Bruno Chimirri, sangue azzurro

Parla l’uomo che chiude le partite, il cavaliere che più volte entrando in campo ostacoli come ultimo della squadra ha avuto la responsabilità di determinarne il destino in Coppa delle Nazioni

Bologna, 17 luglio 2018 – È forte. È esperto. Non è più giovane, ma non è ancora vecchio. Vede le cose da lontano, ma le vede anche da vicino. Parla perché sa. Sa perché fa. Fa perché è Bruno Chimirri: un cavaliere fenomenale.

Falsterbo, domenica scorsa: ancora una volta ultimo a entrare in campo in Coppa delle Nazioni, ancora una volta doppio zero…

«Sì, ormai sembra che debba andare così… ».

Ecco: ma lei si sente davvero così? Sente di arrivare a una Coppa delle Nazioni essendo l’elemento che come quarto a partire rischia di essere determinante, come accaduto a Roma per vincere e a Falsterbo per arrivare al barrage?

«No, non mi sento così, io. Alla fine non credo che cambiando l’ordine dei fattori cambi il risultato: in una squadra tutti cercano di fare del proprio meglio e noi direi che ci stiamo riuscendo. Forse si pensa che tenere per ultimo me porti bene, o forse si pensa che io sia quello che tiene di più la concentrazione… Non so. È un pensiero eventualmente altrui, non mio».

Però dentro di lei c’è una quantità di vita vissuta in mille situazioni che forse può in qualche modo determinare il suo atteggiamento, il suo comportamento, le sue reazioni…

«Beh, forse sì. In questo momento io sono il più anziano, non so cosa pensino di questo i miei compagni, ma probabilmente l’esperienza aiuta».

E poi lei ha sempre avuto un atteggiamento molto particolare nei confronti del concetto di squadra…

«Questo sì, senza alcun dubbio. È un atteggiamento nato dentro di me già a partire dalle prime Coppe delle Nazioni cui ho preso parte. Io credo che sia uno degli aspetti più belli del nostro sport. Vivere la squadra per come la viviamo noi dà l’opportunità di provare sensazioni molto più forti, eccitanti, stimolanti. Come se la condivisione dell’esperienza di squadra acuisse tutti i sensi. È la vita di squadra che dà qualcosa in più a noi: non siamo noi che diamo qualcosa in più alla squadra».

La sua volontà di valorizzare il concetto di squadra è stata molto chiara ed evidente in diversi concorsi nei quali lei ha privilegiato la Coppa delle Nazioni al Gran Premio, per esempio…

«Sì, però è una cosa che non mi pesa. È vero che a livello economico pensando alle cifre che circolano oggi potrebbe anche rivelarsi un danno piuttosto consistente, però a fronte del rischio economico preferisco godermi le sensazioni e le risposte sportive come quelle che ho vissuto in questi ultimi anni con la squadra».

Probabilmente, poi, le prestazioni del suo Tower Mouche sono più funzionali al risultato di una Coppa delle Nazioni che di un Gran Premio.

«Sì, è vero. Però è tutto comunque finalizzato a quell’obiettivo. Quando noi ci muoviamo come Italia andiamo a un concorso per partecipare alla Coppa delle Nazioni. Le Coppe delle Nazioni sono importantissime non solo per la nostra federazione, ma anche per noi singoli cavalieri che altrimenti non avremmo la possibilità frequente di partecipare a concorsi di così alto livello, con tutto ciò che significa soprattutto in relazione alla crescita dei nostri cavalli. Per tutti noi, per i nostri cavalli, per il nostro futuro è quindi fondamentale rimanere nel circuito di Prima Divisione».

Un obiettivo prevalente anche sul risultato del Campionato del Mondo e sulla possibile qualifica alle Olimpiadi?

«Per me il principale obiettivo è la permanenza nella Prima Divisione. Certamente lo è anche il Campionato del Mondo, però se a Tryon riusciamo a qualificarci per le Olimpiadi dopo aver perso la Prima Divisione è un dramma: non potremmo più partecipare a quei concorsi, i nostri cavalli perderebbero la possibilità di essere impegnati in quel tipo di difficoltà e di contesto, e tra l’altro proprio nell’anno che precede Tokyo 2020. Noi uscendo dalla Prima Divisione non potremmo di certo fare come i nostri fortissimi Lorenzo De Luca o Alberto Zorzi che hanno la possibilità di partecipare al Global Champions Tour: noi ci ritroveremmo a dover fare solo Cattolica, Arezzo, Gorla eccetera… Faccio un esempio concreto: prendere un bronzo al mondiale e uscire dalla Prima Divisione sarebbe infinitamente peggio che arrivare settimi a Tryon e rimanere in Prima Divisione. Questo è il mio modo di vedere le cose».

