Ludger Beerbaum, l’uomo di tutto

Piccolo ritratto del fuoriclasse che ha annunciato il ritiro dalla squadra ufficiale tedesca: nei prossimi campionati internazionali non vedremo in campo il più grande cavaliere del mondo

Bologna, agosto 2016 – Per quanto logica e motivata possa sembrare a posteriori, non eravamo preparati a questa notizia. Alla notizia che Ludger Beerbaum lascia la squadra nazionale tedesca. E’ una notizia che costringe a resettare completamente il meccanismo con il quale abbiamo seguito le grandi competizioni internazionali fino a oggi: lui è tuttora (ovviamente) parte integrante di uno scenario che l’ha visto protagonista sempre e comunque. Come potrà essere il grande salto ostacoli internazionale senza Ludger Beerbaum? Come potrà essere questa specialità sportiva che tanto amiamo senza più l’uomo che ne è stato l’espressione migliore e più eloquente di sempre? Uno dei più grandi cavalieri di tutti i tempi, se non il più grande in assoluto? Uno dei pochissimi uomini – se non l’unico – il cui valore di cavaliere non è mai stato subordinato a quello dei cavalli montati? Un campione che in un Paese come la Germania è rimasto costantemente il perno portante, nonostante il florilegio di grandissimi nomi che si sono avvicendati al suo fianco nel corso degli anni. Da questo punto di vista c’è un dato numerico eloquente più di qualunque altro, perfino più delle medaglie e dei titoli internazionali, ed è quello delle presenze nella squadra ufficiale tra Coppe delle Nazioni e campionati internazionali: 167. Avete letto bene: centosessantasette. Ripetiamo: in una nazione come la Germania, con una concorrenza e una abbondanza di talenti senza eguali al mondo. Questo numero vuol dire che dal momento dell’esordio in Coppa delle Nazioni nel 1985 Ludger Beerbaum ha avuto una media di poco più di cinque presenze all’anno per trent’anni in quella squadra ufficiale che ha ormai annunciato di voler lasciare. Immaginate cosa voglia dire questo in termini di produzione di cavalli e di risultati. Un tesoro immenso, unico, irripetibile (per almeno molti anni a venire).

Ludger Beerbaum non ha ancora compiuto 53 anni: perfino la sua età anagrafica certifica che si tratta di un cavaliere perfettamente nel pieno delle sue possibilità fisiche, se non bastassero le dimostrazioni che lui ha offerto fino alle Olimpiadi di Rio de Janeiro dove è stato determinante – come sempre – per la conquista della medaglia di bronzo da parte della Germania, e se non fosse sufficiente vederlo a piedi, alto e forte più che mai. Con il suo fisico, la sua classe, la sua esperienza e la sua eccelsa bravura certamente avrebbe potuto montare allo stesso livello odierno per altri dieci anni, e tentare di arrivare e se possibile perfino superare il record di sette medaglie olimpiche detenuto dal formidabile Hans Gunter Winkler (tedesco ovviamente) o almeno agguantare al secondo posto di questa speciale classifica i due fratelli d’Inzeo con sei. Invece si è… fermato a cinque, ma poche cose sono sicure come il fatto che a lui interessi davvero poco tale graduatoria: il motivo per cui Beerbaum ha annunciato il ritiro sta nella volontà di dedicarsi a progetti che adesso – dopo aver tutto fatto, tutto vissuto, tutto vinto da cavaliere – lo interessano probabilmente più del vestire la maglia della nazionale dopo averla indossata centosessantasette volte. Non smette di montare, Ludger, questo no. E nemmeno smette di fare concorsi, altrettanto sicuramente: continuerà a farne con altri scopi e altri obiettivi rispetto a quello di essere selezionato per un grande campionato internazionale. La sua vita è stata un accumulo di esperienze e di idee e di riflessioni: adesso è giunto il momento di mettere a frutto tutto questo quando ancora l’uomo è nel fiore degli anni, delle energie, delle voglie. Il centro nevralgico dell’intero progetto rimane naturalmente la favolosa scuderia di Riesenbeck, il Pferdesportzentrum Riesenbeck International, all’interno del quale sorge anche un albergo a quattro stelle per ospitarne i frequentatori: più che una scuderia, una specie di università le cui facoltà proposte sono addestramento cavalli, addestramento cavalieri, commercio, organizzazioni internazionali. Christian Ahlmann, Marco Kutscher, Philipp Weishaupt, Henrik von Eckermann: tutti cavalieri giunti ai massimi livelli mondiali, tutti cavalieri usciti dal magistero di Ludger Beerbaum. La Cina: il salto ostacoli sta vivendo un’espansione spaventosa laggiù in Oriente in termini di crescita di eventi, di cavalieri, di esportazione di cavalli, e la macchina che organizza e gestisce e promuove tutto questo la guida Ludger Beerbaum (tra l’altro con anche il nostro Jerry Smit a bordo). E poi didattica, stages, seminari, incontri… una vera e propria accademia formatasi e cresciuta negli anni.

