Anselmo Carlevaro: l’equitazione e la giustizia

Parla il procuratore federale della Fise: una lunga intervista in cui si affrontano i temi più significativi con i quali l’ufficio da lui diretto si confronta quotidianamente…

Roma, sabato 23 febbraio 2019 – Anselmo Carlevaro, 48 anni, è il procuratore federale della Fise, ruolo da lui ricoperto a partire dal dicembre del 2012 quando alla presidenza della federazione c’era Antonella Dallari.

Signor procuratore, lei è un avvocato di professione ma il suo ruolo all’interno della Fise è assimilabile a quello di un magistrato: giusto?

«Sì, io sono un avvocato di professione, ma la nostra attività in Fise è quella di un ufficio indagini: e può essere paragonata a tutti gli effetti a quella dell’ufficio di un pubblico ministero».

Tecnicamente cosa deve succedere per generare l’attività della procura federale?

«Direi che fino a oggi nel novantanove per cento dei casi abbiamo avviato le nostre indagini a seguito di denunce, ma la nostra attività può anche essere esperita d’ufficio: noi potremmo fare verifiche e in seguito avviare un’indagine semplicemente sulla base di segnalazioni, oppure a seguito di notizie provenienti dagli organi di informazione».

Quali sono le fasi lungo cui si muove la giustizia federale?

«La procura federale si occupa di avviare le indagini e di verificare se i tesserati che vi sono coinvolti hanno posto in essere violazioni di norme, di regolamenti o di principi federali, oppure di principi o norme e regolamenti Coni; dopodiché chi si occupa di stabilire se le nostre indagini e i nostri deferimenti sono fondati o meno sono gli organi di giustizia, quindi il tribunale in primo grado e la corte d’appello federale in secondo grado. La nostra giurisdizione è solo su soggetti tesserati o che all’epoca del fatto erano tesserati. Una cosa molto importante è chiarire che il mancato rinnovo del tesseramento alla federazione non esime il soggetto dalla nostra indagine se all’epoca dei fatti era tesserato».

Su quanti professionisti conta l’ufficio della procura federale?

«L’ufficio si compone di me, del procuratore aggiunto e di cinque sostituti».

Lei svolge fisicamente il suo lavoro nei locali della Fise?

«Sì, io ho un ufficio gestito da un responsabile che è un dipendente della Fise che è stato delegato a occuparsi per l’appunto dell’ufficio della procura federale».

Come è nato il rapporto tra lei e la Fise?

«Io sono stato nominato perché avevo delle precedenti esperienze in organi giudicanti di altre federazioni, avevo una consolidata esperienza in diritto sportivo».

Per una sua specifica predilezione?

«Io sono un appassionato di sport ma come spesso accade nella vita professionale di un avvocato anche questa esperienza è nata un po’ per caso. Tanti anni fa un amico mi ha chiesto se potevo dargli una mano nell’essere componente di un organo di giustizia della federazione del tennis da tavolo: io ho risposto affermativamente, ho quindi lavorato per quella federazione, poi ho lasciato e sono entrato a far parte della corte generale d’appello della palla a volo della quale sono ancora oggi componente. Poi mi è stato chiesto di mandare il mio curriculum in Fise, io l’ho mandato e infine sono stato nominato procuratore federale alla fine del 2012. Ho iniziato a lavorare a tutti gli effetti nel gennaio del 2013».

Con i cavalli ha mai avuto contatti?

«Non sono un cavaliere, anche se da piccolo ho montato a cavallo, come tanti bambini del resto. Però avevo nitidi ricordi di eventi ai quali avevo partecipato come spettatore, Piazza di Siena per esempio… e quando sono arrivato in Fise ero convinto che la parte disciplinare fosse un qualcosa di molto virtuale, pensavo a un mondo di massima signorilità, popolato solo da persone di un certo tipo, di un certo valore, di un certo spessore… ».

Invece poi ha cambiato idea?

