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Home | Cultura equestre | L’Orientale di Sicilia

L’Orientale di Sicilia

Il Purosangue Orientale, chi è costui? Raccontiamo ancora la sua storia, nata dalla passione delle famiglie Grimaldi e Majorana

20 Novembre 2024
di Maria Cristina Magri
L’Orientale di Sicilia

Purosangue Orientale di Ambelia, foto dell'Istituto di Incremento Ippico Sicilia

Bologna, 18 novembre 2024 – Nei giorni scorsi, nei commenti sotto i post social condivisi da Fieracavalli Verona riguardo ai cavalli siciliani, ce n’erano alcuni che ci hanno fatto fremere.

Riguardavano il Puro Sangue Orientale, una delle perle di biodiversità che arricchiscono la Sicilia. Per chi ha bisogno dio conoscerlo, ecco qui la sua storia ripresa da un nostro articolo pubblicato nel 2013 su Cavallo Magazine: una menzione speciale per l’Istituto Incremento Ippico Sicilia, che tra i suoi tesori protegge anche i soggetti Orientali con l’affisso d’Ambelia.

La Sicilia è ricca: di storia, cultura, sole e tradizioni.

Di gente che le ama e se le tiene strette, intrecciando la propria vita a quella di chi è passato prima sulla stessa terra, con lo stesso nome che così sembra di ingannare la Nera Signora e riuscire ad allungare le mani sui giorni che verranno, quasi non si fosse mai andati via davvero.

Come i Grimaldi di Nixima ad esempio, che a metà del 1800 assieme ad altri allevatori siciliani hanno aggiunto alle ricchezze della loro terra un gioiello che brilla ancora oggi tra tutti: il Puro Sangue Orientale.

Che cavalli così siano preziosi è evidente già dalla loro finezza, dalla linea elegante e raffinata delle loro teste che ripetono fedeli i profili di antenati africani e arabi, dal sangue che accende i loro movimenti di vivacità e i loro mantelli di riflessi lucidi.

In Sicilia sono sempre arrivati, sin dall’antichità, cavalli asciugati dai deserti asiatici e africani: condizioni climatiche molto simili (e condizioni di allevamento certo meno spartane) ne hanno radicato nei secoli un influsso costante sulla popolazione equina locale.

Preparando quindi la base ideale sulla quale innestare i riproduttori che le famiglie Grimaldi e Majorana cominciarono a importare sin dal 1864.

Il barone Vincenzo Grimaldi e il fratello, principe Antonino, acquistarono nel 1882 ad Aleppo uno stallone, Saidan (un Hamdani) e due splendide cavalle, Obeie Sharakie e Hamdanie.

Non era facile importare soggetti orientali a causa della proibizione esplicita alla loro alienazione che faceva legge nell’impero ottomano: ma l’intraprendente barone Grimaldi continuò nella sua caccia e nel 1883 si recò a Costantinopoli (avrebbe preferito la Siria, ma desistette a causa di una epidemia di colera) ad acquistare tre stalloni magnifici.

Si trattava di Sciakin, Zariff e Cuch.

Quest’ultimo, è da notare, figura ancora nelle genealogie di tutti i Puro Sangue Orientali di oggi: si trattava di un sauro nato nel 1877 da Gelan (di razza Nedjed) e da Giuma (una Hamdani).

Seguirono altre importazioni, tutte tese a fornire alle scuderie di questi illuminati allevatori siciliani i soggetti più adatti alla produzione dei cavalli leggeri, fini, insanguati che meglio si adattavano alla vocazione ippica della loro terra.

La scelta accurata delle madri, il metodo razionale di allevamento, l’uniformità di tipo ricercata con tanta precisione (Moreschi, op. cit.) da questi Padri della Razza era davvero degna di lode e incoraggiamento, e dava ovviamente buoni frutti: dai loro allevamenti provenivano molti soggetti poi impiegati come stalloni governativi.

Questi, in particolare, venivano impiegati anche per quella linea di allevamento che doveva sostenere economicamente le aziende ed entro la quale le Commissioni Governative sceglievano le rimonte per l’esercito: per questo indirizzo particolare c’era bisogno di cavalli più di taglia, ottenuta grazie all’incrocio col Purosangue inglese.

Ben presto l’indirizzo ippico della Sicilia si fissò verso un diffuso modello anglo-orientale: sessant’anni dopo le prime importazioni dirette dall’Oriente, gli stalloni «purosangue arabi d’Europa» dei baroni Grimaldi, Majorana e di San Giacomo erano menzionati con particolare riguardo in tutte le sinossi di ippologia compulsate dai veterinari del Regio Esercito, segno evidente della costante ed omogenea qualità dei loro prodotti.

Ma parallelamente a questa produzione, più commerciale, alcuni allevatori siciliani hanno mantenuto il lustro del loro blasone anche permettendosi lo sfizio di custodire quella schiatta proveniente da Oriente: una eleganza che può permettersi di essere sottile solo grazie alla forza del materiale con cui è costruita, con un sangue così spiccato e allo stesso tempo gentile da accordarsi perfettamente a quella certa idea di Gattopardo che abbiamo in mente, ogni qual volta pensiamo a certi amici siciliani.