È bello considerare questa sua visione così ampia e globale, e non finalizzata a un singolo evento… 

«È un discorso che riguarda il nostro futuro. Di tutti noi come squadra, come cavalieri e come nazione nello sport. Noi abbiamo cavalli oggi di nove anni che sono sulla rampa di lancio e che meritano l’anno prossimo di fare la Prima Divisione per far sì che il nostro movimento rimanga ai vertici».

Lo spirito di squadra di cui parlava prima è ampiamente esaltato anche da Luca Marziani…

«Lui lo fa proprio a livello sportivo. A lui piace da morire questa cosa. Se c’è da risparmiare il cavallo per la Coppa lui lo risparmia, ha questo istinto di voler rappresentare l’Italia per farla andare in alto… Ma penso che sia per tanti di noi così, secondo me è una caratteristica molto italiana che ci rappresenta e ci contraddistingue».

Molto bella la scena a Piazza di Siena con Luca Marziani che salta in campo come un invasato quando lei ha chiuso a zero il suo percorso dando così la vittoria della Coppa delle Nazioni all’Italia…

«Una scena che rimarrà nella storia. Una scena stupenda».

Per lei e Luca Marziani doppio zero a Roma e doppio zero a Falsterbo. Purtroppo però in Svezia il risultato non ci ha premiato…

«Un quarto posto che… beh, diciamo che avremmo meritato qualcosa in più, ma lo sport è fatto così. Il risultato di Falsterbo dal punto di vista del punteggio ci sta un po’ stretto, bisogna riconoscerlo».

Però le prestazioni sono state eccellenti: come è stato vissuto l’avvicinamento a quella gara da parte di voi tutti?

«Tutti noi abbiamo svolto un programma studiato precedentemente e che era finalizzato a fare bene la Coppa delle Nazioni a Falsterbo. Il piano è stato rispettato da ciascuno di noi scrupolosamente e nei minimi dettagli. Tutti sapevamo che in Svezia avremmo dovuto cercare il risultato per il quale ci eravamo preparati e tutti indistintamente ne eravamo convinti: e ci siamo riusciti, se calcoliamo l’andamento della Coppa».

Anche questa cosa ha una certa importanza: la consapevolezza da parte di ciascuno di voi che gli altri fanno quello che si è deciso di fare.

«Certo. Assolutamente. Il fatto è che salvo qualche rara eccezione di chi non ha saputo o non ha voluto apprezzare la dimensione e il valore della squadra questa cosa è sempre stata così tra noi cavalieri italiani. Fare gruppo vuol dire tenersi in contatto, capire, discutere, programmare, condividere, informarsi sullo stato di forma e di lavoro dei cavalli di ciascuno di noi. La nostra è una squadra fatta di amici e di professionisti e tutti vogliamo che sia così».

A capo della squadra nazionale c’è Duccio Bartalucci, che sta facendo un lavoro meraviglioso.

«Duccio è stato fuori dallo sport di alto livello per tanto tempo ma è una persona intelligente e sensibile. È come uno di quegli imprenditori che ovunque tu li metti riescono a capire al volo quali sono le cose da raddrizzare o da cambiare o da inventare per migliorare la vita di un’azienda. Le situazioni e l’evoluzione dello sport che lui non ha vissuto per diversi anni le ha capite e comprese immediatamente, con il fiuto del vero uomo di cavalli, del vero uomo di sport, del vero uomo di squadra. Lui apre la mente, dà la possibilità a tutti di crescere, fa girare tutti, magari si inventa lo Csio a due stelle a casa di chissà chi solo per mandare alcuni cavalieri a fare esperienza. Cerca di aprire la rosa e di dare a tutti la possibilità di crescere».

E poi con lui dovrebbe essere facile e bello avere un dialogo.