«Diciamo che mi sono reso più conto della realtà. Il giorno prima della riunione che Antonella Dallari aveva convocato per conoscere tutti i componenti della procura e degli organi giudicanti sono passato in ufficio per farmi un’idea più concreta della situazione e della mole di lavoro che mi aspettava. Ho trovato duecento fascicoli disciplinari pendenti… ».

Caspita… una bella quantità!

«Eh sì… Diciamo che in quel momento ho capito che il lavoro da fare non sarebbe stato poco».

Quindi lei è fisicamente molto impegnato in Fise…

«Tutti i giorni. A volte lavoro dalla mattina alla sera tra udienze, interrogatori e quant’altro, a volte invece mi capita di dover solo verificare la corrispondenza cartacea o elettronica e fare i controlli di routine. In ogni caso io sono in Fise tutti i giorni».

Ha scoperto con stupore una realtà di questo genere, dunque…

«Sì, con grandissimo stupore. Poi nel corso degli anni e nella costruzione di questo lavoro, di questo ufficio e di questa squadra ho compreso perfettamente i motivi per cui una federazione come la Fise può essere così sensibile da un punto di vista disciplinare».

Durante il suo intervento in occasione di un recente convegno organizzato a Padova dal comitato regionale veneto lei ha colpito il pubblico dichiarando che la Fise statisticamente è ai vertici della classifica tra le varie federazioni nazionali per numero di procedimenti disciplinari.

«Sì, la Fise si attesta nelle primissime posizioni di questa graduatoria. Ma bisogna chiarire alcuni aspetti circa questo tema. Nel 2015 abbiamo avuto una riforma epocale con l’introduzione del nuovo codice della giustizia sportiva del Coni, e siamo passati da una amministrazione della giustizia sportiva con criteri diciamo non troppo tecnici e professionali a un’estrema professionalizzazione soprattutto per quanto riguarda l’attività delle singole procure federali delle federazioni sportive. È stata introdotta la procura generale dello sport, l’organo centrale del Coni che controlla l’attività di tutte le procure delle federazioni sportive: siamo quindi passati su un piano estremamente professionale, estremamente tecnico, in cui appunto vengono richieste prestazioni di altissimo livello e di altissimo profilo. Una delle peculiarità esclusive della Fise rispetto alle altre federazioni sportive è che noi ci occupiamo anche di doping: siamo l’unica federazione a farlo, perché il doping umano è affidato all’ufficio centrale antidoping del Coni ma noi abbiamo quello equino. E solo noi, ovviamente. Ciò dimostra la caratteristica distintiva principale della Fise: quella di vedere come protagonisti due atleti diversi e distinti ma statutariamente tutelati allo stesso modo, cioè il cavaliere e il cavallo. Siamo dunque diversi da tutti gli altri, ma non migliori o peggiori: semplicemente diversi. Come federazione quindi siamo molto più impegnati, c’è molto più da fare».

Come funziona il rapporto con la procura generale dello sport?

«La procura generale dello sport è l’organo centrale del Coni che vigila sulle procure, ed è formato da un procuratore generale e attualmente se non sbaglio da dodici procuratori nazionali. Noi carichiamo tutti gli atti su una piattaforma informatica e quindi loro in tempo reale conoscono lo svolgimento della nostra attività. Non possono intervenire su tutti i casi in cui noi decidiamo di deferire al cospetto dei tribunali federali, ma hanno potere decisivo sulle nostre richieste di archiviazione: tutte le richieste di archiviazione sono sottoposte al vaglio della procura generale del Coni che può decidere se accettarle o meno. E ovviamente la procura generale può intervenire in tutti quei casi in cui si noti una certa inerzia nello svolgimento dell’attività di indagine, potendo di conseguenza avocare a sé tale svolgimento: ma nel nostro caso fino a oggi fortunatamente non è mai successo. All’inizio si sospettava che noi potessimo vedere con un po’ di diffidenza la creazione di un organo sovraordinato, in realtà è stata una grandissima occasione di collaborazione e per noi un grosso appoggio perché spesso loro ci danno una grande mano con la loro professionalità per dare impulso alle nostre indagini. Un ottimo rapporto, insomma».

