Merano: nascita di un mito

È il cavallo che più di ogni altro si associa all’immagine di Raimondo d’Inzeo: insieme questi due formidabili campioni hanno conquistato il mondo

Padova, 15 marzo 2018 – All’esterno e all’interno del campo ostacoli di Aquisgrana l’atmosfera è pervasa da un’elettricità eccitante, nonostante una fastidiosa pioggerellina. Ma nessuno dei sessantamila spettatori presenti rinuncerebbe ad assistere a questo momento. Il momento in cui un uomo vestito con un impermeabile chiaro sostenendosi a un bastone va camminando verso il vincitore. L’uomo con l’impermeabile chiaro cammina appoggiandosi a un bastone non a causa dei problemi dell’età: ha trent’anni, non è affatto vecchio ovviamente. Cammina con il bastone perché è infortunato: un infortunio patito solo qualche giorno prima a Stoccolma vincendo la medaglia d’oro individuale alle Olimpiadi, lasciandosi alle spalle proprio il cavaliere verso il quale ora sta camminando appoggiandosi al bastone. L’uomo con l’impermeabile chiaro che cammina appoggiandosi al bastone è l’idolo della folla qui ad Aquisgrana: lui è Hans Guenter Winkler. Il cavaliere verso il quale Winkler si sta dirigendo camminando con il bastone è il suo più irriducibile avversario, amato dalla gente di Aquisgrana quasi quanto lui stesso: questo cavaliere è a cavallo perché è il vincitore, e quando Winkler gli è ormai vicino si irrigidisce in sella omaggiandolo con il saluto militare. Lui è Raimondo d’Inzeo, da oggi il campione del mondo: martedì 10 luglio 1956. Hans Guenter Winkler e Raimondo d’Inzeo sono amici e sono nemici: loro due sanno tutto. Si stringono la mano. Si sorridono. Sono i due cavalieri più forti del mondo. Con il giro d’onore la cerimonia di premiazione ad Aquisgrana finisce: ma inizia il mito. Merano galoppa forse consapevole di essere ormai leggenda.

Le bufale avanzano con passo lento, e regolare, e dondolante. Il caldo lo sentono anche loro, naturalmente. Scuotono ogni tanto la testa ornata dalle corna ricurve per allontanare le mosche che ronzano intorno ai loro occhi. Le code oscillano ritmicamente per lo stesso motivo. Il sole è ancora caldo e forte, nonostante siano quasi le sei di pomeriggio. Il bufalaio seduto sul carro è immobile sotto il suo cappello di paglia a larga tesa. Gocce di sudore gli rigano il volto. Il carro avanza cigolando e facendo scricchiolare la ghiaia sotto le ruote. Le bufale tirano il carro sempre nella solita direzione, a quest’ora: verso le stalle e le scuderie per scaricare l’erba medica ancora fresca, tagliata da una qualche fetta dei campi che si trovano oltre i paddock dei cavalli. Per arrivare alle scuderie e alle stalle si deve percorrere quella specie di largo sentiero, una strada di terra battuta ormai dura come l’asfalto solo coperta qua e là da qualche manciata di ghiaia che passa proprio lungo la recinzione del paddock principale.

In quel paddock ci sono Levriero e Leandro intenti a trascorrere il pomeriggio di relax: l’esuberanza dei loro tre anni – tre anni e mezzo abbondanti, a dire la verità – ormai l’hanno scaricata da diverse ore, e adesso tentano di sfuggire al caldo standosene fermi all’ombra di una vecchia e grande quercia, dove c’è anche l’abbeveratoio pieno di acqua ormai non tanto più fresca. Ma appena sentono il rumore del carro che giunge dai campi si scuotono entrambi da quella specie di torpore: sanno ormai molto bene che arriverà qualche forcata di erba medica fresca e dolce mentre il carro passerà di fianco alla staccionata del loro paddock. Le orecchie tese e lo sguardo acceso con le incollature quasi erette, i due puledri osservano il carro arrivare pian piano. Il carro arriva, le bufale camminano lente ma regolari, il bufalaio immobile sotto il suo cappello di paglia: eccoli davanti alla staccionata, percorrono tutta la lunghezza di quel recinto e… ma come mai non si fermano… perché non si fermano come ogni volta… il bufalaio di solito fa quel suo verso alle bufale dando un leggero strattone alle corde e le bufale docili si fermano, e il bufalaio scende e poi prende la forca, dà un’inforcata nel mucchio di erba medica e la getta al di là della staccionata… è sempre così, ma adesso perché non si fermano, perché il carro continua ad avanzare? Leandro e Levriero come spinti da una tacita intesa prendono insieme il galoppo scattando con tutta la loro energia verso la staccionata, ma… niente da fare, ormai il carro è andato oltre e non accenna a fermarsi, le bufale dondolano le code e proseguono la loro marcia verso le stalle e le scuderie, il bufalaio starà pensando agli affari suoi, oppure si è appisolato sotto quel sole cocente, chissà…