«Lui è molto, molto aperto. Ascolta tutti. E poi si fida di noi. Quando ragioniamo sul da farsi tutti parlano e tutti dicono la loro, in maniera costruttiva. Adesso siamo tutti coscienti del fatto che dopo Falsterbo dobbiamo assolutamente rafforzarci: e allora uno stringe i denti e va e l’altro magari stringe i denti e rimane a casa. Deve essere così. Questo è lo spirito di squadra».

La situazione nella classifica generale della Prima Divisione non è rosea, in effetti…

«Adesso sarà difficile, ma non impossibile. La Spagna in classifica ha 275 punti e ha finito il suo circuito. Noi abbiamo 177.5 punti: se tra Hickstead e Dublino prendiamo 100 punti siamo davanti alla Spagna, pur se di poco. Arrivando ultimi due volte di punti ne faremmo 90: 45 più 45, e non basterebbero ovviamente. Escludendo l’ultimo posto nelle due gare, la peggiore delle ipotesi sarebbe essere due volte al settimo posto: sarebbero 50 più 50 punti, dunque 100 e dunque saremmo davanti alla Spagna, e quindi la nostra Prima Divisione sarebbe salva mentre retrocederebbe la Spagna. Se poi arriviamo anche davanti a un’altra squadra tipo Gran Bretagna o Irlanda che come noi devono fare sia Hickstead sia Dublino non solo rimaniamo in Prima Divisione ma andiamo anche a fare la finale di Barcellona. Quindi nella peggiore delle ipotesi noi dobbiamo essere due volte settimi: cosa che possiamo fare direi tranquillamente, e se facciamo meglio ce ne andiamo pure a Barcellona che comunque è una gara che non conta niente in previsione futura, è solo l’opportunità per fare un concorso bellissimo, dare la possibilità ad alcuni cavalli di farla, è una possibilità in più. Ma di fondamentale c’è il rimanere in Prima Divisione. Quindi dobbiamo assolutamente evitare l’ultimo posto a Hickstead: perché poi altrimenti arriviamo a Dublino presi per la gola, a un mese dal Campionato del Mondo, con il carico di tensione e preoccupazione che se per caso ci succede un incidente siamo nei guai fino al collo… ».

Lei veste la divisa dell’Arma dei Carabinieri. Il più famoso tra i cavalieri che ha vestito quella divisa è Raimondo d’Inzeo…

«Il grande. Il più grande».

Ecco, appunto: cosa pensa del fatto di indossare quella divisa, cosa pensa di Raimondo d’Inzeo, e cosa pensa di quello che sta vivendo lei adesso rispetto a quello che ha vissuto lui?

«Con una leggenda come Raimondo d’Inzeo non ci si può paragonare. Mai. Nessun paragone reggerebbe. Per me lui è… non lo so, un’icona, qualcosa che non saprei descrivere. Io sono ancora uno di quelli che quando parla di equitazione ha l’orgoglio contro qualunque nazione di dire che noi in Italia abbiamo avuto Raimondo d’Inzeo. Questa consapevolezza è qualcosa che ci deve rendere fieri e orgogliosi, che ci deve dare qualcosa in più rispetto ai cavalieri di qualunque altra nazione. È anche una grande responsabilità. Portare la stessa divisa di Raimondo d’Inzeo per me è bellissimo, ma lo è anche per mille altri motivi: perché l’Arma dei Carabinieri è una famiglia, una vera famiglia. Se a questo aggiungiamo che quei colori sono stati i colori di Raimondo d’Inzeo, beh… Voglio raccontare un episodio. Tanto tempo fa, una delle ultime volte che ho fatto Aquisgrana, nel vialetto che unisce il campo prova al campo gara sono stato fermato da una signora che è venuta con una mia fotografia a chiedermi l’autografo. Nella pagina accanto c’era la fotografia di Raimondo d’Inzeo con il suo autografo. E tutti e due con la divisa dell’Arma dei Carabinieri: io questa cosa non la dimenticherò mai finché vivo. Una cosa che mi fa rimanere senza fiato… Cosa devo dire d’altro? Niente si può dire, d’altro. Capisce?».

(Sì, certo. Bruno Chimirri: sangue azzurro. Questa intervista è dedicata alla memoria di Amalia Vivaldi Chimirri)