John Whitaker, storia di un fenomeno

Nel 2007 il fuoriclasse britannico a Roma vinse Coppa delle Nazioni e Gran Premio: prestazioni favolose, come quelle che ancora oggi caratterizzano la sua vita sportiva. Quello che Cavallo Magazine pubblicò in quell’occasione è perfettamente attuale

Bologna, luglio 2007 / giugno 2016 – Ogni grande vittoria di John Whitaker porta con sé l’inestimabile pregio di ricondurre l’equitazione – e più in particolare il salto ostacoli – fuori dai laboratori delle più cervellotiche alchimie pseudotecniche e di riconsegnarla all’ambiente originario dal quale proviene il rapporto uomo-cavallo: la natura. Whitaker monta così: in modo naturale. Tanto naturale che si potrebbe quasi pensare che lui non abbia mai dovuto imparare a farlo, ma che semplicemente l’abbia sempre fatto fin dalla nascita, prima ancora di camminare e parlare. E forse chissà, sarà stato proprio così. John Whitaker è uno dei più grandi campioni della storia del salto ostacoli ma è rimasto un uomo semplice nell’accezione migliore e più nobile del termine. Semplicità intesa non come pochezza, bensì come considerazione solo di tutto ciò che veramente conta e dunque simmetrica eliminazione di tutto ciò che conta poco o che non conta per nulla. Forse è proprio per questo che John Whitaker è un campione senza tempo: ha vinto ieri, vince oggi, vincerà domani. Anche se ciò che lo rende peculiare non è tanto la vittoria in sé stessa, quanto piuttosto il ‘modo’ in cui viene ottenuta: ancora una volta, naturale.

«Se non avessi fatto il cavaliere avrei fatto il contadino, l’agricoltore, l’unico altro mestiere che sarei capace di fare. E in effetti lo sono anche oggi, sebbene solo in parte. Amo questo stile di vita: lavorare all’aria aperta, essere a contatto con la natura e con gli animali, lavorare fisicamente con le mie mani. Quando sono a casa io faccio questo: guido il trattore, lavoro nei campi, pianto chiodi, taglio la legna. Sono nato in una fattoria, del resto». Sì, è nato in una fattoria, John Whitaker, il 5 agosto 1955, a Outlane, nello Yorkshire, figlio degli agricoltori Donald e Enid, primo di quattro fratelli. È stata mamma Enid a mettere a cavallo il piccolo John, sui pony che trasportavano nei dintorni il latte delle loro mucche; e dopo John è stata la volta di Steven, nato nel 1957, di Michael, nato nel 1960, e poi del più giovane Ian. Chissà se Enid Whitaker, a sua volta amazzone in gare di salto ostacoli di modesto livello, si sarà resa conto guardando i suoi figli muovere i primi passi in sella che con loro stava prendendo avvio una delle più straordinarie storie di sport-familiare del mondo intero. Una storia che ha visto prima John e Michael diventare per la Gran Bretagna un po’ quello che per l’Italia sono stati i fratelli Piero e Raimondo d’Inzeo, con vittorie e medaglie conquistate individualmente e con la squadra britannica ovunque nel mondo. E poi approdare all’alto livello internazionale anche i nipoti di Donald e Enid, cioè i figli dei quattro fratelli. Che sono tanti e molto bravi, già detentori di importanti affermazioni in campo ostacoli. Andando con ordine: Louise (figlia di John, nata nel 1980), quattro Campionati d’Europa giovanili, esordio in Coppa delle Nazioni nel 2001, campionessa nazionale juniores nel 1995; Robert (figlio di John, nato nel 1983), cinque medaglie d’oro a squadre nel Campionato d’Europa juniores e young riders, esordio in Coppa delle Nazioni nel 2001, già vincitore di Gran Premi internazionali; Ellen (figlia di Steven, nata nel 1986), due Campionati d’Europa giovanili, esordio in Coppa delle Nazioni nel 2004, una finale mondiale di Super League Samsung e presenze in squadra in alcuni tra gli Csio più importanti del mondo (vittoria, tra l’altro, della Coppa a Roma nel 2005 con anche il 3° posto in Gran Premio); Joe (figlio minore di Steven), bronzo a squadre nel Campionato d’Europa juniores 2006; per finire con William (figlio di Ian, nato nel 1989) che monta seguito dallo zio Michael (i cui figli sono ancora troppo piccoli) e che lo scorso anno ha centrato un risultato formidabile: la medaglia d’oro individuale e quella di bronzo a squadre nel Campionato d’Europa di salto ostacoli juniores ad Atene. Insomma, un nucleo familiare che da solo potrebbe garantire alla Gran Bretagna una o due squadre di Coppa delle Nazioni per almeno i prossimi vent’anni, cavalli permettendo. Un nucleo familiare che però potrà mantenersi ad alto livello – ancora una volta: cavalli permettendo – solo se saprà far tesoro dell’esempio che il ‘vecchio’ John ha saputo offrire nel corso della sua lunga e straordinaria carriera. Prima di tutto nel rispetto assoluto e incondizionato dei propri cavalli, cosa che ha permesso a Whitaker di arrivare a disputare gare di livello massimo in sella a soggetti in età anagraficamente molto avanzata. Anzi, per un lungo periodo agonistico i più efficaci compagni di gara di Whitaker sono andati dai 16 anni in su. Solo casualità? Certo che no, la risposta è ovvia. Significa grande perizia nel gestire le risorse fisiche e psichiche di cavalli tra l’altro molto diversi tra loro; significa saper organizzare la stagione agonistica con sapienza e lungimiranza; significa, in poche parole, esser campioni non solo nel momento in cui si entra in campo per il barrage di un Gran Premio.

