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Home | Sport | Completo | Roman: le Olimpiadi di padre in figlio

Roman: le Olimpiadi di padre in figlio

Federico, Pietro, Luca: tre cavalieri che nella specialità del completo hanno indossato la maglia azzurra nel massimo evento sportivo mondiale; ma non solo: parliamo di un padre e dei suoi due figli…

18 Giugno 2019
di Umberto Martuscelli

Bologna, 9 gennaio 2018 – Più che un’intervista questa è una conversazione. Con un Federico Roman che per una volta non parla tanto di cavalli o di gare o di tecnica… O meglio: sì, anche di questo, ma come sfondo all’argomento principale. E l’argomento principale è una mistione di temi prodotti da una realtà abbastanza eccezionale. Questa: Federico Roman ha fatto le Olimpiadi (e una l’ha anche vinta), Federico Roman ha due figli, i due figli di Federico Roman sono cavalieri, i due figli di Federico Roman hanno fatto le Olimpiadi, Federico Roman ha vinto una medaglia olimpica in squadra con il fratello Mauro. Insomma: un incrocio di storie di vita davvero impressionante. Ecco dunque di seguito la conversazione con Federico Roman, già pubblicata sulle pagine cartacee di Cavallo Magazine alcuni mesi or sono ma sempre molto attuale per i concetti che vi vengono espressi.

«Nella mia vita ho attraversato momenti di grande soddisfazione, di grande difficoltà, e comunque di esame. Al di là delle tre Olimpiadi, vissute e affrontate con risultati alterni ma sempre con grandissimo impegno, ho fatto anche altre cose… non so, penso all’aver camminato per trenta giorni in mezzo alle montagne della Spagna, oppure all’aver attraversato avanti e indietro l’oceano Atlantico in barca a vela da solo… Ecco, queste sono le cose che paragono immediatamente all’avventura olimpica vissuta con i miei due figli Pietro e Luca».

Un’avventura stressante? Emozionante? Faticosa?

«Direi difficile. Direi la più impegnativa tra tutte quelle con le quali mi viene da fare un paragone. Anche molto faticosa, perché molto prolungata nel tempo».

Un tempo durante il quale le situazioni saranno state vissute in modo vario, probabilmente…

«Beh, sì, certo. L’avvicinamento al traguardo finale parte da lontano e all’inizio è sempre tutto rose e fiori perché le aspettative sono eccitanti ed entusiasmanti, perché il futuro immediato è una rosea attrattiva, perché nella fase iniziale c’è sempre un immediato avanzamento e un immediato progresso. Poi però il cammino si complica, perché si entra nella fase dell’esame. Che non è facile».

Ecco: in questa fase come si colloca l’impegno di un uomo che nello stesso tempo è padre e tecnico, e che quindi nei due cavalieri di fronte a lui vede due allievi ma anche due figli? Che tali sono per lui da tutta la vita?

«Non è semplice. Il padre che ha già vissuto quel tipo di esperienza deve aiutare i figli a percorrere quello stesso insidiosissimo tracciato senza poterne essere a sua volta protagonista in prima persona: quindi fornendo certamente consigli e indicazioni ma nello stesso tempo facendo molta attenzione a non compromettere quell’equilibrio di per sé già delicatissimo che caratterizza i rapporti umani all’interno del nucleo familiare. Nel quale sono coinvolti tutti, ovviamente: genitori, figli, mogli o compagne dei figli… con momenti anche di grande difficoltà e di grande tensione che però bisogna saper metabolizzare e trasformare in positivo».

Chi osserva dall’esterno però riceve l’immagine di una storia meravigliosa…

«Ma certo, lo è. Però non priva di difficoltà, anzi. Nel corso dei due anni precedenti le Olimpiadi si sono manifestati progressivamente dei momenti molto complessi. Le difficoltà ci sono state, eccome. E non bisogna pensare… non so, a una gara andata male tanto per fare un esempio: no, le difficoltà anche grandi possono nascere dalla decisione di fare un lavoro in un modo piuttosto che in un altro, oppure nella ripetizione di una serie di osservazioni… nei confronti di cavalieri che comunque stanno mirando a livelli importanti, che hanno già vinto tanto. Per il padre istruttore è difficile riuscire a dosare le cose e farle percepire nella maniera più produttiva, capire quando essere critico alla ricerca del miglioramento e quando invece rimanere silenzioso per evitare di far nascere dubbi al posto delle certezze. E quando situazioni del genere si protraggono nel tempo, poi subentra anche un certo affaticamento».

Difficoltà che però non hanno pregiudicato l’esito complessivo.

«Devo dire che per fortuna o per capacità anche dopo una giornata o due di silenzio reciproco o di muro contro muro abbiamo sempre saputo rimetterci uno accanto all’altro e non arrivare mai al punto di non ritorno, quello in cui ognuno decide di andare per la propria strada. Questa è una cosa che mi riempie di soddisfazione, e devo davvero ringraziare tantissimo Pietro e Luca, mia moglie e tutti coloro i quali ci sono stati intorno».

Al di là di ciò Federico Roman è noto per essere uomo dal carattere e dalla personalità molto forti: crede per questo di essere stato per i suoi figli più un problema o più una risorsa?

