Mondo di Tryon, dove tra l’altro dovremo riuscire a guadagnare la qualifica alle Olimpiadi: quindi abbiamo cercato sin dall’inizio dell’anno di gestirlo al meglio, di averlo sempre fresco e motivato, e per questo ringrazio la federazione e il nostro tecnico Duccio Bartalucci. Devo dire che Tokyo sta rispondendo a questo programma alla grande: ha fatto sei percorsi di Coppa delle Nazioni tra Samorin, Roma e Falsterbo con un 4 e cinque zeri… Quell’unica barriera nel primo giro di Samorin è però arrivata per una disavventura accaduta precedentemente in Gran Premio su un ostacolo con un cancelletto strano… E in Coppa ho poi fatto errore sull’ostacolo successivo a quel cancelletto che era l’ostacolo di appello a una linea di cinque tempi, quindi Tokyo l’ho un po’ buttato dentro rovinando l’incantesimo e la musica di quel percorso, e lui non è riuscito a coordinarsi bene. Ma poi ha fatto cinque netti di fila saltando sempre meglio, anzi sei netti calcolando anche il barrage di Falsterbo. Tutto questo per dire che sono contento di aver potuto fare questo programma e di averlo rispettato, e contento di come il cavallo sta rispondendo».

In effetti in questo arco di tempo non c’è mai stato un momento di regressione, ma nemmeno di pausa nella evoluzione tecnica e agonistica del cavallo.

«Tokyo praticamente l’ho quasi domato io. L’abbiamo preso in allevamento e lui in quel momento al massimo aveva scavalcato delle barriere a terra… Mi avevano impressionato la sua atleticità, il suo fisico, il suo galoppo, i suoi movimenti, l’elasticità del corpo… L’abbiamo preso, abbiamo fatto tutto con molta calma, lui ha fatto vedere da subito di avere delle grandi doti però era tutto da costruire: tra l’altro aveva una bocca davvero difficile… Fino ai nove anni finiti l’ho montato con il Pelham: questo gli impediva di esprimersi al meglio però doveva per forza essere costretto, perché era troppo esuberante e troppo forte».

Il 2017 è stato l’anno della conferma.

«Sì, l’anno scorso su questo stesso tipo di percorsi abbiamo fatto le prime esperienze insieme: io avevo già fatto queste cose ma con Wivina, per lui era comunque il primo anno… Quello che mancava l’anno scorso era la possibilità di variare l’equilibrio: non potevo mai salire di ritmo per poi tornare indietro vicino a un ostacolo perché altrimenti lui iniziava a perdere consistenza con la bocca, iniziava a mangiare l’imboccatura, a strattonare, e rischiavo di arrivare con il collo un po’ corto e allora si abbassava il garrese quindi possibilità di errore, dunque nelle curve non potevo mai chiedere degli strappi e spingere per poi recuperare».

Tutto questo però ora appare risolto. C’è stato un momento di svolta, un momento in cui lei ha sentito di poter andare oltre?

«Sì: Verona dell’anno scorso. Una volta terminate tutte le gare di squadra della stagione, quando anche solo una barriera che cade compromette il risultato di tutti, ho deciso di cercare il tempo andando di più, di abituare Tokyo a questo anche mentalmente. Prima non avrei avuto né la forza né la freddezza di mettermi a sperimentare o a cercare qualcosa di nuovo, rischiando di compromettere il risultato della squadra: credo sia stato giusto e corretto così, una cosa nei momenti di massima importanza la fai solo quando la senti tua e soprattutto possibile. Per esempio nella curva tra l’uno e il due della Coppa di Falsterbo io l’anno scorso ci avrei messo almeno tre tempi di galoppo in più, e sarebbero stati quei due secondi con i quali sarei uscito dal tempo massimo. Invece domenica scorsa dopo l’uno ho spinto forte verso il due, sull’ultimo tempo ho ristabilito l’equilibrio e su quello adesso il cavallo mi dà veramente fiducia, mi dà tutto, so che ormai è pronto a questo quindi io ci vado sereno».

E da vedere è davvero spettacolare…

«Però attenzione: è pur vero che stiamo parlando di un campione, questo deve essere chiaro. Noi cavalieri montiamo tutti i cavalli, mettiamo lo stesso entusiasmo su tutti, le stesse motivazioni… però poi ci sono degli atleti che fanno la differenza per come apprendono, per come vengono avanti nel lavoro, e Tokyo in questo è mostruoso… ».

Ma come viene gestito e calibrato il lavoro di preparazione a casa con lui?

«L’anno scorso ho avuto una serie continua di appuntamenti ravvicinati, Lummen, Linz, Roma, San Gallo, Falsterbo, Aachen, Campionato d’Europa, Barcellona… tutto di fila, quindi ho tenuto Tokyo abbastanza sotto pressione nel lavoro quotidiano, avevo trovato una specie di incantesimo, una cosa che funzionava, un sistema che funzionava fin dall’inizio della stagione e non ho mai avuto il coraggio di allentare questo ritmo di lavoro… Anche nelle cose piccole: non so, faccio un esempio, cinquanta transizioni galoppo passo ogni giorno, fatte sempre nello stesso modo… anche cose così intendo. Quest’anno è molto diverso. Per dire, dopo Piazza di Siena non l’ho più montato per due settimane durante le quali lui ha fatto solo lavoro di condizione con una ragazza bravissima che lo fa trottare e galoppare, sta fuori anche due ore al giorno, mattina e pomeriggio, esce tre o quattro volte al giorno però svagandosi; poi ho fatto un concorso a Narni, poi un’altra settimana di condizione a casa, poi un concorso di allenamento a Cattolica, poi la settimana del viaggio verso la Svezia e quindi lo Csio di Falsterbo. L’anno scorso sarebbe stato il contrario, dopo Roma non l’avrei mai mollato, l’avrei montato tutti i giorni io».

