Michel Robert: io e i cavalli

Pensieri e parole di uno dei più grandi uomini di cavalli e di sport, oltre che fuoriclasse stupendo autore di prestazioni e risultati formidabili sia in completo sia in salto ostacoli: un invito alla riflessione per ciascuno di noi, addetti ai lavori e semplici appassionati

Ritratto di un Michel Robert giovane: nel 1993 (ph. UM)

Bologna, giovedì 1 dicembre 2022 –  È nato il 24 dicembre 1948 e a partire dall’inizio degli anni Settanta ha attraversato cinque decenni mantenendo il ruolo di grande protagonista nel mondo dello sport senza soluzione di continuità. Ma sarebbe sbagliato e soprattutto riduttivo considerare il valore di Michel Robert esclusivamente come quello di un campione che ha ottenuto grandi risultati: i risultati, infatti, sono soltanto una parte che forma il tutto, e forse nemmeno quella più importante (e sì che stiamo parlando di medaglie mondiali, olimpiche e continentali: «Medaglie? Sì, ne ho vinte abbastanza: stanno tutte dentro una scatola da qualche parte… ») dato che nel suo caso il verdetto del campo ostacoli è sempre stato niente di più e niente di meno di una conseguenza di ciò che esisteva ‘prima’ dell’ingresso in gara. È proprio questo ‘prima’ che costituisce la vera grandezza di Michel Robert: il suo rapporto con i cavalli, il suo modo di concepire il loro lavoro, la sua volontà – bisogno, forse – di capire nel profondo le ragioni di una dinamica sia fisica sia psicologica che unisce cavallo e uomo, l’attenzione al benessere dei propri compagni di vita prima ancora che di gara. In questo senso è davvero esemplare ciò che è accaduto diversi anni or sono, quando il campione francese a un certo punto si è presentato dimagrito in modo quasi impressionante: c’è stato anche chi ha temuto per la sua salute… Invece, per fortuna, solo il desiderio di essere sempre meno fisicamente ‘invasivo’ sul suo cavallo e di sentirsi sempre più pronto e reattivo ed elastico nel movimento del binomio. Come se non bastasse, Michel Robert è poi anche divenuto vegetariano: a chi gliene ha chiesto ragione, lui ha risposto scherzando che non voleva che i suoi cavalli sentissero di avere un carnivoro sulla sella… Una battuta spiritosa, certo, ma indicativa della mentalità di una persona disposta a modificare radicalmente le proprie personali abitudini di vita in funzione del rapporto con i cavalli.

Lei è consapevole del suo ruolo di grande campione?

«Ma no, io sono solo uno che monta a cavallo. Tutto qui. Certo, ho fatto delle belle gare, ho vinto delle medaglie, ma… di una cosa sola sono consapevolmente certo: conosco bene i cavalli, ecco. Questo sì. Questo lo so. So anche di essere migliore come insegnante piuttosto che come cavaliere».

Lei ha sempre detto di non voler mai smettere di imparare.

«Sì, esatto. Ma quando sei animato da passione, da passione vera, questa cosa viene naturale. Il desiderio di apprendimento, di miglioramento, di approfondimento è semplicemente una conseguenza ovvia e naturale della passione. Quando si tratta di vera passione, ovviamente».

C’è stato un momento in cui il rapporto tra lei e lo sport, tra lei e i cavalli è sembrato cambiare, raggiungere una profondità diversa: ed è stato quando lei è dimagrito sensibilmente ed è diventato vegetariano.

«Sì, è vero, sì. Direi che è stata la conseguenza di un’evoluzione, di una consapevolezza più matura. Quindi dell’esperienza. Il momento in cui si vedono le cose secondo una prospettiva diversa, quindi rimettendole in un ordine e in una scala di valori riaggiornata a quel momento, a quel momento della propria vita».

Ma solo per una questione relativa alla sua salute o anche per qualcosa legato al montare a cavallo?

«Beh, le due cose sono collegate. Io sono un cavaliere, il mio corpo è lo strumento più importante per montare e per comunicare bene con il cavallo, dunque far vivere bene il mio corpo è il presupposto migliore per montare e lavorare bene a cavallo. Non bevo, non fumo, cerco di limitare al massimo il caffè, tutte le mattine faccio stretching, yoga, ginnastica, respirazione. Tutte cose che mi hanno fatto migliorare davvero molto sul piano fisico. Quando avevo 30 anni pensavo che se a 50 avessi ancora montato in concorso sarebbe stato un miracolo e invece oggi eccomi ancora qui a 70 superati».

