I mille cavalli di Fratel Castiglione

Un Gesuita alla corte dell’Imperatore cinese nel XVIII secolo: vita, opere e delicatezze di un missionario pittore

Bologna, 2 luglio 2019 – «Ma Dao Cheng Gong: che l’anno del cavallo sia l’opportunità immediata di successo e di una vita migliore!». Questo augurio i cinesi se lo sono scambiati in mille modi in occasione della Festa di Primavera del 2014, da noi conosciuta come Capodanno cinese: e una delle maniere più raffinate di farlo è stato sicuramente l’allestimento di una versione digitale animata di un dipinto molto amato in Cina, un lungo rotolo di seta che rappresenta cento cavalli al pascolo.

L’animazione è stata realizzata grazie al Museo Nazionale di Taipei, che custodisce la preziosa opera d’arte risalente al XVIII secolo. A noi interessa non solo perché rappresenta cento cavalli raffigurati in modo poeticamente realistico: ma anche e soprattutto perché l’autore di questo rotolo era un italiano, Giuseppe Castiglione.

Per essere precisi dovremmo scrivere Fratel Giuseppe Castiglione S.J.: si trattava infatti di un missionario gesuita nato a Milano nel 1688, nel quartiere di San Marcellino. Da ragazzo studiò pittura ma nel 1709 entrò nel noviziato della Compagnia di Gesù a Genova; tre anni dopo dalla corte cinese giunse notizia che l’imperatore Kangxi desiderava avere presso di lui un pittore italiano di talento.

Era il suo momento, i superiori lo destinarono a questa missione e Fratel Giuseppe partì per Coimbra, in Portogallo, da dove poteva imbarcarsi per la Cina: erano i lusitani infatti a detenere il diritto di commercio con quel paese, in virtù della divisione fatta dopo le Grandi Scoperte con i cugini spagnoli sulle rispettive sfere di influenza.

Il viaggio fu lungo e pericoloso – in caso di allarme, anche i padri gesuiti erano tenuti ad imbracciare le armi per difendere la nave dai corsari – ma alla fine Castiglione e il suo compagno Fratello Costa sbarcarono a Macao: era il luglio del 1715, cinquantaquattresimo anno di regno di Kangxi, terzo imperatore della dinastia Qing.

Fratello Castiglione passò i primi mesi a imparare i rudimenti della lingua e il galateo cinesi seguendo la strategia del primo gesuita missionario in Cina, Matteo Ricci: i religiosi europei dovevano presentarsi come ambasciatori della scienza occidentale e con lo stesso rango dei letterati confuciani per farsi apprezzare dai cinesi dei ranghi più elevati, primo indispensabile passo per entrare in rapporto con loro e tentarne quindi l’evangelizzazione. La scelta di interagire primariamente con le classi colte non era casuale: i missionari erano convinti che conquistando loro alla fede cristiana sarebbe stato un passaggio molto più semplice ottenere lo stesso dai ceti più poveri.

Castiglione assunse anche un nome cinese: da quel momento per i locali fu Lang Shining, che tradotto in italiano suona come Lang Vitatranquilla. Venne presentato a corte con fratello Costa lo stesso anno, e l’imperatore si mostrò molto cortese con loro sforzandosi di parlare lentamente, così da facilitare la comprensione delle sue parole ai due novellini. Kangxi morì nel 1722 a sessantanove anni: aveva preso freddo passeggiando nei suoi giardini la sera. Sicuramente il più importante tra gli imperatori della dinastia Manciù, era molto ammirato dai gesuiti per le sue qualità personali e di intelligenza: per lui Castiglione lavorò assieme ad altri artisti cinesi ed europei, ma non abbiamo notizie di alcuna sua opera particolare dedicata al primo degli imperatori che conobbe.

Gli successe Yongzheng, uno dei suoi trentacinque figli: in questi anni Fratello Castiglione cominciò a farsi notare per i suoi lavori, elaborati secondo una tecnica personalissima che fondeva con misura alcuni canoni occidentali (come la prospettiva ed i chiaroscuri) alla pittura tradizionale cinese.

