Olimpiadi e salto ostacoli: formula da rivedere

Tokyo 2020 ha proposto un format profondamente mutato nel regolamento delle prove sia individuale sia a squadre: dimostrando nel concreto che i timori già evidenziati anni fa non erano affatto infondati

Una suggestiva panoramica dello stadio di Tokyo 2020 (p. Arnd Bronkhorst/FEI)

Bologna, sabato 7 agosto 2021 – Abbiamo ancora negli occhi le favolose vittorie del britannico Ben Maher su Explosion nella gara individuale e dei tre stupendi campioni svedesi in quella a squadre, Malin Baryard su Indiana, Henrik von Eckermann su King Edward, Peder Fredricson su All In: ma ormai il programma del salto ostacoli olimpico a Tokyo 2020 è terminato e dunque è arrivato il momento delle riflessioni e delle considerazioni finali.

La prima considerazione da fare, che è anche quella più… rapida sia nella forma sia nella sostanza, è che lo sport inteso nel senso di attività agonistica ha prodotto risultati non solo meravigliosi ma anche assolutamente ineccepibili: tutti i protagonisti del podio hanno meritato al cento per cento la medaglia conquistata offrendo uno spettacolo sensazionale. Questa prima considerazione farebbe pensare che dunque tutto sia andato nel migliore dei modi dal punto di vista dell’impianto… diciamo regolamentare della competizione olimpica, ma in realtà non è così, anche perché il risultato finale non è solo quello delle tre posizioni sul podio: c’è un esito complessivo che riguarda la dinamica della competizione, il modo in cui si è svolta, ciò che è accaduto nei vari momenti vissuti giorno per giorno, la realtà agonistica anche di chi è rimasto dal terzo posto in giù.

ATTESA PER LA VERIFICA
Questa edizione delle Olimpiadi era molto attesa per verificare nel concreto ciò che avrebbe voluto dire passare da quattro a tre binomi nella composizione di ciascuna squadra (quindi senza più la possibilità di scartare il peggior risultato dei quattro). Contro questo cambiamento si era espresso senza mezzi termini tutto il mondo degli atleti, con in testa il Club Internazionale dei Cavalieri (l’International Jumping Riders Club). Ma si è trattato di una protesta tanto vibrante e trasversalmente condivisa quanto… inutile dal punto di vista pratico, poiché non ha potuto determinare alcuna modifica rispetto alle decisioni prese da quella Assemblea Generale della Fei nella quale le federazioni nazionali avevano votato a favore di tale cambiamento. Esatto, le federazioni nazionali: veniamo quindi qui al primo punto critico, oggetto di discussioni importanti e ‘forti’. Sinteticamente parlando, in sede di votazione ogni federazione esprime un voto, del tutto a prescindere dalla realtà sportiva esistente al proprio interno… Cioè: la parola di una federazione che per assurdo registra un solo praticante vale tanto quanto quella (per esempio) della Germania… In realtà questo è il padre/madre di tutti i problemi che a pioggia ne conseguono ma, dato per scontato che al momento così è, evitiamo di andare oltre su questo fronte perché il tema è veramente troppo ampio per essere affrontato in questa sede.

PREVISIONI
Chi da subito si è schierato contro questa formula – squadre a tre invece che a quattro – non avrebbe avuto bisogno di verificarne l’esito, ma adesso che l’esito si è manifestato nella realtà, beh… le argomentazioni a sostegno della critica non possono che essere ancora più consistenti. Gli interrogativi che con ottima cognizione di causa erano stati sollevati già a suo tempo erano molto chiari: cosa sarebbe successo a una squadra che avrebbe visto un proprio componente ritirato o eliminato? A una squadra che si sarebbe ritrovata con un cavallo vittima di un infortunio? Nel dare la risposta bisogna necessariamente tenere conto del fatto che non stiamo parlando di una Coppa delle Nazioni qualsiasi, fosse pure quella più importante del pianeta, e nemmeno di un campionato internazionale pur importante come quello del mondo: stiamo parlando di Olimpiadi, una manifestazione che per prestigio, notorietà, importanza e mille altri motivi si colloca al vertice massimo dello sport mondiale. Non solo, stiamo parlando di uno sport – il nostro – che non ha similitudini né analogie nella famiglia olimpica, dimostrandosi assolutamente unico: perché noi abbiamo come protagonista della voce ‘atleta’ anche un animale, con i suoi bisogni, con il suo corpo, con la sua realtà fisica, tecnica, atletica ed emotiva.

