Piergiorgio Bucci: sogno il mio sogno di bambino

Il campione d’Italia riflette sul passato e sul futuro della sua carriera e della sua vita di sportivo, al termine di un anno particolare e alla vigilia di un 2021 che ci auguriamo davvero migliore sotto tutti i punti di vista

Piergiorgio Bucci su Cochello (ph. UM)

Bologna, giovedì 31 dicembre 2020 – Abruzzese di L’Aquila, 45 anni, casa e scuderia in Olanda, campione d’Italia in carica, già vincitore dello scudetto tricolore nel 2008, 54 presenze con la ‘giacca’ azzurra in Coppa delle Nazioni più altre cinque grazie a quattro Campionati d’Europa e a un Campionato del Mondo, medaglia d’argento a squadre nel Campionato d’Europa 2009, componente la formazione italiana protagonista della storica vittoria in Coppa delle Nazioni a Roma nel 2017: Piergiorgio Bucci, un grande cavaliere.

Nonostante tutto quello che è accaduto, il 2020 le ha portato qualcosa di buono?

«Bella domanda… Di buono sicuramente mi ha portato un parco cavalli eccezionale, soprattutto in prospettiva futura. Il fatto di non aver avuto particolari pressioni agonistiche, di non aver dovuto correre per seguire le gare grosse a cinque stelle, o le Coppe delle Nazioni, o i campionati internazionali… penso che per i miei cavalli sia stato solo un bene perché sono tutti di 8 e 9 anni e così hanno avuto a loro disposizione una stagione per crescere più serenamente, senza troppe pressioni, troppe corse, troppe fatiche».

E di brutto?

«Beh, quello che è stato brutto per tutti. Poteva essere un anno bellissimo, di salute e di sport per tutti, invece è stato quello che è stato. Oltretutto economicamente ne abbiamo risentito moltissimo, perché la limitazione dello spostamento delle persone ha avuto effetti pesantissimi non solo sullo sport ma anche sul commercio. Poi una delle cose che a me personalmente è pesata moltissimo è stata non poter passare più tempo con la mia famiglia: tra l’altro per la prima volta in quarantacinque anni non ho trascorso il Natale con loro… ».

C’è qualcosa che l’ha sorpresa particolarmente nel corso di questa stagione?

«Io di solito prendo tutto abbastanza serenamente e vedo sempre il bicchiere mezzo pieno… però la cosa che mi sorprende di più è questa sensazione di incertezza, questo non sapere cosa succederà, questo vivere una situazione quasi surreale dovuta alla pandemia e al virus… Faccio un esempio. Qualche giorno fa sono andato in Spagna e quindi documenti, certificati, mille attenzioni e preoccupazioni e precauzioni… e poi non c’è stato nessuno che mi abbia controllato. Niente. Quindi non capisco fino a che punto c’è una sorta di terrorismo psicologico e fino a che punto c’è la realtà. Ecco, questo è quello che mi sconcerta».

La vittoria del Campionato d’Italia che significato ha avuto?

«È stata una vittoria molto importante soprattutto considerando il cavallo con il quale l’ho ottenuta. Casago è con me da tanti anni, da quando era veramente piccolo e in lui ho creduto moltissimo, fin dal principio. Con lui ho sempre fatto un passo alla volta, con calma, senza correre: il Campionato d’Italia è stato il primo appuntamento a cui ho voluto arrivare cercando di essere davvero competitivo, e Casago mi ha dato una risposta e una conferma estremamente importanti. Naturalmente il titolo e la medaglia fanno un grande piacere, però la conferma del valore del cavallo è la cosa che mi fa più piacere in assoluto».

Se le cose il prossimo anno dovessero andare in modo diciamo… normale, come gestirà i suoi cavalli? Chi sarà il cavallo di punta?

