Il nome di Antonio Tabarini è una garanzia. Di cultura equestre, di tecnica ma anche di grande sensibilità. Cavaliere federale in anni giovanili, oggi è un tecnico di grande fama. Si è formato sotto la guida del Marchese Mangilli, da cui ha appreso i segreti di un’equitazione che si fonda sul più profondo rapporto tra uomo e cavallo. Gli allievi di Antonio Tabarini hanno calcato i campi più importanti al mondo, partecipando alle Coppe delle Nazioni giovanili e ai Campionati d’Italia e d’Europa conquistando innumerevoli medaglie. I ragazzi che ha cresciuto parlano di lui non solo come un brillante istruttore, ma anche come un maestro di vita. E questo titolo si addice a pochi. Tutto questo è Antonio Tabarini.
Cosa è fondamentale insegnare ai ragazzi?
«Sicuramente la qualità della posizione, perché la posizione migliora la qualità dell’assetto, non è mai il contrario».
Quali sono le differenze tra posizione e assetto?
«La posizione è la disposizione del corpo dell’uomo in funzione della sua specialità. Perciò io avrò una posizione per galoppare in corsa, una diversa per lavorare in dressage e una diversa ancora per saltare. Perciò la posizione è variabile. L’assetto invece è una qualità innata che ciascuno di noi ha. In poche parole, l’assetto è una pagina vuota perché non la puoi descrivere. Mentre invece la posizione è uno schema ben chiaro. Ed è sempre la posizione che migliora la qualità dell’assetto. Più la posizione è adeguata, più esalterà la qualità del tuo assetto».
Ma anche se è innato si può migliorare, giusto?
«Ma certamente, l’assetto è come l’intelligenza, tu la devi continuamente provocare perché sia sempre migliore. Alcuni hanno un equilibrio naturale in sella, altri invece devono costruire un sistema per stare in equilibrio. Tutti oggi possono arrivare a un risultato, purché ci sia la passione, la dedizione e il rispetto del cavallo. Noi insegniamo il 50%, che è dato dalla posizione e dalla tecnica, ma l’altro 50% è dato dalle doti dell’allievo che noi dobbiamo tenere vive. Noi dobbiamo individuare le predisposizioni naturali nei ragazzi e tenere sempre alti i lati positivi. E piano piano inserire una posizione sempre più precisa».
Secondo lei, questo discorso del talento è applicabile anche a livelli medio bassi dello sport?
«Certo, ci sono dei ragazzi con delle grandi predisposizioni ma è solo tramite il tempo e la serenità che un allievo può arrivare ad alto livello. Bisogna seguire un processo di naturale e continua evoluzione, senza bruciare i tempi. Oggi abbiamo dei cavalieri intelligenti, capaci, straordinari che hanno continuato a lavorare. Sto pensando a Filippo Moyersoen e ad Arnaldo Bologni. Cavalieri colti e straordinari. Così come anche Piergiorgio Bucci. E Giulia Martinengo Marquet che è nata con dei fondamentali chiari, dati da un’istruzione molto chiara. Ecco tutti loro, devono essere per i ragazzi dei modelli visivi, da cui prendere ispirazione».
Quali sono i fondamentali dell’equitazione?
«L’uomo è fondamentale che cerchi di essere un centauro. L’istruttore deve mettere l’allievo in condizione di avvolgere il cavallo con la parte bassa del corpo, perciò dalla cintura al tallone, in modo che il cavallo non subisca la presenza del cavaliere. Bisogna essere in sella come un marshmallow, qualcosa di aderente ma morbido».
È una bellissima metafora…
«L’uomo centauro serve per farci capire che a cavallo bisogna avere il senso logico di quattro arti. Noi come bipedi abbiamo delle posture contradditorie a quelle del cavallo: per camminare portiamo avanti il busto e la testa. Mentre a cavallo… è come in altalena… per partire devi inspirare e tirare su le spalle, in modo da non gravare sul treno anteriore del cavallo. Per questo bisogna insegnare l’equitazione dal basso verso l’alto».
Ovvero?
«Significa che prima devi essere insieme al cavallo. Bisogna pensare a essere centrati, rispettando le sue articolazioni e i suoi equilibri. Poi userai le braccia per gestire il collo e la testa, poi userai le spalle e lo sguardo».
Qual è l’esercizio che lei fa fare più spesso ai suoi allievi?
