XXII Giornata della Memoria per le vittime delle mafie: anche l’equitazione c’è

Oggi si celebra la XXII Giornata della Memoria per ricordare le più di novecento vittime innocenti delle mafie, e anche il mondo dell’equitazione fa qualcosa per non dimenticarle: come con il Memorial Master d’Italia Indoor dedicato al generale Dalla Chiesa del Gese, ad esempio…

Bologna, 21 marzo 2017 – «Venticinque anni senza mai fermarsi, senza un attimo di esitazione, spinti dalla passione e con la ferma consapevolezza che quanto è stato fatto finora ha sempre messo in primo piano, ancor prima del puro aspetto agonistico, due magnifiche figure del nostro Paese: il generale Carlo Alberto dalla Chiesa e la moglie Emanuela Setti Carraro».

E’ questo lo spirito che ha animato la 25° edizione del Master d’Italia Memorial Dalla Chiesa e che traspare dalle parole con cui il Comitato Organizzatore ha presentato ufficialmente l’evento tenutosi da giovedì 8 sino a domenica 11 dicembre 2016 al Gruppo Emiliano Sport Equestri di San Lazzaro di Savena.

Perché abbiamo il dovere di ricordare e prendere esempio da chi, come loro, mise sempre i valori della legalità al di sopra di ogni altra cosa: anche della propria vita.

Unire lo sport alla lotta contro le mafie? Si può

Era il 1992 quando la formidabile Maria Antonietta Setti Carraro, madre di Emanuela, lanciò l’idea di ricordare la figlia e il genero trucidati dieci anni prima con un concorso ippico legato alla loro memoria. Quelli del Gese accolsero la sfida e da allora ad ogni edizione hanno fatto crescere l’evento sportivo e, in parallelo, una serie di iniziative destinate a sensibilizzare e far crescere nei giovani l’attenzione ai temi della legalità: grazie alla stretta collaborazione con il Comune di San Lazzaro e a tante altre realtà presenti sul territorio negli anni si è costruita una tradizione di opportunità positive offerte agli studenti delle scuole superiori locali, che ogni anno consolidano la sensibilità raggiunta e la fanno crescere ulteriormente, in un circuito positivo e virtuoso.

Il Prefetto che venne lasciato solo

Piccolo ritratto del generale Carlo Alberto dalla Chiesa

di Maria Cristina Magri

Per capire chi fosse il generale Dalla Chiesa bisogna leggere una sua biografia: ti trovi davanti ad una sfilza di incarichi e situazioni eccezionali che sembra di scorrere la sceneggiatura di un film, viene quasi impossibile immaginare che una sola persona possa aver affrontato tante cose difficili in una vita sola. Guerra, Resistenza, lotta al banditismo e alla Mafia e alle Brigate Rosse. Poi ancora contro la Mafia a Palermo, non più come ufficiale dei carabinieri ma come Prefetto: ci verrà assassinato assieme alla moglie il 3 settembre del 1982, l’agente Domenico Russo che li seguiva morirà dopo giorni di agonia. Ma per riempire di colore un figura quasi astratta nella sua eccezionalità dovete cercare su Youtube una intervista televisiva concessa dal generale ad Enzo Biagi: vedrete un uomo abituato a contenersi entro i limiti di una rigida forma, quasi risorgimentale nel suo modo di parlare così serio e attento. Ma che dice cose vere, calde, nette e decise: e proprio per contrasto con il registro di espressione così ufficiale, la tenerezza di certi sentimenti e la delicatezza con cui li affida a chi lo ascolta risalta ancora più viva, e speciale. «Piemontese di ferro per coerenza, costanza, perseveranza e amore per lo Stato; ma di tanto in tanto saltano fuori l’impulsività, la fantasia e anche lo humor emiliano della mia famiglia di origine», dice a Biagi lo stesso generale Dalla Chiesa: e c’è da essere orgogliosi che appartenesse, almeno un po’, anche alla nostra terra.

«Chiunque pensi di combattere la Mafia nel “pascolo” palermitano e non nel resto d’Italia non farebbe che perdere tempo» – Carlo Alberto dalla Chiesa.