Leandro e Levriero soffiano dalle narici tese e allargate, con le code sollevate e rigide. Aspettano ancora qualche istante, lo sguardo proteso verso laggiù con il petto appoggiato alla staccionata. Poi il baio Levriero scuote la testa e con uno scatto repentino si volta di centottanta gradi galoppando verso la quercia e l’abbeveratoio, subito seguito dal grigio Leandro. Levriero quindi fa una specie di inversione di marcia e riprende il galoppo dirigendosi di nuovo verso la staccionata: Leandro lo segue distanziato di poco. Ma quando i due cavalli sono ormai a breve distanza dalla staccionata Leandro punta le spalle verso il basso e in avanti, e con le gambe posteriori frena bruscamente sollevando sbuffi di polvere nell’aria calda, mentre invece Levriero tende le orecchie in avanti e non accenna a diminuire l’andatura: Levriero va verso la staccionata con i muscoli guizzanti in tensione quasi metallica, arriva ormai lì, porta gli arti posteriori sotto di sé e batte a terra gli zoccoli con forza e potenza, sollevando contemporaneamente il suo treno anteriore e lanciandosi in aria con uno scatto prodigioso, proiettandosi verso l’alto molto più di quanto quella staccionata richieda, lui puledro che ancora non è in grado di calibrare al meglio la sua forza: e nel timore di impattare contro il legno del recinto solleva gli anteriori raccogliendoli sotto di sé con un gesto esatto e perfetto protendendo l’incollatura in avanti, sollevando il garrese e arrotondando la schiena come un arco che deve scoccare la freccia. Levriero supera la staccionata con un salto esagerato e ansioso, il carro del bufalaio non può andarsene così, no di certo… Levriero si riceve al di là del recinto dietro il quale rimane un Leandro stupito e fremente, e appena a terra piega bruscamente verso la sua sinistra gettandosi all’inseguimento del carro. Gli bastano solo poche falcate del suo galoppo vorticoso per recuperare sul passo lento e ciondolante delle bufale instupidite dal caldo e dalla fatica, e appena giunto alle spalle del carro rallenta trottignando affondando il muso nel mucchio verde e fresco, strappando voraci boccate di quell’erba buona e dolce. La sua erba: che diamine, come poterne fare senza, solo perché il bufalaio forse si è appisolato o forse sta pensando agli affari suoi o forse il caldo soffocante gli ha offuscato la mente facendogli dimenticare il rito quotidiano… ?

Nicola Petrone è laggiù, sotto la tettoia del fieno: ma non così lontano da non poter osservare distintamente tutta la scena. Vede il carro che arriva, anche lui si stupisce del fatto che non ci sia la sosta abituale, poi vede i due puledri che si agitano, li vede prendere insieme il galoppo, li vede andare verso la staccionata, vede che uno rallenta e l’altro no, pensa oddio ma quello adesso… salta, sì salta, ecco, ha saltato! Ha saltato davvero… e che salto! Nicola Petrone è colpito dalla qualità di quel salto più che dal fatto che Levriero se ne sia uscito così dal suo paddock: un evento decisamente inusuale, anzi quasi impossibile se non lo avesse visto adesso proprio con i suoi occhi… Quale cavallo mai se ne esce dal paddock saltando la staccionata… Da quando lui era succeduto a suo padre nel ruolo di caporazza lì, nell’allevamento dei nobili Morese (e quindi da sempre), non gli era mai successo di vedere una scena del genere… Eppure adesso Levriero era uscito dal paddock superando la staccionata con un salto plastico e scattante: lo aveva fatto perché voleva la sua erba, perché voleva prendere ciò che gli spettava, perché non si era rassegnato di fronte all’apparente inevitabilità degli eventi. Levriero aveva saltato la staccionata ed era uscito dal paddock, il grigio Leandro invece non se l’era sentita rimanendosene dietro il recinto, e quindi senza erba… «Questa gliela devo proprio raccontare… », pensa tra sé Nicola Petrone, «gli piacerà di sicuro!».