Anni fa è stata messa in commercio una splendida videocassetta che racconta la storia di Milton, probabilmente il cavallo che più di ogni altro viene associato nel cosiddetto immaginario collettivo a John Whitaker. I momenti in cui si vede il magico grigio saltare, o comunque essere impegnato in lavoro, sono solo durante i concorsi. Le immagini che ritraggono Milton e Whitaker a casa come sfondo presentano esclusivamente il verde dei prati dello Yorkshire segmentati dai classici muretti di pietra sotto i grigi cieli britannici. Sarà stato per esigenze di sceneggiatura, sicuramente di cavalli come Milton non ne nascono tanto di frequente, un cavaliere come Whitaker è di certo eccezionale: fatto sta che il messaggio è quello di un’equitazione schietta, semplice, essenziale, nella quale la tecnica è sì importante ma senza mai arrivare a spersonalizzare il cavallo rendendolo un insieme di ingranaggi automatizzati. Torniamo dunque a quanto si diceva in apertura: i cavalli sono animali, sono natura, non macchine e dunque oggetti inanimati. E che per Whitaker questo sia un principio fuori discussione (anzi, per lui probabilmente non è nemmeno un principio: è così, e basta) lo dimostra il fatto che anche una volta lontano dai riflettori del grande agonismo internazionale lui con i suoi compagni ha sempre mantenuto un rapporto costante e profondo, fatto di complicità e intese molto private. Come quando, di ritorno da trasferte lunghe e stressanti, il miglior modo di rilassarsi John lo trovava nel sellare l’ormai pensionato Milton e insieme a lui andarsi a fare lunghe e tranquille passeggiate sulle dolci colline dello Yorkshire. Loro due, insieme, da soli, loro due che fino a qualche anno prima infiammavano i campi ostacoli di tutto il mondo, riempivano le pagine dei giornali, scatenavano la fantasia di giornalisti e addetti ai lavori, loro due se ne andavano in giro da soli per il semplice piacere di rilassarsi insieme nel silenzio della campagna. Come due vecchi amici. Questo vuol dire essere uomini di cavalli, prima ancora che cavalieri.

L’ultima grande vittoria in ordine di tempo John Whitaker l’ha conquistata in Italia, a Piazza di Siena lo scorso maggio: il Gran Premio Roma. Una spettacolare prestazione in sella a Peppermill, cavallo con il quale due giorni prima il fuoriclasse britannico aveva garantito alla sua squadra la conquista della Coppa delle Nazioni con un perfetto doppio percorso netto. Ma per quanto emozionante possa essere il momento della vittoria di un Gran Premio così prestigioso (sia per chi ne è protagonista in campo, sia per chi vi assiste da spettatore in tribuna), il momento clou a Piazza di Siena non è stato quando Peppermill ha tagliato il traguardo di arrivo alla fine della seconda e decisiva manche della gara. No, il momento più toccante è stato vissuto dopo, durante la premiazione: quando un uomo di 84 anni è andato a premiare Whitaker e anziché limitarsi a consegnare il premio e a stringere la mano al vincitore, quest’uomo, solitamente schivo e soprattutto restìo a qualunque forma di spettacolarizzazione delle emozioni, ha invitato Whitaker ad abbassarsi e poi lo ha abbracciato, trovando nel britannico l’immediata disponibilità un po’ stupita e riconoscente tipica dell’allievo che riceve dal maestro una gratificazione inattesa. Il pubblico di Piazza di Siena è scattato in piedi commosso, felice, ammirato, consapevole che grazie allo sport e grazie ai cavalli in quel momento stava andando in scena uno spettacolo di formidabile valore e significato: perché in campo John Whitaker stava ricevendo l’abbraccio di Piero d’Inzeo.

8 luglio 2007 – 5 giugno 2016