Malvina, Attila, Cenere e Mirtilla: la famiglia che regala ricordi nuovi

‘Tu ci dai nuovi ricordi da raccontare alle nostre famiglie’: lo ha detto a Malvina il signor Michele, 106 anni, uno degli ospiti delle strutture che ogni mercoledì accolgono la sua squadra di pony

Carezze per i pony di Malvina - Foto Studio Rossello
Savona, 25 febbraio 2022 – La cosa che ci è piaciuta tantissimo di lei è che parla sempre al plurale: perché ad agire non è solamente lei, ma anche i suoi pony Attila, Cenere e Mirtilla.

Lei è Malvina Abbatista,  che il 13 gennaio scorso è uscita di casa con i suoi tre pony e ha fatto 41 kilometri a piedi da Castelbianco, dove abitano sino ad Albenga.

Ad accompagnarli anche i due cani di famiglia e soprattutto la curiosità e la solidarietà di tantissime persone che lungo la strada si sono interessate a lei, alla sua storia e al suo progetto.

Che è quello di riuscire a portare i suoi pony all’interno di strutture ospedaliere e centri anziani e sociali.

Ci aveva colpito in modo particolare l’espressione di uno dei suoi collaboratori (quello baio con la capezza blu, ad essere precisi): in una delle fotografie a corredo dell’articolo che ha loro dedicato Italia che Cambia, da cui abbiamo saputo della sua storia.

Perché quell’espressione lì, birichina ma allo stesso tempo responsabile e concentrata, non poteva di certo lasciarci indifferenti: per cui abbiamo contattato direttamente Malvina.

Attila

“Quello è Attila, di nome e di fatto: è un pony dalla storia un po’ particolare, apparteneva a una signora russa che magari se lo portava al Principato di Monaco per vedere le corse di Formula 1, poi per mesi se lo dimenticava in giardino tra le aiuole. E’ uno stallone con il suo carattere, in scuderia ne combina di tutti i colori ma poi è come quei bimbi che a casa sono distruttori, poi quando vanno a casa dagli amichetti si comportano come dei  piccoli lord, e quando li vai a prendere ti dicono ‘Ma è il bambino più buono del mondo!'”

E lei da dove viene Malvina?

“Sono stata 7 anni nell’Esercito Italiano, prima nel Reggimento dei Lancieri di Montebello e poi in Artiglieria contraerea. Mi è un po’ rimasta l’abitudine a organizzarmi e a studiare il modo in cui muovermi, prima di attaccare per raggiungere un obiettivo. La burocrazia per certi versi ad esempio è un grosso scoglio, quindi alla fine un po’ come una montagna: ci si può arrampicare, magari ci si mette un po’ di più ma poi si va dall’altra parte. Dopo aver lasciato l’uniforme ho trovato lavoro in una gelateria, ma volevo anche portare avanti un progetto che è da sempre nella mia famiglia, di lavorare a contatto con la natura e con gli animali, di ripercorrere i sentieri antichi che mio nonno non voleva andassero persi”.

In questo progetto c’erano anche i cavalli.

“Sì, per questo è nata la Asd Equus Lab: ho sempre montato a cavallo, anche prima della mia ferma,  sempre fatto gare di salo ostacoli: Cervia, Arezzo, Verona. E’ una passione che mi ha sempre accompagnato, e ho avuto la fortuna di lavorare  con ottimo istruttore, Italo Bianco che mi faceva andare un’ora prima in maneggio per stare con il cavallo, imparare a conoscerlo e amarlo”.

Che cosa fate alla Asd Equus Lab?

“Siamo a Castelbianco, nell’entroterra di Savona: accogliamo le famiglie, dai più piccoli agli anziani che passano con noi qualche ora all’aria aperta, nella natura. Si siedono, stanno in compagnia,  prendono un po’ di sole, stanno in mezzo ai nostri animali. Gli adolescenti trascorrono il tempo a guardare i più piccoli, si fanno qualche selfie che ci sta, aiuta anche quello. Ma volevo fare qualcosa in più: ho tanti familiari che lavorano nell’ambiente sanitario, per me da piccola l’ospedale era un posto che mi affascinava, per la sua capacità di diventare un luogo di cura, una cosa da ammirare incondizionatamente. Per carattere mi sento sempre molto vicina a chi ha difficoltà nella vita, di ogni genere. Così ho cominciato a pensare che sarebbe stato bello portare un po’ di sole anche lì dentro, in quegli ambienti, con i miei pony“.

Ma la vostra passeggiata di 41 km?