Eleonora Setti Carraro, o della ferma dolcezza

Era nata nel 1950 a Borgosesia da una famiglia della buona borghesia. Se il generale ha qualcosa di risorgimentale, Emanuela sembra uscita da un libro di Liala: un poco demodé nella sua scelta di fare l’infermiera volontaria della Croce Rossa Italiana quando le coetanee strillavano sulle barricate del ’68, qualcosa di originale per quegli anni che andavano in direzione ostinata e contraria. A conferma che Emanuela non fosse certo una educata bambolina bionda senza volontà anche la sua scelta sentimentale: si innamora del generale Dalla Chiesa (che era vedovo dal 1978), uomo affascinante e che comprendiamo benissimo possa aver conquistato una ragazza di 31 anni più giovane che ne condivideva gli stessi valori. Lui chiede la sua mano ai genitori Setti che gliela rifiutano in diretta, e lei che fa? Accarezza la guancia del padre, si siede sulle ginocchia del fidanzato e se ne esce con un bel «E io me lo sposo lo stesso». Il loro matrimonio durerà solo 54 giorni: fino ai Kalashnikov di via Carini che la uccisero per prima, come per far soffrire ancora di più Carlo Alberto Dalla Chiesa.

Domenico Russo: la terza vittima di Via Carini

Assieme a Carlo Alberto dalla Chiesa e alla moglie Emanuela c’era anche lui, il poliziotto di Santa Maria Capua Vetere

Una vita per l’Arma vissuta in mezzo a tanti carabinieri. Ma vicino al generale e alla moglie quella sera del 3 settembre 1982 c’era un agente di polizia, Domenico Russo. Aveva la stessa età della signora dalla Chiesa. L’unica foto che abbiamo di lui è di quelle in bianco e nero, da carta d’identità: scattata in una macchinetta automatica con la tendina davanti, fatta un po’ di corsa magari perché c’era da rinnovare un documento – dai che poi devo tornare in servizio. Ma la foto è venuta bene: Domenico ha una bella faccia pulita, la bocca è seria ma negli occhi gli scappa da ridere. Dalla Chiesa si fidava di lui: non era la sua scorta, che è sempre formata da almeno due agenti – uno guida e l’altro è armato. Domenico era da solo, perché il generale e la moglie uscivano e lui li seguiva su una macchina di servizio per coprirgli le spalle. Aveva con sé la sua pistola d’ordinanza, una Beretta modello 92. Sapete quanti colpi ha una Beretta modello 92? quindici. Quindici proiettili in tutto. Domenico Russo con quei quindici proiettili, è sceso dalla sua Alfetta: dopo che la BMW dei mafiosi aveva bloccato la A112 guidata da Emanuela, dopo che i Kalashnikov AK-47 avevano già cominciato a crivellare la macchinetta bianca. Gli altri erano almeno in quattro. Sapete quanti colpi ha un Kalashnikov? 35, più quello in canna. Un uomo contro quattro bestie, quindici colpi contro centoquarantaquattro. Domenico Russo sapeva di essere praticamente disarmato eppure è sceso lo stesso da quella Alfetta per cercare di fare qualcosa, almeno fermarne uno. Hanno fermato lui per sempre: è morto dopo dodici giorni di agonia, senza riprendere mai conoscenza. Aveva 32 anni, una moglie e due bambini piccoli. Adesso ha anche una Medaglia d’oro al Valor Civile: «…proditoriamente fatto segno a numerosi colpi d’arma da fuoco esplosi a distanza ravvicinata da parte di alcuni appartenenti a cosche mafiose, tentava di reagire al fuoco degli aggressori nell’estremo eroico tentativo di fronteggiare i criminali». Parole da burocrate, come una fotografia in bianco e nero da mettere sulla carta d’identità: eppure da quel “tentava” scappa ancora fuori il coraggio di Domenico, come un sorriso dagli occhi.