«L’esercizio fondamentale per i giovani di oggi è imparare a montare con una mano sola. Fare ginnastica col corpo, tenendo le redini con una mano sola, senza compromettere la testa e il collo del cavallo. È utilissimo per imparare a stare centrati sul cavallo. Le redini si tengono sempre nella mano esterna, mentre il braccio interno può ruotare. E intanto si inspira ed espira. Poi bisogna curare il busto perché è quello che può creare più problemi».
E come si può migliorare sotto questo aspetto?
«Bisogna rendere indipendenti le braccia, dalla testa, dal corpo e dalle gambe. È utile cercare di montare sull’inforcatura con una mano sola, come dicevo prima. Mentre quando al trotto si batte la sella, sforzarsi di portare il peso sui talloni quando ci si alza e chiudere i polpacci quando ci si siede».
Se potesse dare un consiglio ai ragazzi, che consiglio darebbe?
«Suggerisco sempre di cercare essere un passeggero comodo per il cavallo. Bisogna sentire la comodità del cavallo, in modo da non costringere il cavallo a una postura scomoda. E poi i ragazzi devono prendere ispirazione da cavalieri che non hanno mai smesso di lavorare e di imparare. Ne abbiamo tantissimi in Italia, li menzionavo prima… Filippo Moyersoen, Arnaldo Bologni, Piergiorgio Bucci, Giulia Martinengo Marquet. Così come l’americano McLain Ward. Devono essere dei modelli per tutti i giovani».
Lei ha dedicato la vita all’istruzione dei ragazzi. Qual è stata la sua motivazione in tutti questi anni?
«Io ho avuto una vita un po’ particolare. Ero un cavaliere federale, poi quando avevo 26 anni la mia scuderia è bruciata, portandosi via anche la mia casa e i miei ricordi. E ho ricostruito tutto dalle macerie. In quel momento mi sono dedicato all’istruzione. Attenzione però: a me piace lavorare con i cavalli ma non mi è mai piaciuto fare l’istruttore. L’uomo però si adatta a tutto e in quel momento c’era la necessità di ricreare da zero una scuderia che funzionasse. Con me all’epoca c’erano molti ragazzi, che mi hanno aiutato moltissimo e che non hanno mai smesso di trasmettermi il loro entusiasmo. E io ho avuto il dovere e l’obbligo di restituire loro qualcosa. Loro sono stati bravissimi. Quando si verifica una catastrofe, c’è un impegno diverso. Quando non hai più niente, la casa tua è bruciata, non hai più i tuoi ricordi, la tua scuderia… dietro la ricostruzione c’è un impegno, una qualità umana che non è “normale”, è difficile da spiegare. E da questo impegno, questi valori, è venuto qualcosa di meraviglioso. Io ho avuto a 30 anni dei risultati che un uomo normale avrebbe a 60. E tutto per questi motivi. Era tutto dovuto alla passione e alla dedizione di tutti i ragazzi che avevo attorno a me. Tutti quanti loro poi hanno avuto risultati sportivi strepitosi».
Qual è stata la più grande lezione che ha imparato, dallo sport o dalla vita?
«Che i cavalli ti rendono bugiardo».
In che senso?
«Non bisogna mai esprimere un parere su qualcosa che ha un’evoluzione continua. Un cavallo in tre, quattro o dieci anni può cambiare, quindi non serve esprimersi, anzi… il cavallo vive di sensazioni e di sentimenti. Come l’uomo… se trova la persona che sa valorizzare i suoi sentimenti e i suoi valori, il cavallo può avere delle evoluzioni meravigliose. Perciò non bisogna mai parlare troppo presto, bisogna sempre avere pazienza e aspettare…»
Qual è stata la soddisfazione più grande che ha avuto?
«Io sono stato fortunato, ne ho avute parecchie… i miei allievi e le loro medaglie me ne hanno regalate tantissime ma non sarebbe possibile individuarne una che ha avuto più rilievo di altre. E poi… le emozioni più grandi non mi sono arrivate dall’agonismo di per sé. Con l’agonismo, certo, ci si può emozionare per un bel risultato, che si ottiene con dei sacrifici. Ma poi… è fuori dall’agonismo che i cavalli che ti regalano emozioni meravigliose. Potremmo scriverci un libro su questo. Ho visto cavalli modesti dare l’anima per gratificare il loro cavaliere, solo perché sono stati apprezzati e amati. Ricordiamoci sempre che tutto quello che il cavallo può dare ad alto livello, nello sforzo estremo, te lo dà solo se è amato. Solo un cavallo che è amato ti dà l’anima. E quest’emozione come fai a descriverla?»