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Home | People & Horses | Il punto di vista di Vittorio Sgarbi sul cavallo

Il punto di vista di Vittorio Sgarbi sul cavallo

Un'intervista a Vittorio Sgarbi che era uscita sul numero di Cavallo Magazine dedicato all'arte: e il Professore ci spiega perché i cavalli sono un simbolo così potente

10 Agosto 2023
di
Il punto di vista di Vittorio Sgarbi sul cavallo

Vittorio Sgarbi, foto d'archivio

Ferrara, 10 agosto 2023 – Qualcosa deve essere cambiato da quando, otto anni fa, il professor Sgarbi a chiusura di una intervista in occasione dell’uscita del suo libro ‘Il punto di vista del cavallo: Caravaggio’ ci disse testualmente che lui non pensava mai ai cavalli.

Sarà che di cavalli ormai se ne incontrano più nei musei e nelle gallerie d’arte che nel quotidiano.

Sarà che essere chiamato a Fieracavalli nel 2016 per un assaggio, e poi nel 2021 per commentare e presentare le opere di Art&Cavallo, la mostra d’arte contemporanea a tema equestre ideata da Federica Crestani lo ha fatto familiarizzare col mondo dei cavalli vivi, in zoccoli e criniera.

Il risultato è che Vittorio Sgarbi i cavalli li ha cominciati a frequentare spesso tornando a Verona anche nel 2022 come testimonial di Cavalli in Villa, il progetto di Fise Veneto che unisce il mondo dell’equitazione a quello della cultura, dell’arte, dell’enogastronomia e dell’architettura del territorio veneto.

Del tutto liberi da qualsivoglia timore reverenziale, abbiamo recuperato il suo numero di telefono da una ormai datata agendina e gli abbiamo chiesto, a bruciapelo, di raccontarci i cavalli visti come protagonisti nel mondo dell’arte.

“Intanto sono estremamente di attualità” ha esordito con impeto il professor Sgarbi, “basti guardare la cronaca recente riguardo il caso del monumento equestre del Gattamelata, capolavoro di Donatello. La Delegazione Pontificia si avoca il diritto di agire senza rendere conto ai Beni Culturali, e ne progetta lo spostamento dalla sua sede (la piazza di fronte alla Basilica di Sant’Antonio a Padova) all’interno del Museo Antoniano per sostituirlo con una copia. Finché ci sarò io quella statua rimarrà al suo posto: perché l’arte è di tutti e non si paga. In Italia ci sono 10 monumenti classificati come patrimonio nazionale, e uno di questi è il Gattamelata: che è quindi sacro, così come lo è la Basilica del Santo. Una legge dice che non appartiene alla Chiesa, ma a tutta la comunità: non si può far diventare tutto denaro, e il Gattamelata è un valore simbolico che deve rimanere a disposizione”.

Oltretutto i monumenti equestri come questo sono stati creati proprio per essere protagonisti della città, all’aperto.

“É veramente nella natura del monumento equestre essere nella piazza e contribuire a innalzare l’uomo, a valorizzare le sue qualità migliori di condottiero, eroe, comandante. Le piazze sono il posto giusto per quello che vogliono dire i monumenti equestri: celebrare la superiorità di alcuni uomini. Inoltre il bronzo è un materiale eterno per quanto riguarda l’esposizione agli agenti atmosferici, è fatto per restare all’aperto. Come il toccante monumento al colonnello Missori di Ripamonti a Milano, con il suo cavallo stanco o i bellissimi cavalli del Mochi a Piacenza. Ma anche i tanti monumenti dedicati a Garibaldi nella piazze di tutta Italia. Tranne l’attuale Marco Aurelio a Roma: una copia che sembra un cioccolatino, un errore grave spostare l’originale senza alcuna necessità, visto che dopo secoli era ancora in ottime condizioni. La museificazione del monumento all’imperatore romano è un orrore inaccettabile: e lo è ancora di più per la brutta copia che lo sostituisce“.

Il Ranuccio I Farnese di Francesco Mochi, foto di Giovanni Dall’Orto da Wiki Commons

Come mai i cavalli sono così adatti a fare i protagonisti?

