Il Signore delle Murge

Una delle razze equine più amate d’Italia e la sua lunga e bellissima storia: un bel viaggio da fare insieme…da qui!

Lucero Edith di Vallenza e Aurelia Ricci, foto d'archivio

Martina Franca, 16 marzo 2020 – Stufi di stare a casa? niente paura, ci pensiamo noi a farvi viaggiare: quindi chiudete gli occhi, oggi andiamo in Puglia.

E’ una giornata di inizio giugno, il caldo è già troppo caldo e annichilisce tutto tranne le cicale che friniscono tra le foglie dei fragni, l’aria ha il profumo delle erbe forti e saporite capaci di sopravvivere nel riverbero di questo sole calcinante.

Arriviamo davanti a una masseria bianca, bassa, splendente che ha davanti un leccio antico; i suoi rami si allargano a proteggere un’ombra mobile, muovendosi appena.

Lo vedete anche voi? Nella pozza d’ombra c’è uno stallone Murgese che bruca tranquillo, il ciuffo folto e ondoso gli scivola dolcemente sulla fronte ogni volta che abbassa la testa e la criniera gli scende ben oltre il profilo inferiore dell’incollatura, sembrano i capelli appena liberati dalle trecce di una ragazza d’altri tempi.

Ogni poco alza il collo arcuato, elegante e ci guarda con i grandi occhi scuri e curiosi, si vedono brillare anche da qui.

Il posteriore fine, scarico gli regala leggerezza e nella mezza luce liquida il suo mantello sembra d’argento.

E’ un grigio ferro testa di moro: si chiama Pensiero, ha appena finito la stagione di monta ed è al massimo del suo splendore di cavallo padre.

Le estremità e la testa, come laccati di nero, accentuano la loro nettezza di linee in contrasto con i riflessi chiari e metallici del mantello che lo copre sontuoso.

Il suo portamento anche così, da fermo, sa di potenza e di forza e serenità e non lo dimenticheremo mai, perché questa immagine si è scolpita nella nostra memoria un giorno di giugno di tanti anni fa: un giorno lontano ma vero, un cavallo che sembra sognato e invece è vivo e nitrisce e ha una sua magia speciale, fatta dell’armonioso contrasto tra la sua apparenza drammaticamente barocca e la sua indole estremamente dolce.

Una magia concreta, tangibile, intessuta non di vuote parole ma costruita su questo paesaggio pietroso dalla gente stessa che le abita.

Perché il cavallo Murgese lo ha fatto la sua terra, non ci son santi: ed è la sua vera storia quella che andiamo a raccontarvi.

Più sassi che terra le Murge, ad essere onesti: ventimila ettari di colline calcaree suddivise tra le provincie di Bari, Brindisi e Taranto che specialmente nel triangolo compreso tra Noci, Martina Franca e Mottola coincidono da secoli con gli allevamenti più famosi e importanti.

Lo strato di terreno che le ricopre è cosi sottile da non invogliare una coltivazione estensiva, ma grazie alla loro relativa altitudine (mediamente 4oo mt.s.l.m.) godono di un clima migliore rispetto alle regioni circostanti, ventilato, meno afoso e con più regolari precipitazioni.

Fragni, lecci e roverelle formano ancora oggi boschi e macchie ideali per proteggere dall’eccessivo sole estivo e fornire un appetibilissimo sottobosco. Il tutto disseminato dalle chianche, affioranti ovunque: sono le tipiche pietre calcaree utilizzate nell’edilizia locale (trulli, masserie e gli infiniti muri a secco che suddividono i pascoli) e che formano anche un terreno che è la palestra naturale perfetta per selezionare cavalli resistenti, dall’unghia solida e il piede sicuro, allenati dalla nascita a percorrere chilometri e chilometri sotto il sole più cocente e il terreno più difficile per trovare di che vivere e prosperare.

Una combinazione simile di caratteristiche positive non poteva passare inosservata agli intenditori, e difatti sia Federico II di Svevia nel XIII secolo che la Serenissima Repubblica di Venezia alla fine del XV (che avevano entrambi parecchi interessi nel Sud Italia, punta più avanzata dell’Occidente verso il periglioso ma affascinante Oriente) li elessero come sede dei propri allevamenti di cavalli pregiati, di lusso, da impiegare in battaglia e sfoggiare a corte.

Curiosamente anche la maggior parte dei loro destrieri sfoggiava un mantello nero come la notte, proprio come i Murgesi di oggi: ma basta questo a reclamare un legame tra di loro? certamente no.

Al di là dell’impatto estetico che indubbiamente hanno i soggetti morelli occorre tener conto del fatto che il gene che ne determina il colore è dominante, quindi una preferenza anche solo un po’ comune tra gli allevatori per gli esemplari con quel mantello prende il sopravvento in pochissime generazioni all’interno di qualsiasi razza.

