Rivive la Reggia di Carditello, culla dei cavalli di Persano

Ieri a Caserta una giornata dedicata alla Reggia di Carditello, uno dei luoghi sacri alla storia dell’allevamento nazionale: è qui che venivano allevati i cavalli della Real Razza Governativa di Persano

Agenzia AGI

Caserta, 30 ottobre 2016 – La Reggia di Carditello, residenza reale dei Borbone nel Casertano, alle porte di San Tammaro, dal 2014 e’ nel Polo Museale della Campania. Della sua gestione si occupa una Fondazione ora presieduta dall’ex ministro Luigi Nicolais. Per decenni e’ stata completamente abbandonata, tanto da essere preda di continui saccheggi.e simbolo di degrado del territorio e dei beni culturali italiani.

In origine, era il primo esperimento in territorio italiano di attuazione di una filiera agricola, con allevamenti di pregiate razze equine e produzione e commercializzazione dei prodotti agricoli e caseari tipici.

. A Carditello e’ stata fatta per la prima volta la mozzarella.

Il complesso, progettato da Francesco Collecini, allievo di Luigi Vanvitelli, fu destinato da Carlo III di Borbone a casino di caccia e sito di allevamento di cavalli, e poi trasformato in una fattoria modello per la coltivazione del grano e l’allevamento di razze pregiate di cavalli e bovini.

Nel 2011, il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere – Ufficio Esecuzioni Immobiliari – dispose la vendita all’asta del complesso monumentale al prezzo base di 10 milioni di euro per i debiti accumulato dal Consorzio di Bacino del Basso Volturno che ne era proprietario.

Undici furono le aste andate deserte. Con l’ex ministro Massimo Bray nel 2014 e’ stato firmato un accordo preliminare tra la Societa’ Gestione Attivita’ che ha acquisito i crediti del Banco di Napoli e il Mibact per la cessione del complesso edilizio al ministero stesso.

Da allora e’ stata restaurata la facciata esterna e a breve dovranno iniziare i lavori di restauro interni. Oggi la riqualificazione del Real Sito prevede vari progetti, da un presidio di legalita’ su un territorio martoriato dalle ecomafie e un accordo con le istituzioni e l’universita’ per recuperare il progetto originario di vocazione agricola ed equestre.

Ma non solo. E’ previsto, infatti, anche un accordo con il Consiglio Superiore della Magistratura. “Intendo stipulare un accordo con la Fondazione a testimonianza dell’impegno straordinario dei magistrati campani – ha detto Giovanni Legnini, vice presidente del Csm presente ieri a Carditello – per portare qui alcune attivita’ del Csm come per i convegni perche’ il bonomio legalita’ e cultura e’ fondamentale”. 

Per il rilancio di Carditello, come ha spiegato Nicolais, si prevede un approccio multi funzionale.

Ci sara’ anche un centro per la ricerca, lo sviluppo agroalimentare e la formazione grazie all’accordo sottoscritto proprio questa mattina tra la Fondazione e i rettori Gaetano Monfredi e Giuseppe Paolisso delle Universita’ Federico II di Napoli e la Sun di Caserta con progetti curati dalle Facolta’ di Agraria, Veterinaria, Beni culturali e Scienze ambientali.

Anche l’Arma dei Carabinieri collaborera’ con la Fondazione, cosi’ come ha spiegato il Comandante generale, Tullio Del Sette, per la valorizzazione dei cavalli di razza persano. I cancelli della Reggia di Carditello sono stati aperti al pubblico ieri in concomitanza dello spettacolo equestre organizzato all’esterno con una rievocazione storica del Cavallo Persano a Carditello nel XVIII secolo. 

E i cavalli di Persano? vi ricordiamo la loro storia (e quella dei loro cugini, il Salernitano e il Napolitano), qui, riprendendola dal numero di novembre 2013 di Cavallo Magazine.

Tre gioielli per un regno solo.