«Ho la fortuna di avere tre cavalli da Gran Premio, pronti e vincenti. Uno di essere vincente l’ha già ben dimostrato, parlo di Cochello, mentre Naiade d’Elsendam Z che ha 9 anni e va nei 10 ha fatto dei progressi incredibili e credo che lei e Casago saranno i miei cavalli di punta per la stagione 2021, mi auguro anche per la squadra e le Coppe delle Nazioni. Loro sono più sicuri: Cochello invece soffre un po’ la riviera quindi lo impegnerò maggiormente nei concorsi con terreni in sabbia, mentre gli altri due sono quelli sui quali punto per tornare a livelli importanti. Poi c’è anche Carpe Diem che entra nei 9 anni e ha già messo in mostra qualità notevoli, ma con lui voglio fare lo stesso iter di Casago quindi vado con calma e per i primi mesi di certo non lo impegnerò in gare importanti».

E poi ci sono i figli che avanzano… !

«Sì, quelli di Casallo e di Casago. Ne ho due di Casago che sono davvero fuori dal normale, forse perfino migliori di quelli di Casallo. Uno va nei 7, l’altro nei 6. Tutti e due grigi, uno è stallone già approvato, l’altra è una femmina. Ho poi un figlio di Casallo che va nei 5 anni che è la copia del padre. E poi ce ne sono tre di Carpe Diem, ma sono ancora piccoli. Insomma, tutti figli dei miei stalloni».

Un parco cavalli notevole quindi, sia per il presente sia in prospettiva…

«Sì, cinque pronti per le gare grosse, forse addirittura sei perché probabilmente all’inizio dell’anno ne arriverà uno nuovo, vedremo… e poi tanti giovani, anche alcuni di 3 anni che entrano nei 4 e sembrano molto buoni, almeno a vederli saltare in libertà… ».

Come fa a gestire al meglio tutti questi cavalli?

«Devo dire che nel mio piccolo ho un’organizzazione abbastanza importante. C’è una signora che sta nel nord dell’Olanda che ha circa ottanta ettari tutti per i cavalli giovani, puledri che lei gestisce benissimo, dove ho anche due fattrici: lì tengo tutti i miei cavalli fino ai 3 anni. Poi li sposto da una ragazza che è bravissima nella doma e nell’addestramento e che ha delle eccellenti basi di dressage: da lei stanno fino ai 4 anni e poi pian piano i migliori li portiamo in scuderia da me».

Una magnifica organizzazione…

«Sì, ma non è che ho dei numeri esagerati, non sono Emanuele. Emanuele Gaudiano ha dei numeri davvero pazzeschi, io ho sempre due o tre cavalli di 4 anni che arrivano. Poi quelli davvero buoni o che mi piacciono particolarmente li tengo, gli altri li vendo o li mando da qualche altra parte».

Quindi è molto soddisfatto della sua vita in Olanda, si è stabilizzato tutto molto bene ormai…

«Ormai sì, anche se l’Italia mi manca sempre molto, quest’anno un po’ più del solito perché non sono tornato quanto avrei voluto e come avrei voluto, però ormai sono abituato. Poi viaggio tanto… mi sento un po’ cittadino del mondo, come se non avessi davvero una casa. Non ho problemi di ambientamento, insomma. In ogni caso per la nostra passione e per la nostra professione stare qui vuole dire davvero avere una marcia in più, quindi credo che per almeno un’altra decina d’anni come minimo rimarrò qui».

Domanda scontata e banalissima: cosa si augura per il 2021?

«Auguro a tutto il mondo e a tutte le persone che si possa tornare il prima possibile a una vita normale, e che questa crisi e sofferenza cessino al più presto. Poi auguro a me stesso di poter continuare il percorso che ho intrapreso e di rientrare con questi cavalli a far parte della prima squadra italiana e, perché no, di partecipare da protagonista al Campionato d’Europa».

Lei sente molto il desiderio di far parte della squadra nazionale?