Quale è la cosa più importante, più bella, più significativa che le ha dato il montare a cavallo?

«Direi la possibilità di capire i cavalli. Di conoscerli a fondo. Quello che io ricevo dai miei cavalli è l’effetto di ritorno dell’amore e della solidarietà che io manifesto a loro. Io ho sempre cercato di comprendere quello che i cavalli mi hanno voluto comunicare: oggi io li capisco, loro mi parlano e io li capisco. Questa è la cosa più bella della mia vita di cavaliere. Quando si riesce a capire quale è il problema di un cavallo, fisico o mentale che sia, e poi si riesce anche a risolverlo… ecco, questa è la soddisfazione più grande. Vedere quel cavallo sereno, felice e capace di fare quello che poco prima gli riusciva quasi impossibile».

A proposito di cavalli: lei non ha mai avuto sotto la sella il fuoriclasse eccezionale, tuttavia i risultati sono quelli che tutti conosciamo…

«È vero, sì, a me è sempre mancato il cosiddetto crack. Ma è stata una buona cosa: è con i cavalli diciamo normali che si impara davvero, non con i campioni straordinari. Montando il fuoriclasse non si potrà mai capire quali sono i propri difetti, le proprie mancanze, non si capirà mai come e dove migliorare. Quando invece si monta il cavallo normale per ottenere il risultato positivo bisogna fare tutto al meglio: il difetto viene evidenziato subito, così è più facile capire dove dover intervenire. Riuscirci, poi, è un altro discorso ovviamente: ma di certo il cavallo campione che maschera o addirittura annulla i difetti del cavaliere non aiuterà mai quello stesso cavaliere a crescere e a migliorare».

L’importanza del benessere dei cavalli è qualcosa che lei ha avuto chiara nella sua mente da subito oppure la sua percezione è andata crescendo con gli anni?

«Mio padre mi ha insegnato il rispetto per il cavallo, ma direi più che altro il rispetto per il mio prossimo in assoluto. Anche perché la legge della natura dice che se tu fai del male agli altri, quello stesso male prima o poi ritorna a te proprio come un boomerang… Io ho sempre amato e ammirato i cavalli, poi è ovvio che c’è un’evoluzione in tutto: mia personale come pure dell’umanità in genere».

Il valore dell’esperienza, ovviamente…

«Sì, certo: in me la visione è sempre stata chiara fin dall’inizio ma poi l’esperienza mi ha aiutato ad aumentarne la consapevolezza. Per esempio, io ho iniziato in completo ma dopo le Olimpiadi di Monaco 1972 ho deciso di abbandonare quella specialità perché a quel tempo era veramente troppo dura per i cavalli: i terreni erano pessimi, gli ostacoli pericolosi, le condizioni generali troppo difficili… Il mio cavallo si è fatto male e io ho deciso di dedicarmi esclusivamente al salto ostacoli, all’epoca comunque meno pesante per i cavalli… Per fortuna tutto si evolve e migliora: basta pensare per quanto tempo la vita dei cavalli è stata terribile, impegnati in guerra, attaccati alle carrozze per lo spostamento dei passeggeri o dei carichi pesanti, al lavoro nei campi in condizioni estreme… ».

Oggi i cavalli sono nostri compagni nello sport: secondo lei è possibile l’agonismo nel totale rispetto del benessere dei cavalli? Ci sono persone che pensano che lo sport a cavallo non dovrebbe più esistere…

«Poniamoci prima di tutto una domanda: se noi non montassimo più a cavallo, beh… cosa ne faremmo dei cavalli? Io penso che la ragione per cui noi montiamo a cavallo è permettere ai cavalli di vivere ancora sul nostro pianeta. Diversamente sparirebbero. E penso anche che la ragione diciamo originaria per cui i cavalli si lasciano montare da noi sia proprio questa. Una specie di tacito patto esistenziale. Forse è un po’ troppo filosofico come ragionamento, ma sono convinto sia così».