Testo di Maria Cristina Magri

Agatha Christie sosteneva che una coincidenza è una coincidenza, due coincidenze sono un indizio, tre coincidenze somigliano ad una prova. E seguendo questo teorema è logico dedurre che l’Italia del Sud in generale, e la Campania in particolare, siano state in passato benedette dal Cielo per quanto riguarda l’allevamento equino. Perché non può essere solo una coincidenza il fatto che tre delle più famose razze italiane di ogni tempo abbiano avuto una zona di origine comune, da loro abitata in tempi anche diversi ma che li ha visti sempre gravitare su questo riferimento geografico e culturale. Napolitano, Persano e Salernitano: se il primo era di casa dall’Abruzzo alla Calabria gli altri due circoscrivono la nostra attenzione all’attuale provincia di Salerno. Questi tre cavalli sono la prova che lì, per lunghissimo tempo, ci sono state le condizioni ideali per dare vita a tipi equini di alto livello: clima, terreni, foraggio, patrimonio genetico diffuso di buona qualità e quella stabilità politica e sociale che permette la programmazione necessaria ad un processo che richiede tempo e denaro come è per l’allevamento equino. Oltre a ciò, in tutti e tre i casi si era verificata un’altra fortunata condizione: c’era un progetto chiaro verso cui tendere – nobile corsiero per i Napolitani, miglioratore istituzionale per i Persano, lavoratore sportivo per i Salernitani – e un ambiente equestre di qualità tecnica elevata, tale da permettere anche la selezione attitudinale dei soggetti. Le accademie napoletane di equitazione furono, per Napolitano e Persano, importanti quanto il latte delle fattrici per farli crescere in bellezza e sapienza e per i Salernitani fecero lo stesso cavalieri come i fratelli D’Inzeo, Salvatore Oppes, Vittorio Orlandi che portarono alle vittorie internazionali i mezzosangue nati in quel lembo di Campania che sembrava baciato dalla Dea Fortuna degli allevatori. Ora nessuno di questi tre gioielli brilla più: il Napolitano è scomparso da secoli, il Persano da almeno una trentina d’anni (nonostante qualche linea di sangue forse sopravvissuta presso allevatori privati) e quel che rimaneva del Salernitano è confluito nella grande famiglia del Sella Italiano. A voi decidere se si tratta di delitti colposi o premeditati: ma ricordate, tre coincidenze somigliano a una prova…almeno nei gialli di Agatha Christie.

La Razza Governativa di Persano

Nata nel 1760 tra Eboli ed Altavilla grazie a Carlo III di Borbone, per formarne la base furono utilizzate cavalle derivate da stalloni arabi, persiani e spagnoli. Ferdinando II di Borbone introdusse in razza il Macklemburg deteriorandone la qualità; nel 1868 il Ministero della Guerra del Regno d’Italia prese per sé tenuta e cavalli ma il ministro Ricotti (detto Il Lesina) nel 1874 soppresse l’allevamento, e il nucleo più consistente fu acquistato da Vittorio Emanuele II. Nel 1900 il Ministero della Guerra ricostituì l’allevamento: 73 cavalle di tipico modello vennero coperte dagli stalloni Iubilee (P.S.I.) e Giacomello (P.S.O.) da cui derivarono il gruppo Melton e il Luati. Il Persano doveva essere il modello ideale cui tendere per migliorare la produzione nazionale, un fornitore di padri nobili da mettere a disposizione dei privati allevatori. Il modello del Persano era più allungato, fine e sottile di quello del Salernitano; aveva profilo nasale convesso e ganascia tonda. La Razza Governativa ha funzionato a Persano sino al 1972.

Il Salernitano

Le radici del Salernitano affondano in un terreno ricco. Lo stesso sul quale pascolavano le madri di Napolitani e Persano, che sicuramente vantano una bella partecipazione al patrimonio genetico dell’ultimo gioiello del nostro Sud: ma lui, il Salernitano, è un mezzosangue distinto che vede la luce attorno al 1924 per essere un buon cavallo sportivo. La solita base di selezionate fattrici indigene viene sposata a riproduttori P.S.I. badando a selezionare cavalcabilità, elasticità, morfologia adatta a sostenere un impegno sportivo: ci voleva un cavallo che permettesse agli ottimi cavalieri italiani cresciuti nel Sistema Naturale di Equitazione di metterlo in pratica. In pochi anni dagli allevamenti salernitani di Farina, Morese, Pastore, Conforti e tanti altri uscirono prodotti del calibro di Merano e Posillipo che sotto la sella di Raimondo D’Inzeo vinsero rispettivamente i mondiali del ’56 e le Olimpiadi del ’60 (entrambi figli di Ugolino da Siena, P.S.I., unico stallone insieme all’altro P.S.I. Furioso a poter vantare una figliolanza di tal successo), Fiorello, Lettera d’Amore e via elencando per arrivare sino ai più recenti campioni targati delle Fiocche.

Quel che resta del Napolitano.

Lipizzani e Kladruber hanno intere famiglie che discendono da loro. Ma anche nelle nostre Murge è rimasto qualcosa di lui: grazie a Nerone, nato nel 1924 da Schiavone (figlio di Lentino, oriundo della Razza Conversano di Napolitana memoria) e Montagnola II, della stessa origine.