Sull’onda dei reiterati casi di West Nile Virus che stanno interessando sempre più frequentemente l’Europa e l’Italia, l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe) cha condotto un voluminoso studio che conferma l’efficacia della sorveglianza integrata One Health nel monitoraggio del West Nile Virus (WNV) e del virus Usutu (USUV) nelle regioni endemiche del Nord Italia, in particolare il Veneto.
Pubblicati sulla rivista Pathogens i risultati del monitoraggio 2022-2023 mostrano come la riemergenza del WNV lineaggio 1 e la sua co-circolazione con il lineaggio 2 abbiano determinato un’intensa attività virale, con ricadute significative anche sul piano clinico umano.
Attivo dal 2008, il sistema di sorveglianza integra dati entomologici, veterinari e sanitari e ha permesso di attivare misure tempestive di contenimento, come per esempio il controllo delle donazioni di sangue e organi.
Immunologicamante impreparati?
La domanda su cosa favorisca il successo di WNV-1 rispetto a WNV-2 resta aperta. Tuttavia, alcuni elementi possono offrire una spiegazione plausibile: in primo luogo, la mancanza di immunità nell’avifauna selvatica, rimasta “scoperta” dopo dieci anni di assenza del ceppo 1. Nel 2022, molte specie stanziali, come cornacchie e gazze, sono risultate altamente suscettibili, mentre nel 2023, l’infezione si è spostata maggiormente verso le specie migratorie, segno di un possibile effetto protettivo derivato dall’infezione dell’anno precedente.
La ricerca, svolta in collaborazione con la Regione Veneto e l’Università di Padova, evidenzia anche il ruolo centrale degli uccelli selvatici come serbatoi virali e della zanzara Culex pipiens come vettore principale. Lo studio conferma l’efficacia della sorveglianza integrata come strumento di allerta precoce per la circolazione virale, e offre nuove informazioni sugli ospiti aviari coinvolti nel ciclo selvatico degli ortoflavivirus nell’area endemica italiana. Il cambiamento climatico – con temperature elevate e scarsità di acqua – ha favorito la concentrazione di zanzare e uccelli, amplificando il rischio di trasmissione.
Il modello italiano, rafforzato dal Piano Nazionale Arbovirosi e supportato da strumenti di citizen science come l’app Mosquito Alert, rappresenta un esempio concreto di applicazione del paradigma One Health.
Responsabilità in scuderia
Non dimentichiamo che quello della West Nile è un tema molto sentito ‘in scuderia’ in quanto i cavalli (e gli ambienti che li ospitano) sono uno dei luoghi di proliferazione preferito dalle zanzare. E quindi, se non trattati adeguatamente, rappresentano un punto di diffusione della malattia.
Isolata per la prima volta nella lontanissima Uganda nel 1937, la West Nile è provocata da un virus appartenente alla famiglia delle Flaviviridae. I serbatoi del virus sono gli uccelli selvatici e le zanzare del tipo Culex, entrambi protagonisti del naturale ciclo biologico della malattia.
Il cavallo e l’uomo invece rappresentano degli ospiti accidentali a fondo cieco, non sono cioè in grado di trasmettere nuovamente il virus. Ma ne possono comunque essere colpiti.
Dal punto di vista clinico la malattia nel cavallo si manifesta generalmente in modo asintomatico o con un rialzo febbrile, più raramente (circa il 10% dei casi) con sintomi neurologici anche gravi.
Per leggere lo studio dell’ IZSVe CLICCA QUI (pdf in inglese)