A chi l’avrebbe dovuta raccontare Nicola Petrone? A chi sarebbe di sicuro piaciuta la faccenda di Levriero che salta fuori dal paddock? Naturalmente al nobile Giuseppe Morese. Lui, certo. L’uomo al quale si doveva l’esistenza di ogni singolo cavallo e di ogni singola bufala lì a Pontecagnano. O meglio: a lui e alla sua famiglia, naturalmente. Una famiglia inscindibilmente legata all’allevamento e ai cavalli – oltre che alle bufale – soprattutto grazie alle ultime generazioni.

(…) Giuseppe è un grande amante del mondo del galoppo inglese e quindi del cavallo purosangue, è un assiduo frequentatore degli ippodromi oltremanica, ma più in generale è un uomo che ama e si identifica molto nello stile di vita ‘British’: di carattere tra l’altro piuttosto riservato, non molto espansivo nonostante le radici mediterranee, sempre vestito impeccabilmente e molto elegante a qualunque ora del giorno e in qualunque situazione. Per lui la campagna ideale è quella britannica: siepe e pascolo, non aratro e coltivazione. «La campagna come l’ha fatta Iddio (vedi Inghilterra) è una cosa bellissima», scrive di suo pugno in una delle note raccolte in un libricino a quadretti che lui riservava ai pensieri personali, «ma ha un nemico ignobile: l’aratro (vedi Italia) che la deturpa esteticamente e la rovina economicamente». Il suo pensiero sulle cose della vita è ben sintetizzato in un’altra nota: «Le sigarette, l’automobile e il progresso sono la rovina dell’umanità. Se volete star bene: non fumate, camminate a piedi (anche le scale) e cercate, per quanto possibile, di vivere all’antica. Da tutto il resto, se lo meritate, potrà difendervi solamente Iddio».

(…) Nicola Petrone dunque racconta a Giuseppe Morese l’impresa di Levriero. Non si era sbagliato, infatti: il nobile Morese si compiace molto dell’accaduto. Del resto a lui piacevano i cavalli di carattere, coraggiosi e audaci: proprio come si era dimostrato Levriero in quell’occasione.

Levriero e il suo compagno di paddock Leandro sono il tipico prodotto del classico incrocio dell’allevamento Morese. Entrambi sono figli di Ugolino da Siena (un purosangue nato nel 1932, ennesima ‘creatura’ del grande Federico Tesio alla razza Dormello), nati nel 1946, ma non sono fratelli pieni poiché le madri sono diverse: la mamma di Levriero è la derivata inglese Dalila, una figlia del purosangue My First e di Giunone, mentre quella di Leandro è l’irlandese Vera. Entrambi seguono parallelamente il cammino di crescita sia fisica sia tecnica, allenati e addestrati dal sapiente Nicola Petrone e seguiti passo passo dal nobile Giuseppe Morese, il quale dedica ai suoi cavalli e al suo allevamento praticamente tutta la sua vita: sembra quasi che i puledri per lui siano quei figli in realtà mai avuti.

(…) Come nel caso di tutti i puledri nati e allevati in Italia, anche per Levriero e Leandro – oltre che per altri loro compagni di scuderia – il primo obiettivo della carriera di cavalli sportivi è il Premio Nazionale di Allevamento ai loro quattro anni di età. Per gli allevatori è un traguardo poiché i cavalli da lì augurabilmente dovranno essere venduti o affidati a chi poi li gestirà nella loro carriera sportiva vera e propria, ma per i puledri è un punto di partenza: che può rivelarsi sia un trampolino di lancio se in quell’occasione tutto funziona a dovere, sia la prima e ultima occasione di apparizione pubblica se qualcosa va storto e di conseguenza il destino diventa l’anonimato più oscuro. Sia come sia, il Premio Nazionale di Allevamento è un evento di grande importanza, e lo rimarrà per anni e anni a venire.

L’edizione 1950 del Pna – la tredicesima – si tiene nei giorni 7 e 8 novembre a Roma, a Villa Borghese (…). Trentatre cavalli di quattro anni si sottopongono alle prove di valutazione: prima la misurazione, poi l’esame senza sella e quindi montati alle tre andature, infine mille metri di galoppo e un percorso di cinquecento metri con otto ostacoli di un metro come altezza massima. Il risultato finale è un vero e proprio trionfo dell’allevamento Morese: il grigio Leandro risulta primo classificato, Lido (un altro figlio di Ugolino da Siena) è secondo, Levriero quinto, tutti presentati e montati da Nicola Petrone. C’è anche un cavallo di proprietà di Costante d’Inzeo, Collevalle, allevato da Vittorio Peragallo, che si classifica al sesto posto.