Il suo grande talento gli aveva permesso di impadronirsi delle tecniche di pittura con inchiostro e colori su seta, un’arte difficilissima che non permette errori né ripensamenti alla mano dell’artista e nel 1728 eseguì la sua opera forse più famosa, I Cento Cavalli del Museo Nazionale di Taipei. Il rotolo su cui è dipinta la scena è alto 94,5 centimetri e lungo 776,2: come la maggior parte dei lavori di corte era probabilmente stato eseguito seguendo la traccia data dall’imperatore in persona, che spesso proponeva una frase poetica che veniva poi interpretata e sviluppata dall’artista. Ogni poesia un quadro, ogni quadro una poesia: è ancora il modo migliore di descrivere i dipinti cinesi, e la definizione ritorna chiara alla mente ammirando ognuno dei soggetti dipinti da Castiglione.

Srotolando dolcemente il pannello di carta e seta dei Cento Cavalli chi lo ammirava vedeva fiorire sotto i suoi occhi la serena visione di una pianura verde e boscosa traversata da un fiume placido, dove una grande mandria di cavalli trascorre serena le sue ore. Alcuni uomini li accudiscono lavandoli nelle acque basse, altri spostano una parte dei capi da una zona all’altra del pascolo; i cavalli sono i più diversi tra loro, per mantelli carattere e condizioni generali. Ci sono giumente nel fiore dell’età ben pasciute e serafiche, giovani stalloni che lottano tra di loro e anche un vecchio grigio dalle ossa sporgenti, che segue gli altri compagni con la lentezza nobile dell’età avanzata. Ci sono cavalli che si rotolano beati nella polvere, puledri che si riposano sereni sotto gli occhi vigili della madre, morelli bizzosi che scalciano verso un collega, piccole figure di mandriani al galoppo che non differiscono in nulla dalla silhouette di un buttero qualsiasi se non grazie ai colori chiari degli abiti (la somiglianza è rafforzata da un lungo bastone che portano alto sulla spalla, tale e quale un pungolo maremmano).

Tutto dipinto con leggerezza orientale, tutto evidenziato in modo sottile da quel tocco di prospettiva, quella goccia di chiaroscuro che viene dall’Europa e che Fratel Castiglione dosa in modo sapiente per rendere ancora più brillanti i colori e luminose le luci, già esaltate dal supporto serico.

Lang Shining era ormai diventato uno degli artisti importanti di corte e una volta morto Yongzheng acquisì ancora più visibilità: il nuovo e giovane imperatore, Qianlong, amava molto la pittura e si sedeva spesso accanto a Fratel Castiglione per guardarlo dipingere. Ma il suo apprezzamento per l’arte di Lang Shining non gli impediva di vietare esplicitamente ai propri sudditi di convertirsi al cristianesimo: in diverse occasioni Fratel Castiglione sfidò l’ira imperiale presentando petizioni a favore dei propri confratelli oppure osando ribattergli per sostenere le tesi della religione cristiana.

Qianlong era fermamente convinto che la solidità del suo governo sarebbe stata minata dalla conversione dei cinesi al cristianesimo, e arrivò anche a far giustiziare alcuni padri domenicani particolarmente attivi nel battezzare i suoi sudditi. Dà la misura del suo rispetto e affetto per Fratello Castiglione il fatto che, per quanto si adirasse con lui quando si vedeva richiedere indulgenza verso i religiosi europei imprigionati, non lo punì mai altro che con qualche parola dura e una temporanea freddezza di trattamento.

Per nostra fortuna, poi, Qianlong amava anche moltissimo soggiornare a Yuan Ming Yuan, una villa magnifica sulle colline a ponente di Pechino dove passava almeno sette mesi l’anno: qui si dedicava alla caccia a cavallo, lo sport che preferiva. Questa passione e la sua intraprendenza militare rendevano i cavalli compagni e strumenti indispensabili e quindi al centro di molte attenzioni: i suoi vassalli gli presentavano spesso come regali i soggetti migliori dei propri branchi, molti episodi famosi delle tante guerre di conquista da lui intraprese fornivano materiale sulle battaglie equestri e la necessità istituzionale di organizzare una grande parata militare ogni tre anni dava regolarmente una parte di tutto riguardo alla magnificenza estetica della cavalleria.

