Buonissime notizie: l’Asino Romagnolo non è più a rischio estinzione!

Raggiunto il numero di soggetti necessario a tirare un respiro di sollievo: gli Asini Romagnoli sono in 1.207, e tra loro tanti puledri

Murat, campione assoluto della Fiera
Bologna, 29 giugno 2022 – ‘Niente nuove, buone nuove’ dice il proverbio.

Ma per l’Asino Romagnolo una notizia c’è, arriva dalla Fiera Agricola del Santerno ed è fantastica.

Alla data di martedì  21 Giugno 2022 gli Asini Romagnoli iscritti al Libro Genealogico (Sez. Principale e Sez. Supplementare) sono 1.207.

“Secondo i criteri della FAO” ha scritto il dottor Alberto Minardi in una circolare agli appassionati, “la razza non è più a rischio di erosione / estinzione: ora è semplicemente “vulnerabile”.

Per festeggiare adeguatamente copiamo e incolliamo l’articolo scritto da Minardi, presidente di As.I.R.A.R.A. e pubblicato su AsinoRomagnolo.it

Era il dicembre del 2000, ma a guardare cosa è stato fatto, da allora, per scongiurare l’estinzione dell’amico mansueto dall’occhio buono e dalle orecchie lunghe, sembra sia trascorso un secolo. Forse anche di più.

In quei giorni pre-natalizi di fine millennio, si tenne infatti, a Ferrara, presso il Centro Regionale di Incremento Ippico dell’Emilia-Romagna (poi chiuso nel 2007) il primo incontro di tecnici, volto a mettere a fuoco se l’Asino Romagnolo ci fosse ancora o fosse definitivamente scomparso, “attore protagonista” di un passato che lo aveva inghiottito.

Un passato scandito da parole come povera economia agricola, trazione animale, mulattiera, basto, castagneto, carbonaia, polenta, mercato settimanale per sale e fiammiferi, cavalcatura per l’ostetrica (quando il parto avveniva tra le mura domestiche) o per il parroco (quando l’olio santo veniva somministrato a un moribondo); e, in pianura, trottatore al calesse del dottore.

In sintesi, se “quell’asino” esistesse ancora, e dunque fosse ancora possibile censirlo e salvarlo.

Oppure se fosse definitivamente scomparso e l’idea di tentarne il recupero fosse solo una operazione astratta e romantica.

Fino agli esordi della 2° Guerra Mondiale, il problema dell’estinzione certo non si era mai presentato, se é vero che i Romagnoli censiti nel 1918 erano 5.267 su un totale di 949.162 capi asinini. E che erano 46 gli stalloni Romagnoli operanti nel 1941 nei due Regi Depositi Stalloni di Reggio Emilia e di Ferrara (più quello delle Marche).

Poi venne la Guerra, ed il destino dell’asino Romagnolo precipitò improvvisamente, prima con la crisi alimentare delle armate tedesche che, al venir meno dei rifornimenti dalle retrovie, lo razziarono nelle stalle dei contadini e se ne cibarono ampiamente.

Poi con la ritirata dalla Linea Gotica verso il Po, in cui il povero animale fu costretto a trainare smisurate e sproporzionate “carratelle” militari, cariche di vettovaglie, prima della resa. E finì disperso, o sacrificato.

Ma il peggio doveva ancora venire. Con il boom economico italiano degli anni sessanta, l’agricoltura andò ben presto meccanizzandosi ed i trasporti su strada videro un impetuoso sviluppo della motorizzazione.

L’asino subì il colpo ferale, ed era ovvio che così avvenisse, specialmente al Nord ed in Emilia-Romagna, una tra le Regioni maggiormente investite dal new-deal economico.

Questo animale, identificato perfettamente con un passato misero e triste (perché la miseria può essere epica quando é narrata, ma é poco empatica quando é vissuta in prima persona) fu lasciato all’oblio e all’abbandono.

Poco dopo (alla metà degli anni settanta) lo Stato italiano ne decretò addirittura l’estinzione.

Qualche Asino però rimase, presso le poche case contadine fuori mano, ancorate alle tradizioni.

Che qualche capo fosse ancora presente i tecnici delle APA (Associazioni Provinciali Allevatori) ne avevano sicura contezza, e lo intravedevano nel corso dei sopralluoghi per i controlli funzionali del bestiame.