«Forse ancora più di prima. Adesso sono più consapevole della mia forza e della forza dei miei cavalli, e forse per la prima volta… beh, Casallo a parte, anche se comunque lui era di una imprevedibilità tale per cui fare qualunque tipo di sogno era quasi proibito perché alla fine dipendeva tutto dai suoi ormoni… però per la prima volta escludendo Casallo sento davvero di avere un gruppo di cavalli con i quali poter fare qualcosa di importante, di poter puntare a qualcosa di veramente grande, tipo una medaglia individuale o cose del genere, perché no… alla fine non manca niente né a me né a loro, quello di cui c’è bisogno è una buona programmazione e un po’ di fortuna come al solito, però credo che quella ce la scegliamo da noi… Ecco, quello che manca è semplicemente farlo, riuscirci».

Nell’insieme della sua vita fatta di cavalli da far crescere, da acquistare, qualche volta da vendere, comunque da allenare e gestire… lo sport continua ad avere un significato importante?

«Lo sport è il motivo più importante in assoluto. Io parto dal presupposto che il giorno in cui ho deciso di lasciare la scuola e di dedicarmi al montare a cavallo avevo il sogno di vincere le Olimpiadi. Non ho mai pensato di voler guadagnare un milione di euro: ho sempre pensato di voler vincere le Olimpiadi. Questo era il mio sogno da bambino. Poi con le difficoltà della vita e con quelle dello sport vero si attraversano momenti durante i quali il sogno si offusca un po’, perde magari nitidezza… ma poi gli anni passano, le cose accadono e allora ci si rende conto di aver dato soprattutto a sé stessi dimostrazioni importanti: con questo si riacquista la forza che si credeva perduta. Da ragazzini si sogna, ci si sente invincibili, poi però la vita ci molla delle legnate fuori dal normale e allora si barcolla e si vacilla, si passano magari anni durante i quali si perde completamente di vista il sogno di quando si era molto più giovani: poi con un po’ di fortuna e grazie a qualche cavallo particolare quel sogno lo si ritrova, ancora integro e intatto».

E lei lo ha ritrovato? Lo sta ritrovando?

«Sì, io adesso mi sento in questa fase, la fase in cui ho ritrovato la voglia e la spregiudicatezza del ragazzino. Adesso non ho paura di sognare in grande. Ho passato molti anni della mia vita in cui ho avuto paura di farlo: oddio, io, ma no, non è possibile, non ce la farò… Invece adesso mi sento molto più… insomma, la risposta alla sua domanda precedente è sì, assolutamente sì, lo sport è la prima cosa. Mi piace guadagnare dei soldi e fare una buona vita, ma quello che è veramente importante è lo sport. Il mio obiettivo principale è vedere dove posso arrivare: quando mi volterò indietro per riconsiderare la mia carriera sportiva voglio poter essere sicuro di aver fatto del mio meglio per arrivare a ottenere il mio massimo».

È poi vero che qualunque atleta di qualunque sport deve avere anche il coraggio di osare…

«Io sono molto amico di cavalieri del calibro di Steve Guerdat, Daniel Deusser, Christian Ahlmann… ci sentiamo spesso… e loro sono ragazzi come me, persone fatte di carne ossa sangue cervello proprio come me e come tutti, e come tutti pensano, hanno i loro dubbi, hanno le loro cose, i loro problemi… quindi non vedo per quale motivo uno debba necessariamente pensare di non poter essere come loro… Spesso siamo proprio noi stessi il nostro limite… Me ne sono ormai reso conto chiaramente, e quindi ho cominciato a lavorare su me stesso, sul fatto di crederci e di avere più fiducia in me stesso. L’altro giorno chiacchieravo con un mio amico, un ragazzo giovane, e si parlava, lui mi chiedeva… e io gli ho raccontato un po’ tutte le mie vicissitudini, le cose belle e quelle brutte, e alla fine gli ho detto che la mia vita è stata talmente piena di emozioni che il mio sogno sarebbe di rifarla un’altra volta esattamente così… !».

È importante comunicare ai più giovani le proprie riflessioni e sensazioni, trasferire almeno in parte il senso dell’esperienza…

«Mi farebbe piacere se qualche ragazzo giovane potesse riflettere su questi miei pensieri. Perché se ci sono arrivato io ci possono arrivare tutti… A pensarla così, intendo, perché io in effetti non sono arrivato ancora da nessuna parte… ».