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Home | People & Horses | Cavalli, teatro, vita: la versione di Rudj Bellini

Cavalli, teatro, vita: la versione di Rudj Bellini

L’uomo che insieme a Carlotta Agnoletto è responsabile in Veneto della scuola di teatro equestre in seno al comitato regionale della Fise racconta e spiega cosa voglia dire per i ragazzi e per i cavalli impegnarsi in questa specialità

29 Gennaio 2024
di Umberto Martuscelli - Comunicato stampa FISE Veneto
Cavalli, teatro, vita: la versione di Rudj Bellini

Una suggestiva immagine di Rudj Bellini in... scena

Padova, lunedì 29 gennaio 2024 – «All’anagrafe hanno registrato il mio nome di battesimo facendo un errore: come lettera finale hanno scritto la ‘j’ invece della ‘y’. E quindi è rimasto così… Diciamo che è un segno distintivo!», racconta lui sorridendo.

Ma per distinguersi Rudj Bellini di certo non ha bisogno di un nome inusuale, né di una lettera al posto di un’altra: ciò che lo caratterizza e che per l’appunto lo distingue, infatti, è quello che lui fa. E lui fa quello che pochi fanno… in Italia, quanto meno: teatro equestre.

«Il primo passo per il riconoscimento della nostra attività come disciplina vera e propria è stato fatto qui, in Veneto, dal comitato regionale della Fise: ma l’obiettivo è quello di essere riconosciuti a livello nazionale. O meglio, a livello nazionale esiste l’approvazione di un regolamento che è passato da Roma, manca però la figura dell’istruttore, del tecnico che possa portare avanti e diffondere questa attività… Un’attività che costituisce una disciplina a tutti gli effetti, proprio come il salto ostacoli, il completo, il dressage… ».

Intanto però una scuola esiste, quella di Carlotta Agnoletto nel centro ippico che si trova a Cimadolmo, in provincia di Treviso…

«Sì, dove ovviamente si fa anche altro. La classe di teatro equestre la segue Carlotta: io insieme a lei due volte alla settimana, lo facciamo ormai da diversi anni».

Per allievi di quale età?

«Dai sette anni in su».

Ragazzini che nascono come allievi nella scuola di teatro o che arrivano da altre esperienze?

«Qualcuno di loro arriva anche da altre esperienze, ma la maggior parte sono stati formati da zero lì, da Carlotta, già con l’idea di farli poi proseguire su quella linea e lungo quel percorso».

Ma tecnicamente parlando il presupposto di partenza per gli allievi che cominciano a montare nella classe di teatro equestre qual è?

«Per noi la cosa più importante è il rapporto con il cavallo. La capacità di connettersi con lui è la cosa fondamentale: questo è il concetto di base sul quale nasce la formazione dei nostri allievi. Il che vuol dire stabilire da subito il massimo rispetto nei confronti del cavallo e acquisire la consapevolezza del fatto che non servono necessariamente sella e imboccatura e altri mezzi per poter stare insieme a lui e sopra di lui. Con lui, quindi. E ai bambini viene abbastanza naturale tutto questo».

Potremmo quindi dire che questo è un modo giusto per cominciare a mettersi in relazione con il cavallo anche per coloro i quali in seguito potrebbero dedicarsi a qualche altra disciplina sportiva e agonistica?

«Certamente. Nel momento in cui il ragazzino impara a stabilire il controllo e la relazione con il cavallo o con il pony in completa libertà a tutte le andature poi lavorerà in salto ostacoli o in completo o in dressage o in qualunque altra forma e disciplina decisamente molto meglio: parlerà un linguaggio diverso e molto più comprensibile per stabilire la migliore relazione con il suo cavallo. A mio avviso è fondamentale tutto questo per poter dire ‘io so montare a cavallo’, a prescindere da quale tipo di disciplina si pratichi. È proprio un fatto di conoscenza etologica. E di libertà: a favore di entrambi i protagonisti di questa relazione, e non solo nel momento in cui la si sta vivendo».

E cioè… ? Cosa intende in particolare?

«Il bello del teatro equestre è che non ci sono limiti né per i cavalli né per le persone. Per fare un esempio, molto semplice: un cavallo che non salta non è ovviamente idoneo per la specialità del salto ostacoli o del completo. Nel teatro equestre invece non esiste il cavallo non idoneo: ogni cavallo può dire la sua ed essere valorizzato secondo le sue caratteristiche. Stessa cosa per la persona: addirittura fino al punto in cui potrebbe non essere necessario perfino montare a cavallo, se quella persona non è in grado di farlo per un qualunque motivo… Si può vivere la relazione con il cavallo anche stando a piedi, si può collaborare con lui senza necessariamente stargli sopra. Il teatro equestre offre una infinita serie di opportunità, da questo punto di vista: anche in questo senso è un fatto di libertà».

