Nel deserto dell’Arizona, dove la luce taglia le rocce, esistono cavalli che ancora oggi svolgono un lavoro antico e, purtroppo, quanto mai moderno nel West: pattugliano il confine degli Stati Uniti. Non è folclore, non è una tradizione ricostruita per i turisti, ma una realtà operativa della U.S. Border Patrol, la polizia di frontiera statunitense a cavallo. È una struttura operativa della polizia federale americana che utilizza cavalli per pattugliare zone dove la tecnologia, i droni e i fuoristrada non arrivano o risultano inefficaci. L’agenzia stessa lo definisce “uno dei mezzi più efficienti e affidabili nelle aree remote del Southwest”. Le origini risalgono al 1924, quando i primi agenti – i “mounted inspectors” – percorrevano chilometri di confine su cavalli presi dai ranch locali. Quello che stupisce è che, dopo quasi cento anni, il loro ruolo non si è ridotto: si è evoluto. Oggi oltre 350 cavalli operano nei settori di Tucson, El Paso, Rio Grande Valley e San Diego.
I cavalli della Border Patrol vengono selezionati da allevamenti privati, ranch e aste locali. Quarter horse, paint horse, morgan o warmblood importati. In alcuni casi vengono integrati mustang provenienti dal programma federale Wild Horse and Burro Program (per qualche info in più è possibile visitare la loro pagina https://www.blm.gov/), scelti per la resistenza e per la capacità di adattarsi ai terreni più impervi. Il requisito essenziale: la stabilità mentale. Tutti passano attraverso un addestramento rigoroso ad Artesia, New Mexico, dove imparano a rimanere concentrati nonostante siano circondati da elicotteri, sirene, motociclette, droni, rumori improvvisi e simulazioni di emergenza. La filosofia dell’addestramento non si basa sulla desensibilizzazione meccanica, ma sulla costruzione della calma operativa: il cavallo deve essere un binomio con l’agente, fidarsi, non reagire al caos.
“L’unico punto fermo deve essere l’umano, tutto il resto può cambiare.” ciò che conta è la solidità mentale, racconta un istruttore del reparto operativo. L’obiettivo non è creare cavalli “coraggiosi”, ma cavalli che sappiano restare equilibrati anche quando l’ambiente cambia rapidamente o se si trovano di fronte a imprevisti di ogni genere. È qui che emerge la parte più interessante: i cavalli non vengono addestrati alla coercizione, bensì alla resilienza emotiva. Il programma si basa su principi vicini all’horsemanship moderna, in cui la gestione della pressione e il rilascio sono centrali.
I cavalli vengono affidati in modo continuativo ai loro handler, che li montano per anni, costruendo una relazione che si trasforma spesso in legame talmente profondo che, quando un cavallo termina il servizio, il primo diritto di adozione spetta proprio all’agente che ha lavorato con lui. Molti li portano a casa, nelle loro proprietà, dove diventano cavalli da compagni. Altri vengono affidati a famiglie selezionate tramite piccoli programmi interni, non tramite aste pubbliche regolari. È una scelta che riflette un principio ribadito più volte dai responsabili di settore: “Non trattiamo i cavalli come risorse consumabili. Sono partner di lavoro. Dei colleghi e compagni”
Un binomio che si basa la sua attività sul pattugliamento di tratti di deserto dove gli agenti devono muoversi in silenzio, seguire impronte fresche, controllare canyon stretti e aree protette. La US Forest Service documenta casi in cui i cavalli hanno individuato persone ferite o disperse, percependo movimenti o odori che un agente a piedi non avrebbe colto. In alcune zone del Texas e dell’Arizona i cavalli sono utilizzati anche nelle operazioni di ricerca e soccorso, perché possono arrivare in poche ore dove un mezzo a motore impiegherebbe un giorno. E, dettaglio tutt’altro che secondario, un cavallo permette all’agente di avere una visuale più alta e più ampia, elemento considerato determinante nei territori montuosi attorno al Big Bend National Park.
Un agente del settore di Tucson ha scritto: “Il mio cavallo non si spaventa del buio. Mi avverte quando qualcosa si muove molto prima che io lo senta.” Un altro ha raccontato di come il proprio cavallo si sia fermato all’improvviso davanti a una zona di sabbia instabile, evitando che sprofondassero. Lui non se ne era assolutamente reso conto. Non sono aneddoti romanzati: compaiono nelle relazioni operative ufficiali, consultabili nei report della Homeland Security.
Nel deserto, tra sole e pietra, ciò che conta non è la forza del cavallo, ma la sua calma. E forse è proprio per questo che la U.S. Border Patrol insiste nel mantenere viva questa unità: nessuna tecnologia, nessun mezzo, nessun algoritmo possiede quella miscela di percezione, equilibrio e intuito che un cavallo porta con sé. Non è nostalgia del passato. È efficienza del presente. E racconta, ancora una volta, che quando l’uomo si affida veramente al cavallo, non può che trovare un vero compagno di vita.
