Al di là delle particolarità prettamente tecniche, da un punto di vista di quadro generale, di percezione della realtà umana, culturale, sensibile… che immagine si è fatto del mondo dell’equitazione italiana attraverso la finestra dalla quale lo osserva lei?

«Direi che è un’immagine assolutamente positiva, perché caratterizzata da un sentimento bellissimo come la passione così particolare che lega l’uomo all’animale. Il problema è che c’è tantissimo, ma tantissimo da fare da un punto di vista etico perché purtroppo la cultura sia sportiva sia disciplinare di molti tra i tesserati della Fise per diverse ragioni è ancora legata a ottiche veramente molto poco etiche e a comportamenti molto poco edificanti. Ho detto molti tra i tesserati, per fortuna non tutti, ovviamente. Da qui il problema della gran quantità di procedimenti disciplinari».

Quindi la massa dei procedimenti disciplinari rivela una prevalente carenza di carattere etico rispetto a quella di carattere per così dire tecnico?

«Diciamo di sì, carenze di carattere etico legate a un problema che è anche quello più generale della nostra società e della vita di tutti i giorni, al di là dei confini del mondo del nostro sport: nel senso che dove girano dei soldi chiaramente c’è la possibilità o la tentazione di porre in essere comportamenti in violazione delle regole».

Quali sono le aree e gli ambiti maggiormente caratterizzati dall’illecito nel mondo del nostro sport?

«L’illecito più banale, ma che tale non deve essere affatto considerato, è una delle più tipiche frodi in concorso: la sostituzione di un cavallo. Il gioco è molto semplice. Io porto in concorso un cavallo già molto performante, dico che è un altro cavallo, finisco la mia gara con un ottimo risultato: in questo modo il cavallo che non ha partecipato alla competizione ma che è stato formalmente indicato come quello partecipante ha la possibilità di migliorare il proprio curriculum e di accrescere il proprio valore. Abbiamo avuto molti casi del genere negli anni passati: adesso fortunatamente sono in diminuzione, e naturalmente spero che non lo siano per mancanza di controlli sul campo ma perché in qualche modo l’intervento degli organi di giustizia sia servito per sensibilizzare su questo tema. Ma negli anni passati sono stati coinvolti in vicende del genere anche atleti di alto livello della nostra federazione. Era un sistema diffuso, direi: dal basso verso l’alto e dall’alto verso il basso… un po’ tutti ne erano coinvolti».

In tal senso è determinante il ruolo degli ufficiali di gara.

«Certo, assolutamente. Le due figure di controllo in concorso, e che devono essere i veri motori della federazione sul campo, sono gli ufficiali di gara e gli istruttori. Sono due grandi figure perché a loro è delegata gran parte dell’attività federale sotto tanti profili: agli ufficiali di gara il rispetto delle regole, agli istruttori l’attività di istruzione, di formazione e di educazione degli atleti fin dall’età dell’infanzia. Partendo da tali presupposti, noi abbiamo ancora molto da fare per quanto riguarda la professionalità degli ufficiali di gara: ci aspettiamo molto di più perché di fatto abbiamo avuto tantissimi casi in questi anni di frodi in concorso. Come ho detto, però, tali casi sono in diminuzione quindi il progresso c’è ed è evidente».

Continuiamo con la panoramica degli illeciti più ricorrenti…

«Maltrattamento dei cavalli. Vediamo quanti eccellenti preparatori e bravissimi formatori ci spiegano e ci dimostrano come il percorso formativo di un cavallo possa e debba essere svolto in assoluta tranquillità e serenità. Tuttavia i casi contrari sono e rimangono tantissimi. È uno di quei settori in cui maggiormente si avverte l’ambiguità del comportamento di alcuni tesserati o di proprietari di cavalli: persone che affidano i propri equidi a un soggetto terzo nonostante nell’ambiente sia rinomato l’utilizzo di sistemi coercitivi o violenti da parte di tale soggetto terzo. Noi nel corso del tempo abbiamo individuato e colpito alcune di queste situazioni, anche in casi molto gravi in cui i cavalli hanno subito lesioni permanenti o sono arrivati perfino alla morte: è stato un lavoro molto complicato, molto complesso, è un lavoro che ci ha impegnato e continua a impegnarci moltissimo».