Una libertà che migliora anche i cavalli, oltre alle persone?

«Se i cavalli lavorano in libertà non proveranno mai ad andare contro l’uomo perché capiscono e sentono che l’uomo non sta andando contro di loro: è una forma di rispetto molto profondo per le identità».

Ma quindi si tratta di consapevolezza istintiva oppure di una forma di… razionalità?

«È un discorso molto ampio… L’idea più comune e diffusa nella storia dell’equitazione è quella di aumentare la qualità e la quantità dei mezzi utili a evitare che il cavallo possa sottrarsi al controllo dell’uomo, il che sottintende una presunzione di contrasto e non certo di collaborazione. Ma in realtà noi non abbiamo idea di quanto un cavallo sia effettivamente in grado di assumersi le proprie responsabilità in quello che sta facendo… la sua consapevolezza di quello che sta facendo. Potrei fare mille esempi di come lavorando in totale libertà il cavallo abbia la capacità di cercare l’aiuto dell’essere umano per esempio per vincere una sua paura o perfino una semplice soggezione nei confronti di qualcosa… Oppure di cavalli che durante uno spettacolo consapevoli di non aver fatto bene una certa cosa la ripetono in totale autonomia per cercare di farla meglio… La consapevolezza di ciò che stanno facendo esiste in modo forte nei cavalli, ovviamente variando da cavallo a cavallo secondo la personalità di ciascuno».

Veniamo al concetto di spettacolo in senso proprio. Lo scorso 19 gennaio lei e Carlotta Agnoletto avete portato i vostri ragazzi al Misec di Cheval Passion, la fiera di Avignone, un evento internazionale in cui si presentano spettacoli equestri al cospetto di organizzatori interessati a ingaggiarne i protagonisti per poi presentarli nella propria manifestazione…

«Sì, abbiamo avuto tante richieste in effetti, ma siamo andati ad Avignone soprattutto per dare ai ragazzi l’opportunità di confrontarsi con un panorama di assoluta eccellenza. In Francia da tantissimi anni lo spettacolo equestre è stato riconosciuto come una vera e propria disciplina e dunque ci sono molte scuole: storicamente sono molto avanti da questo punto di vista rispetto all’Italia».

E quale spettacolo avete presentato ad Avignone?

«Lo stesso che abbiamo portato al Gala di Fieracavalli a Verona lo scorso novembre, quello che si intitola “Il Volo”».

Quanti ragazzi?

«Tredici, il più grande di sedici anni, con cavalli e pony in assoluta libertà».

Quale significato hanno questo titolo e questo spettacolo?

«Ho sempre voluto valorizzare il rapporto con il cavallo per l’appunto in totale libertà e naturalezza, quindi senza sella, senza testiera, senza imboccatura… Il cavallo ci permette di vivere tutto questo in un modo che… beh, è un po’ come librarsi in aria, come volare, in assoluta leggerezza e senza alcuna costrizione. Da qui il titolo di uno spettacolo che è la rappresentazione dei movimenti di uno stormo di uccelli in volo: è tutto molto poetico e devo dire che ha riscosso un grande successo, sia a Verona in novembre sia ad Avignone qualche giorno fa».

I ragazzi come vivono la dimensione dello spettacolo, cioè… proprio il momento in cui si va in scena?

«Noi lavoriamo non soltanto sulla parte equestre ma anche sull’aspetto emotivo, sulla capacità di interpretare un personaggio o comunque su quella di suscitare un’emozione, ma anche di vivere un’emozione… Lo spettacolo è un momento importantissimo perché è lì che si capisce su cosa e su chi poter fare affidamento, dove poter cercare e trovare le proprie certezze… A livello formativo tutto questo è fondamentale: i ragazzi imparano ad affidarsi ai cavalli e ai propri compagni, un gruppo all’interno del quale ci si aiuta vicendevolmente perché l’obiettivo finale non è la vittoria di un singolo bensì il successo di un insieme. Il numero funziona non per merito di uno ma per merito di tutti: e il successo di tutti diventa il successo di ciascuno».

In questo spettacolo ci siete anche voi, Carlotta e lei, o solo i ragazzi?

«Solo i ragazzi. Sono loro il frutto della scuola di teatro equestre, quella che è la nostra visione del rapporto tra noi esseri umani e lui, il cavallo».

Tags: people & horses rudj bellini
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