Torniamo quindi allo sport…

«Alle persone che vorrebbero eliminare lo sport io vorrei far presente che quando un cavallo è trattato bene ama fare lo sport, ama la competizione assieme all’uomo. Questo è assolutamente e indubitabilmente sicuro. Lo dico per esperienza personale e diretta: quando io sono in campo prova di un concorso con un mio cavallo e gli lascio le redini lui va verso il campo gara, non verso la scuderia… I miei cavalli vogliono andare in gara, quando c’è la premiazione sono contenti e allegri proprio come una persona. E del resto un’altra cosa assolutamente certa è che le razze equine si sono evolute grazie allo sport, in funzione dello sport, per mezzo dello sport, un’evoluzione che non è solo fisica ma anche mentale, genetica, di attitudine».

Chi sostiene che lo sport andrebbe eliminato in effetti è un po’ estremista…

«Come ho detto lo sport fa parte della storia evolutiva del cavallo. Cerchiamo piuttosto di eliminare i maltrattamenti nei confronti di tutti gli animali, negli allevamenti intensivi per esempio. Cerchiamo di fare in modo che non si mangi più carne, per esempio: io ormai da anni ho smesso».

Ma ha smesso per una questione di principio o di salute personale?

«Per entrambe le cose. Ma soprattutto perché mangiare la carne non mi dava più alcun piacere».

Mentre invece fare lo sport le piace ancora molto?

«Beh, se io monto a cavallo è per fare la competizione. Sulla base di alcuni presupposti irrinunciabili, certo: che si potrebbero riassumere nella parola rispetto. È vero che ci sono persone cattive con i cavalli, ma è anche vero che oggi c’è molto più controllo rispetto a un tempo da parte delle istituzioni preposte».

Ecco: a questo proposito cosa pensa del regolamento antidoping?

«Ne penso tutto il bene possibile. Io ho cominciato la mia attività agonistica in un periodo in cui non c’era alcun controllo: si poteva fare di tutto ed era drammatico, catastrofico, tranquillanti, cortisone, antinfiammatori… Quando il regolamento ha cominciato a imporre dei divieti, per esempio sulla butazolidina e sugli antinfiammatori, si pensava che lo sport sarebbe cambiato: invece nello sport non è cambiato nulla, ma è migliorato tutto per i cavalli».

Cosa pensa della cosiddetta tolleranza zero? C’è chi sostiene che qualche piccolo margine di aiuto farmacologico dovrebbe essere permesso per cavalli che fanno spesso una vita molto stressante tra viaggi e gare… un po’ come quando noi umani prendiamo un’aspirina.

«La tolleranza zero è sostenibilissima e soprattutto è una garanzia per il benessere dei cavalli. I miei cavalli non prendono assolutamente nulla di nulla, nemmeno vitamine o integratori… niente, zero assoluto. Nella mia scuderia è così da più di trent’anni e va tutto benissimo. Ovvio che ci sarà sempre il veterinario che sostiene la necessità di fare qualcosa, così come il cavaliere convinto che andare in gara senza niente sia impossibile, ma sono assurdità. Un cavallo lavorato correttamente nel pieno rispetto della sua natura, che è in buona forma fisica, con muscoli e respirazione a posto e che è ben montato non ha alcun problema ad andare in concorso. E se invece per una qualche ragione ha bisogno di qualcosa per la sua salute, o non è al meglio della forma, beh… molto semplice: in concorso non ci va, resta a casa».

Perché nonostante tutto i casi di doping continuano a essere numerosi…

«Quello su cui bisogna lavorare molto non sono i cavalli, bensì l’educazione dei cavalieri, sulla loro capacità di gestire una scuderia e i singoli cavalli, bisogna insegnare ai cavalieri a comprendere davvero nel profondo i cavalli… Le persone che usano i farmaci hanno mal compreso il senso della relazione con i cavalli, sono persone male educate in senso letterale. Andare in gara e magari anche vincere con cavalli al naturale, cioè senza alcun trattamento farmacologico, non solo è possibilissimo ma è anche meraviglioso perché si tratta di una sorta di celebrazione del rapporto tra uomo e cavallo al suo meglio».

Cosa pensa della grande proliferazione del numero dei concorsi nell’arco di un anno? Pensa che la Federazione Equestre Internazionale dovrebbe fare in modo che tale numero si riduca?