Così, a Ferrara, accanto ai tecnici delle APA, quel giorno, si incontrarono in seduta i Dottori della Regione (Dott. Sandro Spada), sotto il coordinamento del Professor Raffaele Baroncini (titolare della Cattedra di Zootecnia presso l’Università di Bologna) e massimo esperto nazionale della materia (vedi pubblicazione “L’asino, il mulo, il bardotto”).

Dalla riunione uno spiraglio venne tenuto aperto: fu fissato lo standard tradizionale della Razza, in modo rigoroso, facendo riferimento ai  dati di letteratura, di memoria storica e di confronto con le altre razze asinine italiane.

Negli  anni 2001 e 2002 fu fatto il censimento, con rispetto e in aderenza allo standard. Furono individuati (in tutto) tra puledri ed adulti, 76 soggetti: 15 maschi e 61 femmine. Essi furono poi studiati nel loro DNA. Avevano una base genetica comune.

Non senza colpi di scena (nel 2003 vi fu anche un responso sfavorevole, seppure interlocutorio, del Ministero della Agricoltura, che sembrò mandare all’aria tutti gli sforzi fatti) si dovette attendere il 21 Giugno del 2005 perché venisse nuovamente riconosciuta la razza dal Ministero della Agricoltura e dunque dallo stato italiano.

“L’Asino Romagnolo è tornato all’onor del mondo” titolò un quotidiano della Romagna, con lessico ottocentesco, come era del tutto conveniente fare.
Un ampio servizio di approfondimento fu curato anche dal TG3 Emilia-Romagna.
Ma con molti meno dei 120 esemplari, si trattava pur sempre (la definizione è scientifica ed è della FAO, vedi tabella successiva) di una “razza critica” (anche definita “razza reliquia” ), ed il pericolo dell’estinzione rimaneva in agguato, ancora dietro l’angolo.

Dal 2005 ad oggi tante cose però sono cambiate, e in meglio, se è vero che il numero complessivo dei capi è ora di 1207 esemplari, (dato aggiornato al 21 Giugno 2022) sicuramente più qualificati ed omogenei rispetto ai 76 della ripartenza.

Ora siamo ad una svolta. Raggiunta la quota di 1200 soggetti, la razza non è più definibile “a rischio di estinzione”, ma (é sempre la FAO che lo afferma) semplicemente “vulnerabile”. Da tenere cioè sotto controllo, ma fuori da un rischio concreto e imminente.

Lo sforzo degli allevatori (oggi in numero di 297) e la grande vitalità della Associazione che li coordina e li guida (Associazione Italiana Allevatori della Razza Asino Romagnolo) sono stati i fattori vincenti di questa riscossa, ma è stato soprattutto il frutto della sinergia tra Istituzioni (la Regione in primis) ed i privati allevatori a decretare questo successo, francamente superiore alle attese.

In particolare il processo di selezione e di qualificazione della razza è sempre stato ispirato ad una maggiore omogeneità dei capi presentati, che ha fatto perno sulla aderenza allo standard di razza (che è rimasto sempre lo stesso definito nel Dicembre 2000); aderenza monitorata a cura di un Esperto di Razza (praticamente un giudice/arbitro). Un’altra nota positiva è stata la progressiva diffusione del Romagnolo in nuove realtà regionali (come la Lombardia – Province di Sondrio, Bergamo, Brescia, Milano – ; come il Veneto – Province di Padova e Treviso -; come le Marche e la Toscana).

A Imola si è svolta il 18 e 19 Giugno di quest’anno la 10° Rassegna inter-regionale.
Abbiamo assistito prima di tutto ad una presenza prevalente delle categorie di soggetti giovani (24 su 50 i soggetti compresi tra 1e 3 anni) e giovani-adulti (12 su 50 i soggetti compresi tra 4 o 5 anni) a discapito della categoria senior (14 su 50 i soggetti di età oltre 6 anni).

Da segnalare inoltre la presenza di ben 6 redi (nati nel 2022) di cui 5 ancora sotto la madre ed 1 già svezzato, tutti  e sei non oggetto di valutazione morfologica.

Questo indicatore dimostra la vitalità del mondo allevatoriale, che ha puntato sui giovani prodotti per presentarsi in gara con buona possibilità di successo.
LARGO AI GIOVANI dunque!