Un lusso, una passione non a fini di lucro, un capriccio: ma che forniva riproduttori adatti a tenere alto il livello generale di qualità, contaminando positivamente anche la produzione comune e di altre razze locali.

Era risaputo che in Sicilia si potessero rimontare bene sia la truppa che gli ufficiali con buoni cavalli, che pur avendo esigenze diverse traevano vantaggio (in misura differente) dallo stesso ceppo esotico.

Le esigenze: sono queste a dettare la legge di ogni allevamento sensato, destinato al successo.

E tutto è andato bene per il Puro Sangue Orientale sino a che è stato il criterio dell’esigenza a indicare la direzione in cui muoversi.

Quindi fino a che i cavalli davvero servivano e dovevano svolgere un compito.

Poi il mondo è cambiato, i cavalli per l’esercito o l’uso quotidiano non occorrevano più e a sostenere gli allevatori non erano più i clienti (quindi un mercato competitivo, sano e vitale) ma certi baracconi statali che premiavano un tot a puledro, senza discrimine di qualità ma puntando solamente alla quantità.

Strumento pericoloso, come certi rasoi da professionisti che lasciati nelle mani sbagliate possono causare danni mortali. E per l’allevamento italiano è certamente stato così, sarà come sparare sulla Croce Rossa ma i danni che ha fatto un miope assistenzialismo da parte di Enti regionali e statali sono sotto gli occhi di tutti.

Riproduttori sbagliati, che non potevano dare i puledri che servivano all’unico mercato del momento (quello sportivo) scelti secondo chissà quali criteri (e stendiamo un pietoso velo sul genere di criterio utilizzato, non per timidezza ma per non andare fuori tema).

Ma per fortuna dalle parti di Catania, in quella Sicilia così simile a certi paesi dell’Oriente o del nord Africa qualcuno è stato così tenace da continuare a curare i discendenti di quelle fattrici, di quegli stalloni che arrivavano sull’isola dopo mille peripezie.

Portandosi dietro un po’ di vento del deserto, e genealogie custodite gelosamente anche da chi li aveva voluti così lontani dal paese in ci erano nati.

Uno lo specchio dell’altro, in fondo, che quando la finezza riesce a rimanere tale anche nelle condizioni più difficili diventa un tratto distintivo sia per gli uomini che per i cavalli, come capita quando si è figli della stesa terra: una Sicilia dura e difficile che però, a volte, regala tesori come questi.

Una storia come il vento

Quello caldo che arriva dall’Africa ovviamente, e agita le umane cose che dovrebbero essere indifferenti ai cavalli e invece ne condizionano, spesse volte pesantemente, l’esistenza stessa.

Il Purosangue Orientale è ancora lo stesso che sbarcò in Sicilia a metà ottocento, conserva gli stessi geni dei suoi antenati beduini o africani ma aveva perso il diritto di cittadinanza, il certificato di appartenenza all’eletta schiera dei beniamini del Profeta.

Nel 1875 con il Regio Decreto regio decreto n° 2690 era stato istituito lo Stud-book italiano, che registrava con scrupolosa cura l’origine di ogni soggetto iscritto e la sua comprovata purezza: è grazie a questo strumento che si è conservata negli anni la razza, nonostante l’esiguità del loro numero (oggi circa 250).

Il 12 giugno 2008 con Decreto Ministeriale n.3580 è stato ufficialmente approvato il nuovo Disciplinare del Libro Genealogico delle raae Orientale, Anglo-Arabo e Sella Italiano: un riconoscimento che mette l’Orientale siciliano a pari dignità con altre realtà ben più ricche per numero di capi, ma certo non di storia.

Il Libro Genalogico del Purosangue Orientale è distinto nella sezione per il Puro Sangue Orientale (che comprende i discendenti degli iscritti allo stud-book italiano dal 1875 e i loro incroci con i Puro Sangue Arabi W.A.H.O.) e quella per il Cavallo Orientale (dove vengono iscritti i prodotti di P.S.O. e altri soggetti iscritti a libri genealogici differenti, come il Puro Sangue Inglese).

Trova le differenze, se riesci.

«Mesomorfo, splendida armonia di forme, sobrio, rustico, resistente. E’ dotato di coraggio, equilibrio ed ha un temperamento particolarmente brillante pur avendo un carattere mite. Testa piccola, fronte larga, profilo rettilineo o leggermente concavo, occhio grande e vivace ed espressivo, ganasce ben marcate e distanziate, narici ampie. Collo perfettamente attaccato e e tronco raccolto, spalla ben muscolosa, petto largo, torace ampio e profondo, groppa larga. Arti robusti dalle articolazioni spesse, tendini asciutti, zoccoli duri e compatti. Mantello che può essere grigio, sauro o baio con riflessi metallici, pelle fine, crini serici, coda sempre portata con estrema eleganza. Altezza tra m. 1,45 e m.1,60, andature sempre eleganti, ampie ed elastiche».

Ditemi: vi ricorda forse qualcuno?

N.d.A.: Questo articolo è dedicato a Giuseppe Majorana, e ai suoi cavalli.

Tags: allevamento grimaldi nixima puro sangue orientaqle purosangue orientale
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