Ma sarebbe fantastoria ipotizzare un legame genetico, perché non esiste un solo documento storico che testimoni un filo di continuità tra i tre gruppi.

La labilità stessa dell’esistenza (non solo equina) in quei tempi impedisce di sognare ascendenze imperiali per il nostro morello, e solo la profonda scienza allevatoriale di Federico II poteva proteggere in quelle poverissime lande  una razza di lusso ben definita: morto lui, la catena di quell’amatissimo allevamento si spezzò per sempre.

Due secoli dopo i re aragonesi, sapienti cavallerizzi ed intenditori sopraffini, sfruttarono questa parte del loro Regno per le loro cavalle di origine spagnola e i veneziani le conquistarono assieme a una bella fetta di Puglia nel 1495, curandole con la massima attenzione e facendole coprire solo dai più pregiati stalloni spagnoli e orientali.

Ma nel 1506 una terribile alluvione fece annegare tutte le cavalle della Serenissima, lasciando vivi solo quattro stalloni e nove puledri.

Senza fattrici non esiste ovviamente nessuna razza, e comunque il gonfalone di San Marco venne ammainato da masseria La Cavallerizza pochi anni dopo, quando tornò al Regno di Napoli.

Ferdinando II d’Aragona volle compensare una famiglia a lui fedelissima, gli Acquaviva d’Aragona dei sacrifici subiti in guerra: assegnò ad Andrea Matteo, già Conte di Conversano, la Silva Arboris Belli.

Il Conte si trovò così a possedere una larga parte delle Murge più adatte all’allevamento cavallino: per grazia di Dio era persona colta, intelligente e amante dei cavalli e ne fece il cuore di una razza che, questa volta sì, possiamo considerare veramente alle origini del nostro Murgese.

Come fattrici utilizzò le forti cavalle indigene,  già abituate a vivere brade e caratterizzate da una spiccata rusticità.

Comprò pregiatissimi stalloni spagnoli, arabi e orientali africani per coprirle guadagnandosi l’elogio di re Ferdinando (ed era il rispetto non solo di un re, ma di quello che veniva considerato in tutta Europa il maggior esperto di cavalli esistente) perché “…nello stesso ambiente e con lo stesso sistema brado di allevamento conservò l’indirizzo di produzione del cavallo più ricercato”.

La razza di Conversano venne conosciuta e ammirata ovunque per i suoi soggetti più pregiati: i forti destrieri da guerra e più leggeri corsieri per la caccia e le carriere.

Il conte ne curava anche una linea adatta ai lavori agricoli e ai trasporti, e che dava ottime fattrici adatte alla produzione mulattiera.

Ma soprattutto, per la prima volta in quel territorio, Andrea Matteo permise alla gente del feudo di utilizzare i suoi pascoli e i suoi magnifici stalloni per le loro cavalle: è qui che comincia la vera, nobile storia del Murgese di oggi.

Nelle corti napoletane, spagnole e austriache arriveranno in seguito, grazie ai suoi discendenti altrettanto abili come allevatori, stalloni della sua razza a dare origine a linee di sangue esistenti ancora oggi: ma è dal suo tipo di allevamento diffuso e condiviso che nasce veramente quel mondo che ci darà il Murgese.

Che non è solo fatto di fattrici, stalloni e ambiente: ma anche di massari, di piccoli allevatori privati che da generazioni hanno negli occhi e nella memoria come deve essere il cavallo delle Murge, che si tramandano di padre in figlio le loro linee di sangue preferite e custodiscono gelosamente le fattrici più preziose, quelle che sanno produrre i soggetti rispondenti alle loro esigenze sia estetiche che ambientali.

Il legame più solido tra questi allevatori e il Conte di Conversano è stato Nerone, il più Murgese dei tre stalloni riconosciuti capostipiti della razza.

Che viene formalmente riconosciuta dal 30 aprile 1925: gli allevatori, sotto la saggia guida del prof. Michele De Mauro, si convincono a preservare non solo l’Asino di Martina Franca ma anche il cavallo delle Murge, l’altro ingrediente indispensabile alla produzione dei ricercati muli martinesi, allora preziosissimi per l’artiglieria da montagna.

Nerone era nato nel 1924 da Schiavone e Montagnola II, entrambi oriundi della razza Conversano.

Ma come direte voi, il più Murgese? E la favoleggiata «purezza della razza più italiana» allora va a farsi benedire?

Ebbene sì, con buona pace degli ideologi di arianesche virtù. Degli altri due capostipiti, Granduca di Martina (1919-1944) e Araldo delle Murge (1928-1949) nei documenti ufficiali non vengono indicati i genitori; del primo si tace del tutto l’origine mentre del secondo si legge che è figlio di riproduttori murgesi, molto stranamente non meglio identificati.