Maltrattamento può essere considerato anche costringere i cavalli a vivere quotidianamente in strutture non adatte allo scopo…

«Certamente. Infatti un altro ambito in cui abbiamo fatto tanto ma in cui c’è da fare ancora molto è proprio quello delle condizioni dei centri ippici affiliati alla Fise. La Fise prevede una serie di norme e di regole circa gli standard qualitativi oltre che quantitativi dei centri ippici, regole che sono finalizzate a garantire la tutela della salute e del benessere sia dei cavalli sia dei cavalieri, tutela che è stabilita dal nostro statuto. Spesso molti centri ippici in cui ci siamo imbattuti, o circa i quali abbiamo ricevuto segnalazioni, erano in condizioni addirittura al di sotto della fatiscenza. Molte situazioni di malnutrizione, di poca cura, di poca attenzione e anche di potenziale pericolo generato dalla condizione delle strutture… Da questo punto di vista i comitati regionali hanno cominciato a darci una grande mano, e con l’aiuto del dipartimento veterinario in molti casi siamo riusciti a riportare in condizioni più che tollerabili il contesto del centro ippico che in quel momento era oggetto delle nostre attenzioni. Parlando dei centri ippici, un altro dei temi sensibili sui quali la Fise in questi anni sta facendo molto è quello delle competenze degli operatori che agiscono all’interno appunto dei centri ippici. Abbiamo avuto negli anni passati il problema di istruttori che operavano in un centro e davano la firma anche in altri centri e quindi in realtà la vita quotidiana e la preparazione delle scuole soprattutto pony non era affidata a istruttori federali bensì in moltissimi casi a persone prive di alcun titolo o a Oteb. Anche su questo siamo dovuti intervenire: e sono certo che le sentenze che abbiamo ottenuto dagli organi di giustizia siano state poi oggetto di approfondimento da parte di chi le regole le deve dettare, e quindi la Fise stessa, con aggiornamenti dei regolamenti tecnici e di formazione degli istruttori e individuazione delle rispettive competenze. E per finire c’è poi un problema che però non è tanto della Fise quanto di tutta la realtà italiana: cioè il pressapochismo nelle questioni economiche, quindi nella gestione amministrativa di centri ippici, nei rapporti tra la dirigenza e i soci, il problema delle compravendite e il ruolo degli istruttori che ne diventano mediatori… Troppi casi di passaggi di denaro in nero: noi non abbiamo le competenze della guardia di finanza, ma un richiamo all’ordine da un punto di vista etico sul rispetto delle regole dobbiamo farlo necessariamente».

Poi c’è quella delicatissima problematica che riguarda i rapporti personali e intimi tra istruttori e allievi, un tema che ultimamente è diventato di grande attualità…

«Sì, è un po’ l’argomento sulla bocca di tutti, è inutile girarci attorno. Il problema c’è ed è un problema serio. Un problema che purtroppo ci distingue perché anche in questo specifico settore abbiamo più casi rispetto a quelli delle altre federazioni sportive, casi che sono emersi per merito di tanti operatori e tesserati. Sono così venute pian piano alla luce alcune vicende che magari in altri ambiti e in altre situazioni non stanno ancora emergendo: speriamo che questa stessa sensibilizzazione prenda piede anche in altre federazioni».

Dunque si può dire che c’è una consapevolezza del problema da parte dell’ambiente stesso.