Già, d’Inzeo. Giuseppe Morese da vero intenditore e da vero uomo di cavalli provava una grande ammirazione per Costante e anche per i suoi due figli, Piero e Raimondo, giovani cavalieri più che mai alla ribalta delle cronache sportive. In più durante il Pna il nobile Morese aveva alloggiato i suoi cavalli presso le scuderie della caserma Macao, un luogo particolarmente significativo per la storia della famiglia d’Inzeo. L’effetto di tutto ciò non può che essere uno: al termine del Pna Giuseppe Morese invita Costante d’Inzeo e i suoi due figli a dare un’occhiata più approfondita ai suoi puledri.

L’incontro avviene il giorno 10 novembre 1950. Per Costante è un’occasione certamente piacevole, ma non più di altre in cui era stato invitato a veder cavalli, valutarne la qualità, apprezzarne modello e morfologia. Raimondo invece è sorpreso di ricevere quell’invito da parte di uno dei più prestigiosi allevatori italiani, quindi vi si presenta con una certa emozione. Piero dal canto suo è molto interessato all’idea di vedere quei cavalli, soprattutto perché né lui né il fratello avevano avuto modo di seguire il Pna: ma ne conoscevano però il risultato, ovviamente, cosa che aumentava l’interesse e la curiosità nei confronti di quei tre puledri.

Giuseppe Morese quindi presenta i suoi tre gioielli ai d’Inzeo: ne descrive le caratteristiche e le personalità con la delicatezza e il coinvolgimento che un padre potrebbe avere nei confronti dei propri figli. Quando Levriero viene portato fuori dal box e condotto all’esterno della scuderia, Raimondo avverte dentro sé stesso una sensazione strana. Improvvisamente come in un flash della memoria si ricorda dei giorni trascorsi in cella di isolamento a Lecce durante il periodo dell’Accademia, punito per una stupida leggerezza, un rientro in caserma oltre l’orario concesso, quei giorni così difficili e anche dolorosi durante i quali lui era riuscito a scongiurare gli effetti di quella tortura usando la mente e il pensiero e la fantasia, immaginando la cosa più bella alla quale potesse pensare: il suo cavallo ideale, il cavallo dei suoi sogni. Si era quasi costretto a quei pensieri, Raimondo, per evadere da quella cella e da quelle privazioni, per ritrovarsi in un mondo immaginario nel quale vivere solo cose belle e desiderate: e allora il cavallo dei suoi sogni proveniva da un ottimo allevamento, doveva essere di grande temperamento ma allo stesso tempo dolce e di buon carattere, di mantello bruno scuro, con una stella bianca in fronte, con gli occhi grandi e intelligenti, un cavallo dai movimenti eleganti e con grande capacità di salto… Raimondo sdraiato su quel tavolaccio di legno al freddo aveva chiuso gli occhi e pensato a come lui si sarebbe dedicato all’addestramento e al lavoro del suo cavallo dei sogni, a quante zollette di zucchero e carote avrebbe avuto sempre disponibili per lui, alle gare che avrebbero vissuto insieme come compagni prima ancora che atleti, ai momenti di intimità condivisi in scuderia e lontano dal clamore delle arene di gara, e poi certo anche alle gare e alle vittorie e alle grandi imprese… Raimondo con gli occhi chiusi dentro quella cella gelida e mefitica aveva viaggiato con la mente attraverso la bellezza e l’emozione… Un’emozione che adesso Raimondo prova fortissima nel vedere Levriero nel cortile della caserma Macao: è la rappresentazione perfetta del cavallo dei suoi sogni! Raimondo è incredulo: ecco materializzarsi davanti ai suoi occhi l’immagine che era vissuta nella sua mente praticamente da sempre, ma trovando una fisionomia ben definita proprio durante i giorni della prigionia di Lecce. Quella fisionomia. Esattamente quella di Levriero, che ora è lì, in carne e ossa davanti a lui. Quanti cavalli ha montato in lavoro e in gara Raimondo fino a questo momento? Tanti, tantissimi: ma nessuno mai corrispondente al suo ideale, al cavallo dei suoi sogni. Nemmeno Maia, che Raimondo aveva acquistato nell’aprile di questo stesso anno, il 1950, e che era divenuta così il primo cavallo di sua proprietà, una baia tedesca nata nel 1943: nemmeno lei, per quanto amata e desiderata, e pur essendo la prima interamente sua. No, il cavallo dei suoi sogni adesso è qui di fronte a lui, il cavallo dei suoi sogni è Levriero.