Una Méhari verde speranza

La macchina del giornalista napoletano Giancarlo Siani, ucciso dalla camorra il 23 settembre 1985, è al centro de “Il Viaggio Legale”: un percorso di cittadinanza e contrasto alle mafie tramite le armi della cultura, della formazione e dell’informazione. Ne parliamo con Alessandro Gallo, uno dei referenti organizzativi dell’iniziativa

Alessandro Gallo è attore, scrittore e regista teatrale attivissimo nella formazione alla legalità, ormai un vecchio amico del Memorial Dalla Chiesa che ogni anno trova il modo legare il Master d’Italia Indoor a un progetto dedicato ai giovani.

Quest’anno ha scelto fare tappa a San Lazzaro di Savena con la Citroën Méhari di Siani che girerà tutta l’Emilia Romagna per far conoscere Giancarlo, la sua figura, il suo esempio e quello che ha lasciato in eredità spirituale a noi tutti.

Voi potete osservare in tempo reale la reazione degli studenti a queste proposte etiche: c’è speranza per il futuro?

«Si, nelle prime tappe i ragazzi hanno dato una gran risposta. All’inizio erano imbarazzati, ma in occasione del dibattito organizzato alla Casa della Conoscenza di Casalecchio con Politicamente Scorretto di Carlo Lucarelli abbiamo fatto un esperimento: la biblioteca era oscurata mentre loro guardavano Fortapàsc, il film di Marco Risi sulla vita di Giancarlo. Sui titoli di coda abbiamo acceso le luci e scoperto le vetrate, i ragazzi si sono ritrovati l’auto sotto gli occhi. “Ma è quella vera?” hanno chiesto stupiti. Da lì è stato facile raccontare di Giancarlo, erano già legati a lui da qualcosa di concreto».

Era la macchina sulla quale è stato ucciso sotto casa: 10 colpi alle spalle da una Beretta 7,65. Tutti alla testa.

«Giancarlo la adorava: tra l’altro l’aveva acquistata proprio qui, a Bologna. Quante coincidenze belle ci sono sempre legate a Giancarlo Siani: era intitolato a lui il primo premio che vinsi da studente, quando partecipai (per punizione!) ad un progetto teatrale della scuola. Con questa auto stiamo riconsegnando la vita di un ragazzo di 26 anni; non era un eroe ma un uomo normale, che faceva bene il suo lavoro. Dobbiamo stare attenti alla mitologia dell’antimafia centrata sugli eroi: la speranza vera si basa su cittadini e uomini di stato che ogni giorno scelgono consapevolmente di fare il bene».

Come funziona la collaborazione con il Memorial Dalla Chiesa?

«Nel migliore dei modi: è grazie al loro aiuto che abbiamo potuto fare anche la tappa di San Lazzaro, lavorando per molte ore con 700 ragazzi delle scuole. Una collaborazione così continua negli anni sta dando i suoi frutti: siamo cresciuti tantissimo, il comune ci ha dato fiducia e messo a disposizione gli strumenti necessari. E la risposta c’è: in Emilia si sta lavorando bene su queste tematiche. Magari l’emiliano non ama il folklore, la fiaccolata fine a se stessa. Ma noi sentiamo dalla gente che c’è in corso una nuova resistenza: e si stanno combattendo le mafie».

La Via Emilia, un’auto e le armi della cultura

L’idea di viaggiare lungo la Via Emilia con la Mehari di Giancarlo Siani, nasce ad aprile 2016 da un’intuizione di Caracò e IoLotto. L’obiettivo del progetto “Il viaggio Legale” è realizzare un percorso di contrasto alle mafie che miri a creare cittadini consapevoli e responsabili e buone prassi nel mondo del lavoro, avendo come base i principi della legalità, dell’etica e della cultura dell’antimafia.

Un’idea condivisa che ha subito trovato l’adesione totale della FILT CGIL Emilia-Romagna e Bologna, da sempre attenta al fenomeno delle infiltrazioni criminali nel settore dei trasporti.

“Il Viaggio Legale” vede tra i promotori, FILT CGIL Emilia-Romagna e Bologna, Caracò, Libera Emilia-Romagna, IoLotto e CNA FITA.
Il progetto rientra, inoltre, all’interno di “inFILTrazioni Legali”.