Pietro Roman e una leggerezza rischiosa

Il cavaliere azzurro è stato squalificato per sei mesi dal tribunale nazionale antidoping a causa di tre inadempienze circa il rispetto delle norme che regolano la reperibilità imposta agli atleti olimpici

Bologna, 16 giugno 2017 – L’ignoranza della legge non scusa: detta altrimenti, la legge non ammette ignoranza. E, tanto per essere chiari, ignoranza è da intendersi in senso letterale… Adesso Pietro Roman l’ha imparato sulla sua pelle e suo malgrado. Il cavaliere azzurro infatti è stato squalificato dal 5 gennaio 2017 al 4 luglio 2017 dal tribunale nazionale antidoping. Lo ha reso noto la Nado, l’organizzazione nazionale antidoping. Una squalifica che però con il doping in senso stretto non c’entra assolutamente nulla: c’entra piuttosto con il rispetto delle norme (le Norme Sportive Antidoping: Nsa) che regolano la rintracciabilità e la reperibilità (Whereabouts) degli atleti olimpici. Cosa è il Whereabouts? Definizione data dal documento che contiene le Nas: “Informazioni sui luoghi di reperibilità e permanenza fornite trimestralmente dall’atleta inserito in un gruppo registrato ai fini dei controlli. La mancata o inesatta comunicazione delle informazioni richieste può costituire violazione delle Nsa”. Detto in soldoni: l’atleta olimpico deve redigere un calendario trimestrale relativo ai propri spostamenti e ai propri luoghi di residenza, così da essere rintracciabile in ogni momento per eventuali controlli; se non lo fa, si potrebbe supporre l’intenzione di eludere tali possibili controlli. L’articolo 2 delle Nsa intitolato “Violazioni del codice mondiale antidoping” al paragrafo 4 dice: “Violazione delle condizioni previste per gli Atleti che devono sottoporsi ai controlli fuori competizione, incluse la mancata presentazione di informazioni utili sulla reperibilità e la mancata esecuzione di test che si basano sullo Standard internazionale per i controlli. Ogni combinazione di tre controlli mancati e/o di mancata presentazione di informazioni entro un periodo di diciotto mesi, accertata dalle Organizzazioni antidoping aventi giurisdizione sull’Atleta, costituirà violazione delle Nsa”. L’articolo 4 intitolato “Sanzioni individuali” al paragrafo 3 terzo capoverso stabilisce che “per la violazione dell’articolo 2.4 (mancata presentazione di informazioni utili sulla reperibilità e/o mancata esecuzione di controlli), il periodo di squalifica determinato sulla base del grado di colpevolezza dell’Atleta, va da un minimo di anni uno a un massimo di anni due”. Bene, alla luce di tutto questo il fatto che Pietro Roman abbia ricevuto una squalifica di sei mesi (invece del minimo stabilito in un anno) la dice lunga sul suo grado di… colpevolezza. Colpevolezza – o meglio: negligenza – che certamente c’è stata. Roman era convinto che una volta terminate le Olimpiadi di Rio de Janeiro – alle quali lui ha partecipato nella specialità del completo – fossero terminati anche i suoi obblighi di rispetto delle Nas e del Whereabouts: invece no, perché lui rimane comunque iscritto nel registro degli atleti di interesse olimpico. Pietro Roman è risultato ‘colpevole’ di tre inadempienze: la prima gli veniva notificata dalla Procura Nazionale Antidoping (Pna) il 22 settembre 2016 riguardante la mancata comunicazione in relazione alle informazioni sulla reperibilità (Whereabouts). Roman nemmeno se n’è accorto perché la comunicazione gli è stata trasmessa tramite posta elettronica certificata (Pec) che lui non ha l’abitudine di consultare, come la stragrande maggioranza delle persone, del resto… Successivamente il 5 ottobre 2016 la Pna gli contestava una seconda inadempienza: Roman non aveva generato il calendario relativo al quarto trimestre 2016. Infine terza inadempienza notificatagli l’11 gennaio 2017: il giorno 5 gennaio Pietro Roman non si è fatto trovare nel luogo e nell’ora indicati sul modulo di reperibilità. Il controllo è avvenuto tra le 5 e le 6 della mattina (o della notte, a seconda dei punti di vista… ): Pietro naturalmente era a letto che dormiva con sua moglie e con in camera anche il loro figlio piccolo e quindi con la suoneria del cellulare silenziata: il medico incaricato di effettuare il controllo non ha suonato il campanello a causa del sopraggiungere dei quattro cani da guardia che hanno cominciato ovviamente ad abbaiare con veemenza. Ha telefonato più volte al cellulare di Roman, ma senza ottenere risposta: poi se n’è andato. Pietro al risveglio si è accorto di tutte quelle chiamate e così si è messo subito in contatto con l’ufficiale sanitario. Però la procedura è andata avanti e fortunatamente si è risolta bene, grazie anche alla dimostrazione al cospetto del tribunale antidoping della assoluta buonafede di Pietro Roman e quindi solo della sua negligenza, cosa che ha spinto i giudici a irrogare una sanzione di soli sei mesi (di fatto Roman starà a piedi meno di un mese) anziché del minimo previsto di un anno. Una negligenza che però avrebbe potuto comportare fino a due anni di inibizione dell’attività agonistica… un’enormità, se rapportata a semplici dimenticanze. Un’esperienza, quella vissuta da Roman, utile non solo a lui ma anche a tutti i cavalieri olimpici come lui.