“Mi è servita per attirare l’attenzione sul nostro progetto, e ha funzionato: in tanti incuriositi lungo la strada mi hanno chiesto cosa stessi facendo, dove stessi andando. E quando glielo spiegavo poi si univano a me, anche solo per qualche centinaio di metri: per essere con noi, e poter dire di averci accompagnato e sostenuto. In tanti ripostavano sui social la nostra storia e le foto, così non abbiamo fatto in tempo a tornare a casa che già eravamo bombardati di telefonate dalle strutture sanitarie”.

E adesso?

“Adesso tutti i mercoledì andiamo nelle strutture e dedico questa giornata al volontariato: prima parlo con i vari responsabili e dirigenti, poi faccio un sopralluogo, parlo con lo psicologo della struttura per avere un quadro degli ospiti.  E ogni volta offro l’opportunità  di venire con me ad alcune persone: magari qualcuno che ha passato un periodo brutto, anziani un po’ soli.  Voglio che tutti possano partecipare a questa attività, a volte anche i bimbi ma ne porto sempre due insieme a noi. E poi andiamo in queste strutture”.

Come vi accolgono?

“Il feedback è pazzesco e anche ad ampio spettro: non solo gli ospiti riescono a godere di questa attività, ma anche le loro famiglie. Perché quando si sentono dopo hanno nuovi argomenti, nuove emozioni da condividere: il signor Michele, di 106 anni mi ha detto ‘Tu ci dai nuovi ricordi da raccontare alle nostre famiglie’. E anche  gli infermieri ce lo confermano: a volte specialmente dopo questi due anni di pandemia è terribile perché tutti i contatti degli ospiti con le famiglie si esauriscono in telefonate sterili, sempre uguali, non hanno niente di cui parlare”.

Dopo la nostra visita si innescano meccanismi annessi e connessi di pura vita, come se assumessero pillole di vita. Certo  non gliela allunghi,  ma la rendi un po’ migliore. E questo fa bene.

“Tengo a che questa attività duri, forse saranno gli ultimi racconti belli, vivi di queste persone anziane. Per loro è una energia a lento rilascio. Poi serve anche  il personale sanitario: ci ringraziano perché  le emozionarsi e commuoversi serve anche a loro, mi dicono ‘Rinnovi e rigeneri la nostra forza, noi per fare bene questo lavoro dobbiamo essere in bolla, carichi e se non lo siamo non possiamo farlo bene’. E questo fa stare bene me, perché mi sento utile e in più mi sembra di dare un valore aggiunto al cavallo, che troppo spesso è visto solamente come un atleta dimenticandosi del suo lato umano”.

Sì, del lato umano del cavallo: Malvina ha detto proprio così, e noi lo capiamo benissimo il sentimento che c’è dietro questo apparente errore.

Ci racconti qualcosa di più su Attila, Cenere e Mirtilla

Attila, lo stallone ha  8 anni mentre Mirtilla ne ha 5 e Cenere 4,  sono due puledre.  Come tipo sono più o meno dei Falabella, con ossatura e tratti fini: Attila  al garrese è 74 cm., mentre le due puledre  85 cm.  Non sono pony addestrati, non conoscono nessun giochetto particolare ma sono molto equilibrati. E io tengo a che conservino la loro naturalezza, altrimenti la qualità del rapporto non è la stessa. Ognuno di loro ha un carattere ben preciso: Attila è molto diligente, e anche intraprendente. Cenere è la più pacata, molto posata: dopo aver perso un puledro ha rischiato di morire, in quel periodo abbiamo instaurato un rapporto molto stretto, più io sto ferma e zitta più lei mi sta incollata. Mirtilla, la più giovane ha una sensibilità incredibile: è quella che lascio da sola anche con i bimbi, o i signori anziani con le mani delicate perché è quella che rimane più ferma di tutti, quando capisce che deve star ferme perché la persona è immobile lei non si muove, per nessuna ragione. Per me è bello abbiano queste differenze,   sono assi nella manica che mi gioco a seconda di chi ho davanti e cerco di coltivarle”.

Ci sono allenamenti particolari che fa con loro?

“Ci siamo esercitati con scale e ascensori per esser pronti quando ci faranno entrare all’interno delle strutture: Attila con me a fianco farebbe qualunque cosa, per le altre due c’è chi preferisce le scale o fare un giro alternativo ma poi tutti si fidano di me. Siamo una famiglia, ma anche una buona squadra: io li porto dove loro non possono arrivare da soli, sono soltanto il loro manager in fondo”.

Ti mancano le gare?

“Provengo da quell’ambiente, lo amerò sempre: ma la cosa davvero vincente  è amare il cavallo. Dovrebbero avere tutti quanti  un istruttore come è stato il mio,  perché persone così ti ti seminano dentro qualcosa che, se c’è terra fertile, parte e cresce e non te lo togli più”.