«Oh no, di certo no! La quantità di cavalieri e di cavalli che fanno agonismo è cresciuta enormemente quindi è giusto che ci sia un grande numero di concorsi in modo che ciascuno possa trovare il suo ambito sportivo e agonistico. Se si pensa che trent’anni fa avevamo trenta cavalieri di altissimo livello, adesso potremmo forse dire che sono trecento… Quindi ci vogliono gare, questo è chiaro. Ma ancora una volta sta all’educazione e al buon senso del cavaliere gestire l’impegno del proprio cavallo nell’arco di una stagione agonistica».

Comunque i progressi in relazione al benessere dei cavalli nei concorsi ippici sono stati continui… A suo modo di vedere quali sono stati i cambiamenti più significativi rispetto al periodo in cui lei ha cominciato a frequentare il grande sport internazionale?

«Negli anni Settanta e Ottanta le dimensioni degli ostacoli erano mostruose rispetto a quelle di oggi: oxer larghi due metri e alti 1.60 senza ferri di sicurezza e su terreni che erano molto spesso orribili… Oggi è migliorato tutto, la qualità dei terreni non è nemmeno paragonabile, le dimensioni degli ostacoli si sono ridotte, le gare di potenza non esistono praticamente più e i ferri di sicurezza sono determinanti. E poi non dimentichiamo l’ospitalità dei cavalli in concorso, la scuderizzazione… ma anche le capacità tecniche dei cavalieri, la qualità dei cavalli, la loro gestione in scuderia, la capacità e la competenza dei groom, il comfort e la sicurezza dei van… tutto si è evoluto in modo spettacolare».

Lei ha davvero attraversato diverse epoche dello sport rimanendo sempre ad alto livello agonistico: è consapevole di essere considerato un simbolo positivo per il salto ostacoli internazionale?

«Non so se posso essere davvero considerato un esempio… Però è fuor di dubbio che di esempi positivi c’è sempre bisogno, oggi più che mai. Io cerco di dare qualcosa, se possibile. E quello che mi piacerebbe trasmettere è soprattutto l’amore e il rispetto per il cavallo. Tecnicamente l’equitazione continua a migliorare, ma io vorrei insistere sulla questione del rispetto per il cavallo: se non si riesce a capire il proprio cavallo e ad amarlo nel giusto modo non si avranno mai vere e proprie soddisfazioni, nemmeno con la migliore tecnica di questo mondo».

 

LA SCHEDA DI MICHEL ROBERT

Michel Robert – francese – è nato il 24 dicembre 1948. La sua attività agonistica internazionale ha preso avvio nella specialità del completo (campione di Francia nel 1970), portandolo fino alle Olimpiadi di Monaco nel 1972. In salto ostacoli in quello stesso 1972 ha esordito in Coppa delle Nazioni: in carriera un totale di 95 presenze (112 contando i campionati internazionali). Ha vinto cinque volte il titolo di campione di Francia (1983, 1986, 1991, 1994, 2003). Di seguito la scheda dei suoi campionati internazionali.

Anno   Ind.     Sq.       Luogo                   Cavallo

Olimpiadi
1992    45°       3°         Barcellona             Nonix
1988    16°       3°         Seul                       Lafayette

Campionato del Mondo
2006    38°       11°       Aquisgrana            Galet d’Auzay
1994    2°         2°         L’Aia                     Sissi de la Lande
1986    27°       3°         Aquisgrana            Lafayette
1982    3°         1°         Dublino                 Ideal de la Haye

Campionato d’Europa
2011    13°       2°         Madrid                  Kellemoi de Pepita
2003    15°       2°         Donaueschingen    Galet d’Auzay
1999    4°         5°         Hickstead              Auleto
1993    2°         3°         Gijon                     Sissi de la Lande
1991    15°       4°         La Baule                Nonix
1989    11°       2°         Rotterdam             Lafayette
1987    13°       2°         San Gallo              Lafayette
1985    16°       4°         Dinard                   Lafayette
1983    14°       5°         Hickstead              Grand Coeur

Coppa del Mondo
1987    23°       ///         Parigi                     Lafayette

Giochi del Mediterraneo
1997    1°         1°         Bari                       Auleto
1993    1°         1°         Perpignan              Sissi de la Lande