DIMOSTRAZIONE
Migliore dimostrazione contro la formula a tre non avrebbe potuto esserci: il Giappone. Esatto, la squadra di casa. La squadra del Paese che ha sostenuto uno sforzo organizzativo che di per sé è notevolissimo sempre, ma che è stato reso questa volta gigantesco da tutte le complicazioni – su tutte il rinvio – causate dalla pandemia. Un gruppo di cavalieri di salto ostacoli che ha profuso sforzi e risorse in misura straordinaria per presentarsi nella giusta competitività ai Giochi, raggiungendo molto bene l’obiettivo come dimostrato dalla prova individuale che ha visto tutti e tre i binomi qualificati per la finale e uno addirittura arrivare al barrage per la medaglia d’oro. Poi nella prova qualificativa a squadre un lievissimo infortunio di un cavallo durante la preparazione in campo prova ha cancellato la squadra (fortissima, senza alcun dubbio) da questa Olimpiade.
Altro caso, il Messico. Partito benissimo nella prova qualificativa a squadre con il primo binomio, poi l’eliminazione del secondo, e un ottimo percorso del terzo: fine dei Giochi anche per i messicani.

BENESSERE E PERICOLO
Tutto ciò detto a proposito di Giappone e Messico riguarda anche l’Irlanda. Ma il caso dell’Irlanda è purtroppo ancor più significativo poiché ha rappresentato con eloquenza sensazionale anche un’altra delle riflessioni che i contrari alla formula a tre avevano sollevato immediatamente e senza alcun dubbio in merito: quella relativa al benessere sia dei cavalli sia dei cavalieri. Detta in estrema sintesi: l’impossibilità di fare a meno di uno dei tre risultati – così come invece accade con la squadra a quattro – potrebbe generare complicazioni serie anche da questo punto di vista. Detto e – purtroppo – fatto. Abbiamo visto tutti quello che è accaduto quando in campo nella prova qualificativa è entrato il primo dei tre binomi irlandesi, quello composto da Shane Sweetnam sul grigio Alejandro, un cavallo che per un motivo o per l’altro – i commenti si sono sprecati sul tema nelle discussioni ‘social’, ma vero è che l’evidenza è stata imbarazzante… – non era in grado di portare a termine quel percorso. Sweetnam però è andato avanti fino al punto di franare a terra in una rovinosa caduta che fortunatamente non ha avuto conseguenze gravi, ma che le avrebbe potute avere senza alcun dubbio: sia per lui sia per il suo cavallo. Molto gravi, tra l’altro, vista la dinamica… E’ vero che Sweetnam avrebbe potuto – e probabilmente dovuto… – ritirarsi prima di arrivare a quel punto, ma un conto è ragionare da osservatori esterni a mente fredda, altro conto è essere in campo sapendo che il proprio ritiro avrebbe compromesso irrimediabilmente la gara non solo dei propri compagni ma anche del proprio… Paese; certo, poi tale ipotesi è divenuta realtà nel peggiore dei modi, ma questo lo si è potuto sapere solo con il senno del poi… Sweetnam probabilmente avrà pensato di potercela fare comunque, anche perché Alejandro è cavallo dagli ottimi risultati in carriera sebbene in gare di livello non paragonabile a quello di un’Olimpiade (comunque Coppe delle Nazioni, Gran Premi di Global Champions Tour, il Campionato d’Europa 2019… ). Il punto è che le regole – queste regole – gli hanno lasciato solo due opzioni: continuare rischiando, oppure ritirarsi determinando la fine della gara per l’Irlanda. Se le regole fossero state diverse è probabile – ma ovviamente la riprova non c’è – che il cavaliere irlandese si sarebbe ritirato, nella consapevolezza di non compromettere con questo il risultato olimpico della propria squadra nazionale.
La verità è che le regole servono proprio per andare oltre le realtà soggettive, particolari e personali. Che rubare nei supermercati sia vietato è chiaro per tutti, anche per chi lo fa senza avere altro modo per nutrire i propri figli: la regola non si modifica sulla base delle realtà soggettive. Se Sweetnam avendone la possibilità non si fosse ritirato sarebbe stato condannabile certamente più di quanto lo sia ora.