Tutte occasioni in cui Fratello Castiglione si rese necessario assieme ai suoi pennelli: ritrasse eroici soldati nell’impeto del galoppo, la magnificenza dell’Imperatore Qianlong montato sul suo pezzato preferito con vesti e finimenti ricchissimi, l’austera e precisa eleganza delle parate militari rese nei minimi dettagli – soldato per soldato e cavallo per cavallo come se fosse un inventario visivo delle truppe a disposizione della bontà di Sua Maestà.

Gli anni passavano, Lang Shining continuava a rendere felice l’imperatore con il proprio lavoro (divenne anche architetto quando a Qianlong venne l’uzzolo di farsi costruire una serie di palazzi in stile occidentale) e intanto invecchiava, pacificamente come era vissuto: venne onorato del rango di mandarino di terza classe, e per i suo i settanta anni venne organizzata a corte una festa degna di funzionario cinese di altissimo rango.

Morì a quasi ottanta anni nel 1766, onorato oltre ogni consuetudine dall’imperatore Qianlong: di lui non abbiamo un ritratto, anche nei resoconti dei confratelli è una figura che rimane sempre in secondo piano rispetto agli avvenimenti cui deve per forza partecipare. Ma abbiamo i suoi cavalli che ci raccontano come vedesse il mondo Lang Shing, missionario e pittore di corte: sono sempre animali pacifici, sereni, quasi asessuati nella loro dolcezza – dei tanti ritratti di singoli destrieri che fece non ce n’è uno che si possa classificare come stallone, tranne forse i quattro cavalli afghani ritratti nel 1762 e che probabilmente Castiglione ritrasse d’urgenza non appena arrivarono a corte, ancora con le gambe sporche del fango di un lungo viaggio. Tutti gli altri sono cavalli di differenti morfologie ma accomunati da un atteggiamento fiducioso, senza nevrastenie: ce ne sono di più solidi e di asciutti, di quelli che sembrano adatti alle lunghe marce e altri dal petto e i fianchi potenti come quelli di un Quarter Horse – viene da pensare che fare il cavallo per l’imperatore Qianlong non dovesse essere poi così male.

A dire la verità, guardando i tanti cavalli di Qianlong ci è venuta la tentazione di prendere una licenza poetica e fare finta che due dei cavalli ritratti siano lo stesso soggetto: quel pezzato dagli occhi dolci, uno dei Dieci Destrieri da corsa “…rispettosamente dipinto dal servitore Lang Shining, occidentale” nella primavera del 1743.

Si chiamava Chihuaying, al garrese misurava un metro e 32 centimetri (quindi decisamente un pony) ed era stato donato a Qianlong da un suddito di nome Te Chin-Cha-Pu. Il mantello è candido interrotto da larghe macchie di un caldo marrone bruciato, i crini sono lunghi e abbondanti e l’occhio è grande, scuro, con lunghe ciglia foltissime che ne sottolineano lo sguardo diretto e tranquillo.

Quasi esattamente lo stesso cavallo ritratto nel 1758 sotto la sella di Qianlong nell’opera che lo raffigura con l’armatura cerimoniale, ricchissima e decorata: ci piaceva pensare che quindici anni non fossero troppo lunghi per un robusto pony di probabile origine mongola, arrivato giovane nelle scuderie imperiali e forse amato non solo per la sua bellezza estetica ma anche per quello che gli si legge negli occhi, una fiduciosa tranquillità.

Una lunga vita tranquilla, proprio come quella di Fratello Giuseppe Castiglione S.J., alla corte del Celeste Impero.

Qui una visione completa dei Cento cavalli, e qui la pagina del sito del National Palace Museum di Pechino dove potrete trovare altre animazioni del dipinto di Fratel Castiglione