“Perché il cavallo rappresenta sempre e comunque la libertà: anche quando ha trovato un cavaliere che riesce a domarlo, ad addomesticarlo, conserva in sé qualcosa della sua capacità di essere libero.

Ed è questo quello che mi piace di lui: la zebra ad esempio non riesco a pensarla addomesticabile, sellata o attaccata quindi la sua libertà ha un valore diverso. Quella del cavallo è una libertà che lui può scegliere di mettere a tua disposizione: è per questo che mi affascina“.

L’arte racconta da millenni questo stretto rapporto tra cavalli e uomini.

“Il cavallo è sempre stato un aiuto indispensabile per l’uomo, e da Fidia in poi è stato rappresentato dagli artisti più grandi, propri perché aggiunge qualcosa di potente e imperativo a chi lo accompagna. Sino a diventare lui stesso protagonista: basti pensare a Stubbs, ai suoi cavalli che sono al centro di dipinti dove l’uomo non c’è, o per lo meno non è il protagonista“.

“Whistlejacket” and two other Stallions with Simon Cobb, the Groom, 1762 (oil on canvas) by Stubbs, George (1724-1806); 99×187 cm; Private Collection; English, out of copyright.
I cavalli della storia dell’arte che le piacciono di più?

“I cavalli di Franz Marc e quelli della scuola di Kandinski, un gruppo che si chiamava ‘der Blaue Reiter’. Marc mi piace per le forme del suo cavallo, per come è inserito nella natura”.

Certo che ne è passato di tempo da quella volta in cui ci ha detto che non pensa mai ai cavalli…

“Ma non è vero: a San Severino Marche vado anche a cavallo. Ora ho lì la residenza, e in comune c’è il bozzetto per una mia statua: ovviamente a cavallo. E quando sarò morto voglio un tiro a quattro per il mio funerale: il più tardi possibile, ma mi piacerebbe davvero, E trovo del tutto pretestuoso tutto quel polverone fatto a suo tempo per il servizio funebre di quel Casamonica: sono equipaggi che escono 320 volte l’anno per lo stesso motivo, quindi niente di così sconvolgente“.

Al termine della chiacchierata ufficiale con Vittorio Sgarbi ci siamo permessi anche la libertà di partecipare il nostro entusiasmo per le statue piacentine del Mochi, un perfetto esempio di come un artista vero sappia unire le sue opere al contesto in cui vivranno: difatti per noi i cavalli del Mochi sono chiaramente due Bardigiani.

“Ma come, non sono due cavalli Arabi?” domanda di getto il professor Sgarbi.

A stretto giro di Whatsapp produciamo fotografia d’archivio di uno degli equini farnesiani e poi di uno stallone Bardigiano più o meno nello stesso atteggiamento.

Gentilissimo, Sgarbi ci richiama ed esclama: “Ha ragione: sono uguali!”.

I cavalli: opere d’arte, per chiunque abbia sensibilità.

Chi è Vittorio Sgarbi

Vittorio Sgarbi non è solo il Critico d’arte: è anche curatore di grandi mostre internazionali, scrittore prolifico di libri best seller, conduttore di trasmissioni di successo che sono rimaste nella storia della televisione, uomo politico, libero pensatore controcorrente e instancabile difensore dell’arte e della cultura.

Nato a Ferrara l’8 maggio 1952, Vittorio Sgarbi è laureato in Filosofia con specializzazione in Storia dell’Arte presso l’Università di Bologna, ed è stato funzionario assegnato alla Soprintendenza ai Beni Artistici e Storici di Venezia.

È stato docente di Storia delle Tecniche Artistiche presso l’Università di Udine (1984-1988) e di Storia della Fotografia presso l’Università di Bologna (1974-1978).

Dal 1992 al 1999 ha ideato e condotto “Sgarbi Quotidiani”, rubrica televisiva di successo che gli è valsa nel 2000 la vittoria del Premio Internazionale Flaiano per la Televisione.

Dal 2022 è anche assessore alla Bellezza del comune di Viterbo oltreché sottosegretario di Stato alla cultura.

Al di là della biografia ufficiale, gli viene universalmente riconosciuta una memoria implacabile e una capacità unica di far entrare chi lo ascolta sin dentro le opere d’arte che descrive.

Tags: arte intervista vittorio sgarbi
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