GARE SECCHE
E’ giusto sottoporre cavalli (soprattutto) e cavalieri a due prove che non hanno alcuna incidenza sul risultato finale, se non quella di condurre individuali e squadre alla finalissima? Si dirà: inevitabile, per creare una selezione. Giusto, vero: ma allora facciamo in modo che per il risultato finale contino anche gli sforzi sostenuti nelle prove di qualifica, che non sono propriamente una passeggiata. Prendiamo il caso della Svezia: ieri unica squadra su diciannove formazioni a chiudere a zero nella qualifica con tre percorsi favolosi. Gli Stati Uniti invece 13 penalità… Oggi però è stato necessario un barrage per attribuire la medaglia d’oro proprio tra Stati Uniti e Svezia. Tutti hanno chiuso a zero penalità: responso del cronometro, quindi. Se gli Stati Uniti avessero vinto superando di un centesimo, ma anche di un decimo di secondo, o perfino di uno, due o tre o più secondi interi la Svezia, sarebbe stato giusto? Sì, perché la regola dice che la medaglia si gioca solo su questa gara. La regola, appunto: ciò di cui si discute! Da sportivi e da uomini di cavalli, come si fa a ignorare il merito della Svezia ieri, in una gara che comunque era di livello massimo?
Idem nel caso degli individuali: perché non calcolare anche l’esito della prova qualificativa nel punteggio complessivo di ciascuno dei trenta binomi finalisti? Non se ne avrebbe – come nel caso delle squadre, del resto – una risposta più fedele nel rispecchiare i valori in campo? Oltre che dare alla prova qualificativa un’importanza ben superiore all’attuale? Tutto questo non comporterebbe alcun aggravio in termini di durata delle prove o di incremento del numero delle giornate di gara: sarebbe semplicemente un modo giusto per riconoscere il valore dell’impegno di binomi che l’obiettivo olimpico ce l’hanno una sola volta in quattro anni…
Ci sarebbe il problema però nel caso della sostituzione di un binomio (cosa che è possibile: un’altra delle regole nuove utilizzate in Tokyo 2020, una buona regola questa volta) che ha fatto la prova qualificativa con uno che invece entra in finale ‘a freddo’: ma lo si potrebbe risolvere semplicemente scartando il peggior punteggio tra i due.

UN BARRAGE ASSURDO
Caso della gara individuale. Allora, cosa dice l’attuale regolamento? Si fa una qualificativa individuale: i primi trenta vanno in finale, dunque si tiene conto del tempo per il trentesimo posto nel caso di due o più concorrenti a pari penalità in quella posizione, e anche per determinare l’ordine di ingresso in campo in finale. In finale, cioè, parte per primo il concorrente che dei trenta ha il risultato peggiore in termini di penalità e tempo, e per ultimo quello con il risultato migliore. Partire per ultimo ovviamente rappresenta un vantaggio innegabile a questo livello di competitività: lo è sempre, in qualunque gara a barrage o a due manches. Ma – ecco l’assurdità – nel barrage della finale individuale si parte nell’ordine inverso alla classifica stabilita dalle penalità e dal tempo del percorso base! Cioè: tu regolamento mi dici che io nella prova di qualificazione devo essere preciso e anche veloce per guadagnare non solo la qualifica ma anche una posizione di vantaggio nell’ordine di partenza, io dunque vado veloce mettendo a repentaglio la precisione e quindi rischiando anche di commettere quell’errore che verosimilmente potrebbe negarmi l’accesso alla finale, e poi una volta compiuta felicemente l’opera tu – regolamento – mi dici che il vantaggio che io mi sono conquistato non conta più proprio nella frazione decisiva? Cioè, quale sarebbe il vantaggio di partire – poniamo – per ultimo nel percorso base della finale se poi tale posizione non mi viene confermata anche in barrage? O meglio, giriamo la questione: perché io nella prova qualificativa dovrei lottare per conquistare un vantaggio che poi non serve più a niente? Come si fa ad accettare una regola del genere?

IN CONCLUSIONE
Detto tutto ciò, bisogna anche riconoscere che le cose a questo livello non sono mai semplici. Criticare è facile, fare è difficile: questo vale sempre e comunque, in qualunque campo della vita umana. Ma le critiche costruttive possono aiutare a migliorare: non c’è ragione alcuna per ritenere che per Parigi 2024 non sia possibile modificare qualcosa alla luce di un dibattito che certamente nei prossimi giorni si aprirà sui temi di cui abbiamo detto qui.