Intanto Costante e Piero e Giuseppe Morese discutono di Leandro: Piero era rimasto colpito dal vincitore del Premio Nazionale di Allevamento e alla fine, dopo averlo anche provato in sella, si risolve per l’acquisto, forse aiutato da Costante, forse agevolato dallo stesso Morese per il quale vedere un proprio puledro sotto la sella di Piero d’Inzeo sarebbe stata certamente una grande soddisfazione.

Raimondo invece ha occhi solo per Levriero: sente di essere attirato verso quel cavallo da qualcosa di particolare, qualcosa che non è solo una fantasia immaginaria, qualcosa di ben più consistente. Interpreta dei segnali che potrebbero essere considerati banalissimi come invece qualcosa di molto significativo: si avvicina al cavallo e nota che Levriero lo guarda, come ovviamente farebbe qualunque cavallo in quella situazione ma per Raimondo quello è uno sguardo speciale. Mentre gli è vicino per accarezzargli l’incollatura Levriero muove la gamba anteriore sinistra e tocca la gamba destra di Raimondo: una pura casuale coincidenza di movimenti, ma per Raimondo è un segnale. Quando Raimondo mette una mano in tasca per poi porgere a Levriero uno degli zuccherini che aveva sempre con sé, il cavallo lo prende tra le labbra con immediata voracità: e quale cavallo non gradisce uno zuccherino… ma per Raimondo quello è il segno di una immediata intesa quasi esclusiva.

Raimondo chiede di poter montare Levriero. Il cavallo viene sellato e Raimondo non ha bisogno che di dieci minuti per esserne certo: Levriero è il suo cavallo, Levriero è il cavallo dei suoi sogni, Levriero non può che essere suo. Raimondo pensa con infinita gratitudine a suo padre, a quel lontano giorno in cui Costante aveva aperto due libretti di risparmio a favore dei figli: sul suo adesso Raimondo aveva il denaro sufficiente per permettersi di acquistare quel cavallo, Levriero, il cavallo dei suoi sogni. Dal canto suo Giuseppe Morese è felice più che mai: «I miei cavalli non potevano scegliere una famiglia migliore della vostra», dice sorridendo e stringendo vigorosamente le mani di Costante, Piero e Raimondo.

Mentre Piero è ovviamente soddisfatto, ma di una soddisfazione tutto sommato normalmente proporzionata a un evento del genere, Raimondo è invece preda di una specie di trance emotiva: gli pare di vivere ancora un sogno, il sogno in cui aveva sognato il cavallo dei suoi sogni, ma il cavallo dei suoi sogni adesso è qui, ed è suo. Raimondo torna in scuderia mentre gli altri rimangono fuori nel cortile della caserma chiacchierando al piacevole sole del novembre romano. Raimondo torna in scuderia e si dirige verso il box dove nel frattempo era stato ricondotto Levriero. Apre la porta ed entra: Levriero lo guarda con le orecchie ritte e le narici che si allargano per cogliere ogni minimo segnale. Raimondo e Levriero si guardano: poi Levriero lentamente abbassa la testa e allunga il collo protendendo il muso verso la mano di Raimondo, nella quale è già pronto il solito zuccherino. Levriero prende la zolletta tra le labbra, questa volta delicatamente, come sapendo che non c’è alcuna fretta e alcuna ansia perché quello zuccherino è suo e solo suo. Poi solleva di nuovo la testa guardando Raimondo con sguardo rilassato ma attento: Raimondo gli si avvicina ancor più, lo accarezza sull’incollatura dall’alto verso il basso, verso le spalle, e poi sul dorso e poi di nuovo sul collo e sulla ganascia e sulla fronte e poi sul naso morbido e vellutato. Raimondo accarezza Levriero, ed è questo il momento, proprio questo: il momento in cui Levriero smette di essere Levriero, per diventare il cavallo leggendario protagonista di mille trionfi. È questo il momento in cui Levriero diventa Merano.

(Tratto dal volume “D’Inzeo: due fratelli, una leggenda”, Ed. Grafiche Zanini, Bologna, 2017)