«Al trotto? Meglio se donna»

A dirlo è Cristina Fiore, un’allenatrice appassionata e affermata che aggiunge: «La sensibilità della donna in questo settore credo che offra una marcia in più»

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Cristina Fiore, professione allenatrice di trotto

Bologna, 11 luglio 2021 – La vittoria di una donna, Helen Johansson nel Prix d’Amerique 1995 in sulky a Ina Scot abbatte definitivamente gli stereotipi di uno sport tutto al maschile.

In due minuti di corsa l’amazzone svedese compie l’impresa della vita. A oggi è l’unica donna ad aver partecipato e vinto la storica corsa parigina.

In Toscana il mondo dei cavalli ha generosamente dato spazio alle quote rosa. Al Sesana per quasi vent’anni si è disputata la Coppa Europa Lady Driver con amazzoni provenienti da nove paesi diversi: Una vera e propria festa in rosa tra bandiere colorate e sciccosissime divise.

Tra i momenti più belli del trotto al femminile ricordiamo la vittoria dell’indimenticabile Caterina Falorni nel gran premio Berardelli a Tor Di Valle con il cavallo del cuore New Di Già, era il 1991.

Insieme a lei un agguerritissima Elisabetta Benedetti (figlia di Roberto ndr) protagonista di vere e proprie lezioni di guida ai colleghi maschi.

In un’ippica più recente sono arrivate Monica Gradi e Rebecca Dami, due vere e proprie leonesse della pista.

Nel dietro le quinte ormai si è perso il conto di quante ragazze contribuiscono con la loro preziosa sensibilità al benessere dei cavalli ma anche alla loro resa in corsa.

Cristina Fiore è una di queste. A diciotto anni lascia la Puglia per andare a lavorare a Milano alla corte di Baroncini, poi arriva la proposta in Toscana con Maurizio Pieve dove resta sei anni.

Cristina come sei entrata nel mondo dei cavalli?

«Mio padre aveva scuderia all’ippodromo di Taranto, da piccolissima andavo con lui e ricordo che guardavo attorno a me questi cavalli che allora mi sembravano enormi ma non avevo paura ad avvicinarmi o addirittura a salire sulla ghighella per fare qualche giro di pista insieme al babbo».

A che età hai attaccato il primo cavallo?

«A sei anni in compagnia poi un giorno mentre eravamo in pista con un cavallo che si chiamava Osti Arte chiamano mio padre in segreteria, lui rallenta e scende, avevo dieci anni. Dopo i primi metri prendo coraggio e decido che non voglio più scendere».

Maurizio Pieve è già qualche anno che ha chiuso scuderia ed è tornato a fare il veterinario te invece sei andata avanti.

«Mi sono fatta coraggio e ho preso qualche cavallo, adesso ne ho dieci tra puledri e cavalli anziani. È impegnativo soprattutto in questo momento che il pagamento dei premi al traguardo va a rilento con un ritardo di oltre sei mesi. Ma è un lavoro che non può essere paragonato a nient’altro».

Tra i cavalli che attualmente hai in scuderia citiamo il ribelle ma potente Verduzzo Mdm, Victory Show, Redford Trgf recente vincitore al Sesana e la new entry Zinder De Greppi.

«Verduzzo è il mio cavallo del cuore, simpatico quanto indisponente quando non è in giornata. Ma ho un legame stretto con tutti. Facendo tutto da sola ho instaurato con loro un rapporto particolare».

Ti manca solo di scendere in pista…

«Qualche anno fa feci il corso allievi poi un brutto infortunio mi costrinse a fermarmi e non ci ho più riprovato. In realtà ho scoperto che allenare è affascinante quanto guidare. Spesso passa inosservato il lavoro quotidiano. Ma è fondamentale nella creazione e nel mantenimento del cavallo da corsa».

In casa Fiore i cavalli sono il punto fermo di tutti o quasi.

«Siamo quattordici fratelli, i sette maschi lavorano tutti nel mondo delle corse mentre tra le sette femmine sono l’unica ad aver preso questa strada. Dall’esterno può sembrare un lavoro poco adatto ad una donna. Invece credo che la sensibilità femminile in questo settore sia una marcia in più. Le donne riescono a creare un feeling con il cavallo che va oltre».

© La Nazione/Martina Nerli