Sembra di capire che anche il rapporto per così dire personale tra lei e Tokyo sia molto forte…

«Quando salgo su di lui Tokyo entra subito in concentrazione, lui lo sa, sa tutto, ci conosciamo, siamo un tutt’uno, anche non volendo io gli chiedo qualcosa».

È bellissima questa cosa, è un’unione che va al di là del fatto tecnico…

«È tutto, tutto. Lui nei primi due giorni di qualsiasi concorso è bellissimo, classico, morbido, bello… ma quando entra in campo prova con la copertina dell’Italia sotto la sella lui sa che le cose sono diverse. È un cavallo super intelligente. Lui sa che quella è la gara, e inizia a saltare e a muoversi in un modo diverso».

Cioè è una cosa della quale lei ha una percezione netta?

«Lui mi dà totalmente questa sensazione. Una sensazione completamente diversa. Lui mi dimostra di capire quando è il momento. Poi io glielo dico proprio parlandogli, a voce… Entro in box e gli dico “Oh, Tokyo: oggi è il giorno, eh… !”. Sarà anche una cosa scaramantica… gli faccio sempre dei grattini sul collo a sinistra, piccole cose… Ma l’intesa è totale e profonda».

Tornando alle questioni tecniche, secondo lei c’è ancora qualcosa da migliorare?

«Sì, sì, molto c’è da migliorare. Devo migliorare io nella posizione, perché lui comunque ha un equilibrio un po’ difficile, un equilibrio basso, e tante volte mi si rimprovera di non riuscire a stare seduto, ma io sento che se sto seduto gli blocco il movimento. Però è chiaro: riuscire a stare a volte un po’ più dietro di lui mi potrebbe dare quel qualcosa in più, ma ci si arriva per gradi, oggi tu non puoi chiedere a me che magari non ho mai fatto dieci flessioni in tutta la vita di farne una serie da trenta…  Se magari me la dividi in sei serie da cinque io la faccio… Comunque io ci lavoro, tutti i giorni cerco di migliorare qualcosa… Poi dovremmo migliorare anche nella rapidità di azione: ce l’avessimo, Tokyo sarebbe un cavallo al pari dei migliori del mondo. Devo riuscire ad avere un minimo di velocità in più. Non so se mai ci arriverò, perché poi la caratteristica di Tokyo è proprio quella di muoversi in quel modo: è migliorato molto, l’anno scorso su quattro Coppe delle Nazioni forse su due stavo nel tempo e su due prendevo il tempo, quest’anno su sei percorsi è sempre stato nel tempo».

Addirittura è stato lei ad andare in barrage a Falsterbo!

«Sì, quella è stata una scelta. Al di là di due dietro-front, in quel barrage c’erano tutte distanze da rincorrere, soprattutto quella con l’ingresso in gabbia dove per esempio Bruno (Chimirri, n.d.r.) ama di più entrare aspettando il cavallo, rimettendo forse un tempo. La scelta di Duccio Bartalucci per il barrage era tra Tokyo e Tower. All’inizio siamo andati tutti verso Bruno, gli abbiamo spiegato il barrage proprio appena uscito dalla gara, poi più tardi a mente fredda Duccio Bartalucci gli chiede “Bruno, come l’hai sentito, dimmi tu, per me la scelta è tra te e Luca, siete 50 e 50”. A quel punto Bruno mi guarda e mi dice: “Luca, monta”, e io non ho discusso, ho preso e sono salito».

Bellissimo tutto questo.

«Sì, bellissimo. Io ne ho fatte tante di gare e di Coppe, ma devo dire che adesso c’è un clima bellissimo… tra me, Bruno, Piergiorgio, Giulia, lo stesso Alberto Zorzi, la partecipazione a distanza anche di Lorenzo De Luca che lunedì mattina mi ha chiamato… Ci siamo uniti di più. Io sento che quest’anno siamo tutti uniti. Forse è anche vero che adesso sento di più tutto questo perché sono in una situazione buona, mantenendo questi standard sono sicuramente preso in considerazione per le gare più importanti, quindi… Mi rendo conto che chi è a rischio di convocazione potrebbe avere a volte pensieri un po’ più negativi… E poi io quest’anno sento la serenità per poter fare il mio sport, sacrifico pure le gare individuali, a Falsterbo non ho fatto il Gran Premio, a Dublino non farò il Gran Premio a meno che la strategia del lavoro concordato con Duccio Bartalucci non lo preveda».

Duccio Bartalucci sta facendo un bellissimo lavoro.

«Bellissimo. La gestione dei cavalli è perfetta. Purtroppo se guardiamo la classifica della Prima Divisione ci viene paura… Ma noi dobbiamo assolutamente rimanere in Prima Divisione… Assolutamente!».

Ci mancano due gare, Hickstead e Dublino, e poi sapremo…

«Io ho dentro una tensione pazzesca. Fino a che non finisce Dublino io non mi rilasso. Per niente».