«Sì, sta nascendo una assoluta consapevolezza del problema. E fatti che un tempo erano oggetto di chiacchiere a mezza bocca, silenzi ed omertà oggi non lo sono più. Qualcosa sta cambiando, in senso positivo. Siamo orgogliosi di poter dire che la Fise e i suoi tesserati prima di altre federazioni e dei loro tesserati si stanno sensibilizzando sul problema. È poi vero che la situazione della Fise è diversa da quella delle altre federazioni, per tante ragioni. Andiamo per gradi. Intanto bisogna stare attenti a usare i termini, il termine pedofilia e il termine abuso. Non sono termini tanto distinti, però di casi di veri e propri abusi su minori al di sotto dei dieci anni fino a oggi ne abbiamo incontrato uno. Detto ciò, la vita del maneggio e dei concorsi è diversa da quella di qualsiasi altra attività sportiva. Perché il maneggio va vissuto al cento per cento, il rapporto con il cavallo e la cura del cavallo implicano una frequentazione assidua del centro ippico, soprattutto nel momento in cui da una fase iniziale si passa all’impegno intenso della pratica sportiva. Poi i concorsi sono momenti molto particolari di aggregazione, non durano due ore e poi tutti si torna a casa: si sta fuori anche per giorni. Tutto questo implica un rapporto tra l’istruttore e i propri allievi molto più assiduo e di maggiore frequentazione rispetto a quello che si vive in altri sport. E l’istruttore, che sia uomo o che sia donna, viene visto come una figura in grado di esprimere un grandissimo fascino agli occhi dei propri allievi. Il momento realmente pericoloso è quindi quello della crescita, dello sviluppo dei ragazzi, un momento in cui i ragazzi cominciano a essere sensibili in maniera diversa a quel fascino: ed è qui che purtroppo abbiamo trovato tantissimi casi di istruttori che hanno abusato della loro posizione per ottenere vantaggi di carattere sessuale nei confronti di allievi o di allieve, soprattutto allieve, che in alcuni casi potremmo definire tra virgolette consenzienti, in altri casi invece del tutto non consenzienti. Purtroppo di questi casi ne stiamo venendo a conoscenza sempre più spesso giorno dopo giorno, ma il nostro obiettivo è andare verso procedimenti disciplinari zero, questo sarebbe l’obiettivo. Ovviamente con l’applicazione di sanzioni disciplinari che spesso sono realmente coercitive perché radiare o sospendere per molti anni un istruttore che si è macchiato di questi abusi è chiaramente molto coercitivo: noi gli togliamo il lavoro, in alcuni casi glielo togliamo definitivamente, un lavoro costruito in tanti anni… Quindi dobbiamo lavorare sempre di più sulla formazione e sulla educazione dei nostri ragazzi; ma soprattutto dei nostri istruttori i quali, lo ripeto, hanno un ruolo fondamentale, assolutamente fondamentale».

Non sarà facile lavorare su questi casi, anche perché ci saranno delle percentuali di rapporto umano che hanno pur sempre la loro importanza nel bene come nel male, al di là del lecito e dell’illecito: probabilmente una delle aree di intervento più complicate in assoluto, no?

«Eh sì, certo. Per questo non è facile, soprattutto non è facile entrare diciamo a gamba tesa in situazioni molto particolari in cui noi dobbiamo andare decisamente a intrometterci nella vita delle persone, a capire esattamente l’ambito in cui determinati episodi si sono verificati, anche per graduare il livello delle responsabilità… No, non è assolutamente facile.  Noi come professionisti dobbiamo stare molto attenti al modo in cui ci muoviamo: quando abbiamo l’occasione di sentire ragazzi che sono stati coinvolti in questi abusi e in questi comportamenti, lo dobbiamo fare con tutte le tutele del caso, e quindi sempre con i genitori o comunque con chi esercita su di loro una forma di vigilanza e di controllo. Sono prevalentemente gli avvocati donna del nostro ufficio a occuparsi degli interrogatori: hanno una sensibilità diversa rispetto a noi uomini e una maggior attenzione e una maggior delicatezza nello svolgere questo lavoro. Anche perché tra le ragazze e i ragazzi, ma anche tra i loro familiari e amici, predominano sentimenti di vergogna, di paura, di difficoltà ad aprirsi con un organo così freddo, glaciale, visto quasi come inquisitore come può essere la procura federale. Però è vero che questo accadeva soprattutto all’inizio: oggi le cose stanno cambiando molto, c’è più fiducia nel nostro lavoro, noi abbiamo continuamente migliorato le nostre tecniche professionali e quindi stiamo ottenendo risultati positivi sia da un punto di vista umano sia da quello strettamente legato all’efficacia della nostra attività di indagine».

