Di cognome fa Mihajlovic, di nome Viktorija: occhi verdi, capelli biondi, fisico da Instagram, un papà che non c’è più (o meglio: ‘è diventato invisibile’) ma che rimane nella memoria di tutti.
Sinisa Mihaijlovic, serbo di Vukovar, non è stato soltanto un calciatore dal piede sinistro preciso come un rasoio, o un allenatore dal carattere molto forte.
E’ diventato una icona perché aveva idee chiare, reazioni cristalline, coraggio da vendere: nato in Kosovo e cresciuto durante la guerra non ha avuto cedimenti quando vedeva partire gli aerei da Aviano per andare a bombardare casa sua, e lui intanto doveva andare ad allenarsi.
Lo stesso coraggio combattivo, attivo lo ha mantenuto durante la lunga malattia che lo ha fatto diventare invisibile – come dice Viktorija, la maggiore dei 5 figli avuti con la moglie Arianna Rapaccioni – nel 2022.
E tanto per non smentirsi, Sinisa il coraggio lo ha avuto anche come padre: il coraggio del buon senso, quello di dire no a un figlio o a una figlia quando serve.
Il coraggio di togliere invece di dare, per far capire: un atteggiamento d’altri tempi verrebbe da dire, in questi tempi dove allo psichiatra Paolo Crepet tocca di parlare spesso del ‘coraggio di educare‘.
Per la precisione, Mihajlovic quando Viktorija era ragazza e non studiava gli vendette il cavallo, il suo Zaros, che le aveva regalato anni prima.
“Se fail tuo dovere ti dò tutto, se non fai il tuo dovere non ti dò nulla”: Sinisa era diretto, deciso e onesto in panchina come a casa.
Viktorija aveva cominciato ad andare in maneggio a 5 anni, attività consigliata da una (per noi bravissima!) psicologa consultata dai genitori: “Portatela in un maneggio: gli animali, a volte, sanno parlare ai bambini più di noi”.
Ha scritto Viktorija sulla sua pagina Instagram: “Sono stata una bambina molto impegnativa: non stavo ferma un secondo, ero un concentrato di energia e confusione, sempre arrabbiata, sempre ‘troppo’ qualcosa”.
Per questo cominciò coi cavalli, e piano piano col tempo per lei arrivò in regalo dai genitori Zaros: grigio, alto, gentile.
Viktorija continua a raccontare: “Me ne innamorai all’istante. Quando sali su un cavallo, lo capisci subito se è quello giusto. Io l’ho capito dal primo momento. Siamo cresciuti insieme. Ho imparato la disciplina, il sacrificio , la dedizione. Ho ‘quasi’ imparato ad avere pazienza e, nel mentre, ho imparato ad amare”.
Poi l’anno di crisi, verso i 18 anni: non studiava, sottovalutava l’avvertimento del papà.
Che non si è smentito, nemmeno in famiglia: e le ha venduto Zaros.
Per sette anni Viktorija non è mai più tornata in un maneggio. Ma è cresciuta, ha cominciato a lavorare dietro le quinte del mondo dello spettacolo, è passata attraverso il dolore della malattia del papà e della sua mancanza fisica.
Poi un giorno telefona a un maneggio vicino a casa: prende appuntamento per il giorno dopo, ha voglia di ritrovarsi in qualcosa che la facesse sentire viva. E che ama.
Quella notte fa un bel sogno, uno di quelli che si fanno da bambine: sogna papà Sinisa, bellissimo, in sella a un cavallo grigio, proprio come fosse un principe delle favole.
Il giorno dopo va in maneggio, fa una passeggiata tra i box in scuderia e nota un cavallo grigio chiarissimo, alto, dall’aria familiare.
“Non può essere lui. Sono passati 8 anni. Abbassai lo sguardo, lessi il nome sul box: ‘Zaros'”.
Sembra una favola, e invece è una storia vera: solo che al posto del principe e della principessa ci sono un papà e la sua bambina.
Ma il cavallo grigio è sempre lo stesso, quello di ogni favola che si rispetti: e che i papà e le bambine coraggiosi sanno scrivere, anche se per arrivare al lieto fine bisogna superare ostacoli difficili, e avventure pericolose e orchi cattivi.
Per inciso: Sinisa aveva venduto il cavallo, ma evidentemente aveva scelto bene a chi affidarlo.
E Viktorija scrive bene: dovrebbe continuare.