E questi tre stalloni – che al di là delle origini diverse avevano in comune ottimi modelli, grande distinzione e una morfologia perfettamente funzionale al miglioramento di quel determinato tipo equino già così ben caratterizzato – sono veramente i tre padri fondatori del cavallo delle Murge.

Non c’è Murgese che non li abbia tutti nel suo albero genealogico: alcuni soggetti appartengono a linee più centrate su di uno piuttosto che l’altro di loro, ma tutti hanno almeno una volta, in linea materna o paterna, Granduca e Araldo.

Ne consegue logicamente che ogni supposta purezza è del tutto priva di fondamento: Granduca era un elegantissimo derivato orientale-africano, non troppo sottile, e dalla sua linea sono venuti i migliori carrozzieri.

Araldo ha dato vita ad una linea leggermente più pesante, molto criticata dagli allevatori che volevano mantenere il cavallo delle Murge fedele al tipo tradizionale e quindi leggero, più adatti alla sella che alla produzione di puledri da carne.

Senza contare la varietà di origine delle fattrici: gli stalloni privati che funzionavano in zona dall’inizio del secolo vedevano tra le loro file, oltre ai cavalli classificati come indigeni (e quindi presumibilmente di tipo Murgese) anche Hackney, Trottatori Americani, Cleveland Bay, Anglo-orientali, Percheron, russi non meglio identificati.

Per non parlare degli stalloni forniti direttamente dal Regno d’Italia che erano per la maggior parte Purosangue Inglesi o Arabi.

Alcuni appassionati della razza si sono sentiti delusi realizzando della non perfetta «purezza» del Murgese moderno, anche chi scrive per voi (una volta uscita dall’adolescenza) è dovuta scendere a patti con la realtà delle cose: eppure la cosa sbagliata è pretendere una purezza che non può esistere, semplicemente perché nessuna razza equina al mondo si può dire pura, nemmeno il Purosangue Inglese (che difatti in Inghilterra non si sognerebbero mai di chiamarlo puro, per loro è quello «bene allevato») o quello Arabo.

La vera magia del cavallo delle Murge non sta nelle favole, e nemmeno nelle bugie: la bellezza di questi cavalli è nel loro cuore, nella loro docilità, nel loro modo così semplice e facile di essere anche quando sono belli come principi.

Sono capaci della rusticità più totale – le fattrici prosperano allattando puledri su un altopiano fatto di pietre e sole, con fragni e roverelle quasi come unico conforto – eppure sono sontuosi, barocchi, magnifici nel loro naturale atteggiamento.

Maestosi e allo stesso tempo dolci, gli stalloni ti regalano una forza calma e posata che non tutti i cavalieri potrebbero avere la fortuna di saggiare, con altri cavalli.

Le femmine mantengono spesso una specie di orgogliosa riservatezza: vengono tradizionalmente lasciate al pascolo sino ai tre anni e non ti regalano il loro cuore come se niente fosse.

Te le devi conquistare, devi essere capace di meritarti la loro fiducia con il tempo e la pazienza: ma quando ci riesci non sarai mai più solo, e potrai sempre contare sul loro buon senso e sulla loro capacità di iniziativa.

Il Murgese ha una discreta nevrilità ma non è certo un cavallo dal sangue esasperato: è come se questo gli lasciasse il tempo di ragionare sulle cose, ponderare silenziosamente quello che stai pensando di fare e allo stesso tempo trovare come fare per darti una mano ed arrivare fin là.

Diventa un solido compagno, un perfetto cavallo da campagna o per impegni più sportivi e da attacchi, con in più una bellezza lussuosa, perfino sopra le righe: una magia vera, di quelle che non scompaiono quando apri gli occhi ma rimangono lì, a brillare sotto il sole e a nitrire nel buio.

Quella Testa di Moro

Gli unici mantelli ammessi per il Murgese sono il morello zaino (senza nessuna macchia bianca) o il grigio ferro testa di moro, una affascinante variazione data dal gene roano sul morello che si manifesta solo nel caso uno dei due genitori possegga questo caratteristico mantello. Caratterizzata da un ingrigimento rapido e uniforme (già ad un anno è ben definito), è sempre stato presente in razza anche se in percentuale limitata: gli allevatore evitano accuratamente di incrociare due GFTDM tra di loro avendo constato con l’esperienza che i prodotti presentano facilmente tare genetiche.

I più recenti studi genetici hanno stabilito che il patrimonio genetico del cavallo delle Murge è principalmente di origine orientale.

Qui il sito di Anamf, l’associazione degli allevatori del cavallo delle Murge e dell’asino di Martina Franca