Oggi quindi sembra lontano anni luce quel giorno del 1970, quando il bambino Ludger riceve un buon colpo di denti da quel pony che i genitori gli avevano regalato nella speranza di farlo appassionare all’equitazione: il piccolo Beerbaum non ci pensa due volte e fila a tutta velocità verso il campo da calcio del suo paese (Detmold, in Westfalia) dove lo stavano aspettando i suoi amichetti. Di cavalli e pony non se ne sarebbe più parlato per almeno tre anni: «Ma li vedevo tutti i giorni a casa e in più molti dei miei amici montavano, così un po’ alla volta il virus mi ha contagiato, anche se nel mio caso certo non si può parlare di colpo di fulmine… ». Nato il 26 agosto del 1963, primo dei quattro figli di Horst e Mathilde Beerbaum (poi arriveranno Ruth, Monika e Markus, quest’ultimo a sua volta cavaliere internazionale, oltre che marito dell’amazzone statunitense Meredith Michaels), Ludger comincia così il suo cammino sulla via dello sport equestre. Ma la svolta avviene nel 1977: «Vicino a casa mia venne organizzato uno stage con Hermann Schridde. Avevo quattordici anni, lo stage durò dieci giorni. Alla fine Schridde venne a chiedermi se avevo voglia di passare le vacanze in scuderia da lui. Lì per lì non compresi l’importanza di una proposta simile: eravamo una trentina a quello stage, ma io fui l’unico al quale Schridde fece una domanda del genere. Ovviamente accettai e così trascorsi sei settimane di vacanza da lui montando a cavallo dalla mattina alla sera; e penso che sia stato proprio quello il momento decisivo».

Hermann Schridde, uno dei grandi nomi dell’equitazione tedesca, non farà in tempo a vedere Beerbaum vincere la prima medaglia internazionale: morirà a causa di un incidente aereo nel 1983. L’anno dopo in Italia, al Circolo Ippico Le Siepi di Cervia, Beerbaum vince il bronzo individuale e a squadre nel Campionato d’Europa young rider in sella a Wittersfernde, un cavallo che gli era stato affidato da uno dei contadini che abitavano vicino alla fattoria di papà Beerbaum. Poi, alla fine di quel 1984, l’altro incontro fondamentale per la carriera di Ludger. Durante il concorso internazionale di Hannover l’allora ventunenne Beerbaum viene notato da Paul Schockemöhle, che gli propone di entrare a far parte della sua scuderia trasferendosi stabilmente da lui a Mühlen. Ludger stava iniziando il secondo anno di Agraria all’università di Gottinga: non era facile decidere, anche se era chiaro che lo studio non era il suo forte. Ludger infine accetta: «Professionalmente ho imparato tutto lì, durante quei quattro anni, dal lavoro in sella fino alla gestione di una scuderia. Credo esistano pochi posti al mondo dove si possa imparare meglio tutto ciò: dal controllo veterinario quotidiano fino al modo di adattarsi a così tanti tipi diversi di cavalli. Ogni giorno mi dovevo confrontare con un nuovo problema, tecnico, di salute, di carattere. È a Mühlen che si è forgiata la mia equitazione ed è lì che ho raggiunto il livello internazionale. Quando sono arrivato da Schockemöhle ero niente, ero nessuno, e poi da un giorno all’altro mi sono trovato con dieci cavalli da montare e da seguire anche in scuderia per 800 marchi al mese». Ludger non è che uno tra i tantissimi cavalieri di Schockemöhle impiegati esattamente allo stesso modo. Uno solo tra loro beneficia di qualche privilegio, cioè uno stipendio leggermente migliore e un groom: il cavaliere numero due della scuderia, Franke Sloothaak (il numero uno è lo stesso Paul Schockemöhle, che quell’anno – l’85 – avrebbe vinto il suo terzo Campionato d’Europa in sella a Deister). «A quell’epoca Sloothaak per me era un vero idolo, mi pareva incredibile poter montare insieme a lui. La sera, dopo aver finito di lavorare, rimanevo in maneggio per guardare Franke e Paul che montavano: volevo imparare il più possibile e volevo farlo in fretta». Ludger rimane a Mühlen quattro anni, fino all’88. Sarebbero stati certamente di più se non fosse accaduto l’imprevedibile. Ludger si innamora di una donna, che a sua volta si innamora di lui. E fin qui tutto normale: anzi, un amore ricambiato è sempre una bella storia. Il problema è che la signora in questione altri non è che la moglie di Paul Schockemöhle, Barbara… Non è una storiella, è amore grande e vero: quindi Ludger e Barbara se ne vanno insieme (si sposeranno nel 1991). Ma Beerbaum non rimane disoccupato a lungo: Alexander Moksel gli propone di montare per una scuderia di alto livello internazionale con un budget davvero consistente. Si apre l’era di Grand Plaisir, Classic Touch, Rush On e quindi Ratina Z. Ma poi gli affari di Moksel cominciano ad andar male (commercio di carne con i Paesi dell’est soprattutto) e la scuderia deve essere smobilitata: Beerbaum si riorganizza prima insieme a Bodo Schneider (padre del cavaliere Ralf, proprietario di Classic Touch), infine da solo, riuscendo ad acquistare la splendida tenuta di Riesenbeck, nel 1993. Inizia il rapporto con quelli che ancora oggi sono i proprietari di molti dei cavalli di Beerbaum: Dieter e Madeleine Schulze, entrambi ex cavalieri dunque perfettamente consapevoli di ciò che significa montare e soprattutto gestire una scuderia di alto livello, lui purtroppo oggi non più vivente.

Una storia meravigliosa, straordinaria, quindi: una storia che conta sei Olimpiadi, sei Campionati del Mondo, undici Campionati d’Europa, ventuno finali di Coppa del Mondo, dodici finali della Top-Ten. E medaglie, e vittorie, e successi, e trionfi. Oggi però quello che risalta più di tutto, più di tutte le medaglie e di tutti i trofei, è la dimensione dell’uomo e dell’uomo di cavalli, dell’uomo di tutto, dell’uomo che ha riunito in sé tutto questo operando una sintesi perfetta, tutto questo bagaglio di vita e di esperienze di conoscenza per infine forgiarlo in un unico prodotto terminale: lui, sé stesso, Ludger Beerbaum, il migliore cavaliere del mondo.

18 agosto 2016