La vostra attività in qualche modo dovrebbe essere vista anche sotto il profilo del valore divulgativo dei contenuti che la caratterizzano…

«La mia speranza è proprio questa. Noi lavoriamo all’interno di un ordinamento sportivo… parliamo di sport, di qualcosa che dovrebbe essere esente da qualsiasi macchia e peccato, dovrebbero prevalere temi quali il fair play e la sportività a tutti gli effetti. Quindi sì, io combatto esattamente per questo: credo che il nostro lavoro sarà realmente efficace nel momento in cui arriveremo non solo alla diminuzione dei casi disciplinari ma soprattutto alla sensibilizzazione e poi alla condivisione di temi che fino a qualche anno fa venivano sottaciuti, che politicamente erano scorretti, di cui si aveva paura di parlare e che invece oggi iniziano a essere sdoganati. L’obiettivo è proprio questo: svolgere un lavoro che dovrebbe assumere sempre più un carattere divulgativo e sempre meno un carattere sanzionatorio. Tanto più riusciamo in questa opera di divulgazione attraverso il nostro lavoro, quello degli organi di giustizia della federazione ma prima di tutto quello degli operatori sul campo, quanto più arriveremo a far diminuire il numero di casi disciplinari e a ottenere una maggiore attenzione sull’importanza di mantenere determinati comportamenti. Anche perché poi l’obiettivo di tutti è quello di divertirsi, lavorare, guadagnare, avere sempre più lavoro, sempre più tesserati, e quindi togliere tutte quelle macchie che possono condizionare la vita federale, dei tesserati e degli sportivi che vivono la vita della Fise».

Quindi anche un’intervista di questo tipo può avere una sua finalità in tal senso.

«Io ne sono estremamente convinto. Ripeto: in molti casi l’intervento della procura è servito a mediare e infine comporre determinate situazioni. E questa è stata una cosa che io vivo come un vanto. Quando io sono stato nuovamente nominato procuratore federale dopo il primo quadriennio, e non era mai accaduto che un procuratore federale fosse nominato per due quadrienni consecutivi, i primi messaggi che ho ricevuto provenivano tutti da persone che erano state sottoposte a indagini da parte della procura federale, e in alcuni casi da persone che erano state deferite e poi condannate dagli organi di giustizia della federazione. Speriamo che il nostro lavoro sia sempre più compreso, ci teniamo sempre a dire che noi siamo tutti i giorni in ufficio, l’indirizzo email è procura@fise.it e molto spesso rivolgersi a noi può prevenire determinati problemi, un intervento della procura non deve necessariamente comportare un deferimento o un’attività di carattere inquisitorio ma al contrario può anche favorire la composizione e la soluzione di determinati problemi a vantaggio di tutti i soggetti che ne sono coinvolti. Perché il panorama non è affatto tutto nero: in questi sei anni io ho avuto la fortuna di incontrare persone realmente di valore tra istruttori, ufficiali di gara, tecnici, dirigenti, atleti, un fantastico ufficio veterinario che ci offre sempre la massima collaborazione… Bisogna rivolgere un grosso plauso a tutti coloro i quali operano rispettando non solo le regole ma anche i principi etici di un’attività il cui sano spirito realmente sportivo deve assolutamente prevalere su tutto».