«Sono stato un problema utile. Sappiamo bene che la partecipazione e il risultato sono arrivati grazie al contributo di tutti: qualche volta si mette un po’ troppo, qualche volta si mette meno di quello che si dovrebbe, qualche volta quello che metto io e quello che mette l’altro entra in rotta di collisione… Però alla fine nel calderone la miscela è stata tale da poter arrivare al risultato, che è la cosa fondamentale».

Non c’è mai stato tra Luca e Pietro un confronto reciproco sulla base del rapporto che ciascuno vive con lei?

«No, loro due sotto questo punto di vista secondo me sono un caso di studio per la psicologia sportiva. Hanno un approccio molto diverso all’equitazione, nel modo di montare, nel livello di impegno, uno è un artista e l’altro è un tritasassi, ma vivono il loro rapporto personale in maniera talmente serena che tutte le settimane escono a cena insieme con le rispettive mogli riuscendo a non parlare mai di cavalli, proprio come un gruppo di amici. Montano insieme, lavorano insieme, hanno un padre come il sottoscritto però riescono a mantenere una serenità e un equilibrio che alle volte io stesso fatico a spiegare, conoscendo tante situazioni parallele e antiche, e anche meno antiche. Il rapporto con il padre non è mai stato un problema di… incrocio delle linee: nel senso che c’è un rapporto con Pietro e c’è un rapporto con Luca, Pietro non ha mai detto eh ma con Luca… e viceversa. In qualche momento di difficoltà può essere accaduto che uno dei due mi abbia magari scritto un messaggio per spianare la strada verso la soluzione, ma sempre in maniera molto riservata. E questo, ripensandoci, è molto affascinante».

Il fatto che lei abbia vissuto con suo fratello Mauro determinate esperienze comuni le ha consentito di vedere qualcosa in più sui suoi figli nel loro essere fratelli?

«No, assolutamente. Non ci ho mai nemmeno pensato. Poi il discorso fratelli alle Olimpiadi con i miei figli è nato solo quando è arrivata la conferma che anche Luca sarebbe stato in squadra, e allora è diventato un caso mediatico e simbolico. A parte ciò, io e mio fratello eravamo inseriti in un contesto completamente diverso: c’era un apparato federale che decideva tutto, le regole erano molto più chiare, si trattava semplicemente di entrare nel meccanismo deciso da chi comandava, non c’erano tanti ragionamenti e in più stavamo in un centro federale».

Sua moglie Antonella come si è posta in tutto ciò?

«La devo ringraziare tantissimo. Tantissimo. Credo che lei sia la persona che meno è riuscita a gioire e apprezzare l’intera esperienza. Nel suo triplice ruolo di moglie, di madre e di amazzone, su di lei come su di un parafulmine si sono scatenate sicuramente moltissime delle tensioni implicite. E poi ai suoi tre ruoli ne va aggiunto un altro: quello di essere proprietaria dei cavalli. Mi piace far presente questo, perché noi ci lamentiamo sempre del cosiddetto problema dei proprietari, poi però quando qualcuno decide di mettersi in gioco viene regolarmente trascurato. Antonella inoltre è una persona molto sensibile e reattiva: ha sicuramente sofferto nei momenti difficili ma è stata bravissima nel non creare mai alcuna interferenza».

E lei? Federico Roman ha avuto momenti di sofferenza, qualche notte insonne magari… ?

«Pochissimi, e per fortuna non vicini alle fasi finali. Dovuti a cose anche banali, di gestione quotidiana. Un paio di episodi… Allora non si sa da dove ricominciare perché il rapporto si è bloccato, ma bisogna comunque ristabilire il collegamento tra gli anelli della catena… Ecco, quelli sono i momenti in cui mi vado a fare una passeggiata… oppure prendo lo scavatore e faccio due ore di fossi con la ruspa… Non sono molto capace di confrontarmi con qualcun altro in quelle situazioni, devo risolvere da solo con me stesso».

Come si fa a dividere l’emozione del padre da quella del tecnico?

«Le emozioni prima e durante la gara non sono consentite. Il tecnico deve essere un supporto e in questo non è prevista l’emozione. Direi che l’emozione viene dopo, quando ci si accorge che il riconoscimento per il valore di questa partecipazione olimpica arriva anche da ambiti extrasportivi, da parenti lontani o magari da amici con i quali i contatti si sono un po’ persi, oppure anche dal vicino di casa con il quale non ci sono mai stati rapporti e che però viene a fare i complimenti dicendo di essere rimasto attaccato al televisore… Tutte situazioni che dimostrano la diversa percezione che il mondo extrasportivo ha del valore olimpico: e allora lì un po’ di emozione, beh, sì… devo ammettere che c’è stata».

In ogni caso è un’esperienza abbastanza straordinaria quella che avete vissuto lei e Mauro, e poi Luca e Pietro.

«Direi che la partecipazione alle Olimpiadi di due fratelli nella stessa squadra e nella stessa disciplina è qualcosa che va oltre i confini dello sport. Direi che è qualcosa che collega lo sport alle sensazioni della vita dell’uomo».

Tags: completo federico roman
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