Vittorio Orlandi e un’opportunità preziosa

L’esito delle elezioni per il rinnovo delle cariche dirigenziali del comitato regionale della Fise in Lombardia potrebbe rappresentare il momento ideale per ritrovare concordia e armonia all’interno del mondo dello sport equestre italiano  

Bologna, martedì 16 ottobre 2018 – L’elezione di Vittorio Orlandi alla presidenza del comitato regionale della Fise in Lombardia offre all’intero mondo dello sport equestre italiano un’opportunità irrinunciabile, che prescinde del tutto dalla politica, dagli schieramenti, dalle squadre, dai convincimenti, dai programmi, dalle partigianerie. L’opportunità irrinunciabile per l’intero mondo dello sport equestre italiano è quella di poter dimostrare il proprio grado di maturità, consapevolezza e ‘qualità’, quella di dimostrare la propria capacità di vivere, esistere e lavorare PER lo sport e non CONTRO le persone. L’opportunità irrinunciabile è quella di poter chiudere una volta per tutte – circoscrivendolo tra un inizio e una fine – uno dei periodi più sgradevoli che il nostro mondo abbia attraversato negli ultimi quarant’anni. Sgradevole non sotto il profilo politico, non sotto il profilo sportivo, non sotto il profilo agonistico: bensì sotto il profilo… umano.

Vittorio Orlandi oggi avrebbe tutte le possibilità per togliersi più di qualche sassolino dalle scarpe; non solo perché ha vinto le elezioni in un’area d’Italia che volente o nolente non può essere paragonata ad alcun’altra regione nel nostro Paese: ma soprattutto perché lo ha fatto ricevendo un consenso schiacciante da parte dell’elettorato. Ma non lo farà. E non lo farà per una semplice ragione: lui è uomo abituato a guardare sempre avanti, mai indietro. Nemmeno quando voltandosi indietro potrebbero essere ancora chiaramente identificabili attacchi vergognosi alla sua persona e alla sua vita privata, oltre che alla sua dimensione di sportivo e di amministratore dello sport, quindi di politico. Vittorio Orlandi può piacere e può non piacere, le sue idee, la sua visione, i suoi modi, tutto questo può piacere o non piacere, e del resto la prova evidente l’abbiamo già avuta: alle elezioni nazionali il 23 gennaio 2017 è stato eloquentemente sconfitto perché la maggioranza dell’elettorato gli ha preferito Marco Di Paola (a sua volta sconfitto dallo stesso Vittorio Orlandi nelle elezioni precedenti), mentre il 15 ottobre 2018 la stragrande maggioranza degli elettori lombardi ha preferito lui a Emilio Roncoroni, quest’ultimo considerato il candidato di area dipaoliana. E’ quindi non solo più che legittimo, ma addirittura doveroso esprimere il proprio dissenso o assenso nei confronti del Vittorio Orlandi uomo politico. Quello su cui invece non si può discutere è il messaggio che Vittorio Orlandi trasmette a tutti noi: guardare avanti, appunto. Sempre e comunque. La sua vita stessa lo dimostra: lui è stato un grandissimo cavaliere ma non si è mai e poi mai ‘nascosto’ dietro i successi in sella; ha prodotto e promosso una quantità enorme di idee nel mondo del nostro sport, ma quelle che non hanno funzionato – e ce ne sono – non le ha mai più né rimpiante, né rivendicate, né riutilizzate; ha subito una sonora sconfitta elettorale il 23 gennaio 2017 e a quel punto avrebbe potuto benissimo ritirarsi nella sua scuderia e tra i suoi cavalli, invece ha voluto mettersi nuovamente in discussione con l’energia e l’entusiasmo e la forza dell’esordiente consapevole del rischio di una seconda sconfitta, per infine vincere.

Vittorio Orlandi ha 80 anni: il lungo cammino già compiuto con tutto il suo contenuto di bene e di male e di bello e di brutto non lo interessa più, ciò che lo interessa è il cammino da compiere. Ecco perché la sua elezione alla guida del comitato regionale della Lombardia rappresenta un’opportunità che il mondo dello sport equestre italiano oggi non dovrebbe lasciarsi sfuggire: anche e soprattutto quella parte di mondo che a Vittorio Orlandi si è dimostrata contraria (con tutta la più ricca varietà di toni possibili… ). L’opportunità di dimostrare che l’interesse comune è avanti, non indietro. Nonostante tutto.

Lavorare per lo sport non significa combattere contro le persone: anzi, significa l’esatto contrario. Ma non combattere contro le persone non vuol dire rimanere passivi accettando supinamente e qualunquisticamente tutto: vuol dire invece rendersi disponibili al confronto sulle idee e sui principi nel rispetto della persona che li enuncia. Combattere le persone significa infilarsi in un vortice vizioso dal quale non si esce più, rimanendone invischiati fino al punto da non capire più chi sta dicendo o facendo cosa: si viene risucchiati in ogni caso sempre più in basso, a prescindere da torti e ragioni. Invece nell’ambito della nostra piccola comunità lottare per le idee e per i principi è ciò che significa far avanzare e crescere lo sport.

La consapevolezza di tutto ciò – e la conseguente assunzione di una precisa responsabilità – la deve raggiungere una volta per tutte il mondo degli amministrati forse più ancora di quello degli amministratori: nessun dirigente sportivo, si chiami egli Marco Di Paola o Vittorio Orlandi o Giuseppe Rossi o Mario Bianchi, potrà mai lavorare bene se costretto a muoversi in un mondo fatto di pregiudizio, polemica, sotterfugio, malafede, falsità, opportunismo. Nessuno. Un mondo così è un mondo avvelenato nel quale tutti saranno sempre scontenti di tutto: potranno cambiare le facce nelle caselle, ma la giostra continuerà a muoversi su sé stessa e il punto di arrivo coinciderà sempre e soltanto con quello di partenza.

Marco Di Paola guida meritatamente la Fise avendo vinto le elezioni nel gennaio del 2017. Vittorio Orlandi guida meritatamente il comitato regionale della Fise in Lombardia avendo vinto le elezioni ieri. Entrambi verranno nuovamente giudicati nel loro operato dagli elettori tra due anni (come tutti gli altri dirigenti regionali e nazionali): nel frattempo l’interesse primario del mondo dello sport equestre italiano – e quindi di tutti noi – è che questi due anni vengano vissuti in maniera costruttiva. Ognuno dia il meglio di sé, dunque, e non il peggio: anche noi.