Valentina Truppa è una delle figure più note ed influenti del dressage italiano contemporaneo. Nata a Milano il 18 marzo 1986, ha cominciato a montare a cavallo all’età di quattro anni e a gareggiare dai dodici, sotto la guida di suo padre Enzo Truppa, cavaliere internazionale e giudice di dressage, primo italiano a partecipare a un Campionato del Mondo di disciplina negli anni ’80 e figura chiave nella formazione tecnica della figlia.
Nel corso della sua carriera agonistica Valentina si è imposta in Italia e all’estero con risultati importanti: ha vinto, tra le altre, otto medaglie tra individuali e a squadre ai Campionati Europei Under 18 e Under 21 , tre ori in Coppa del Mondo Under 21; per poi passare alle competizioni da Senior vincendo più volte il Campionato Italiano nelle categorie tecniche e freestyle, conquistando una medaglia di bronzo alla finale della Coppa del Mondo di Dressage nel 2012 (un risultato storico per il dressage azzurro) e rappresentando l’Italia ai Giochi Olimpici in due occasioni: Londra 2012 e Rio nel 2016.
A partire da questo vissuto personale e professionale, Valentina Truppa ci introduce alla disciplina del dressage collocandola prima di tutto nella sua evoluzione storica.
Il cavallo, ricorda, nasce come animale da lavoro e da guerra: eserciti, cavalleria, spostamenti e strategia militare hanno per secoli richiesto cavalli addestrati alla massima obbedienza e precisione. Solo in tempi relativamente recenti questa tradizione si è trasformata in disciplina sportiva, fino a diventare una specialità olimpica. Oggi il cavallo viene utilizzato principalmente nello sport, e il dressage rappresenta l’eredità più diretta di quel lavoro di addestramento raffinato, adattato a un contesto agonistico moderno.
Alla base della disciplina c’è un lavoro progressivo e metodico finalizzato a rendere il cavallo sciolto, elastico e disponibile agli aiuti. È questo il primo obiettivo che viene insegnato ai bambini che si avvicinano all’equitazione ed è lo stesso principio guida del lavoro dei professionisti: costruire un cavallo equilibrato, capace di muoversi correttamente e senza tensioni.
Nella circostanza in cui il cavallo o il cavaliere mostrano un talento particolare, il percorso potrà orientarsi verso agonismo ad alti livelli.
Nel dressage il tempo è un fattore decisivo, il binomio tende a costruirsi e maturare nel lungo periodo, spesso raggiungendo i livelli più alti con cavalli già avanti con l’età. Lo sforzo richiesto è più legato alla ripetizione e alla precisione del gesto tecnico, quindi il livello di “usura” del cavallo è più limitato rispetto ad altre discipline permettendo agli atleti equini di essere più competitivi col passare degli anni.
La ripresa di dressage si svolge all’interno di rettangoli regolamentari che possono essere di due misure: il 20×40 metri, utilizzato per le categorie di avviamento; e il 20×60 metri, riservato alle categorie più avanzate e alle competizioni di alto livello.
Le categorie seguono una progressione tecnica ben definita, pensata per accompagnare gradualmente la crescita del binomio.
Le prime riprese di avvicinamento alla disciplina, le categorie ludiche o le ID (invito al dressage), prevedono esercizi molto semplici, basati prevalentemente su passo e trotto, con l’obiettivo di valutare l’assetto del cavaliere, l’uso corretto degli aiuti e la serenità del cavallo. In queste fasi il giudizio non è ancora figura per figura, ma tiene conto della regolarità e della correttezza generale dell’esecuzione.
Con la categoria E (Elementare) inizia la valutazione più strutturata: ogni movimento riceve un voto specifico e, oltre al punteggio finale, viene attribuito un giudizio sull’uso degli aiuti. Il lavoro richiesto resta semplice, ma deve già mostrare correttezza, regolarità e una buona qualità delle andature.
La categoria F (Facile) rappresenta un passaggio fondamentale nella formazione del binomio. Qui il lavoro di base deve essere consolidato: il cavallo deve dimostrare maggiore equilibrio, continuità e capacità di mantenere una corretta impostazione per tutta la ripresa. In questa fase iniziano a comparire esercizi che richiedono una migliore organizzazione del corpo del cavallo e una maggiore precisione nell’esecuzione, pur rimanendo all’interno di una difficoltà ancora accessibile.
Nel passaggio alla categoria M (Medio) il lavoro diventa sensibilmente più tecnico. Da questo punto in avanti non è più sufficiente la sola abilità del cavaliere: è necessario un cavallo performante nell’affrontare esercizi come i cambi di galoppo al volo, le appoggiate e transizioni più raffinate. La valutazione si concentra sempre più sulla qualità del movimento e sulla correttezza dell’esecuzione.
Il livello D (Difficile) rappresenta la massima espressione della disciplina. Si articola in riprese di difficoltà crescente fino al Grand Prix. In queste prove ogni dettaglio assume un peso determinante e il binomio deve dimostrare un’elevata armonia, precisione e controllo.
A tutti i livelli, dalla categoria E fino al Grand Prix, esistono anche le prove freestyle, nelle quali il cavaliere dispone di una certa libertà compositiva. Le figure obbligatorie restano definite dal regolamento, ma possono essere inserite in un ordine e in una disposizione scelti liberamente all’interno del rettangolo. Il punteggio finale deriva dalla combinazione di due componenti: il giudizio tecnico sull’esecuzione degli esercizi e quello artistico, che valuta coerenza, fluidità e rapporto tra musica e movimento. Una ripresa tecnicamente corretta ma priva di logica coreografica o accompagnata da una musica inadatta può vedere penalizzato il punteggio complessivo.
L’obiettivo del dressage resta costante: sviluppare una muscolatura funzionale, migliorare l’equilibrio e arrivare a una comunicazione sempre più sottile tra cavaliere e cavallo, fino a rendere gli aiuti quasi invisibili dall’esterno. Il lavoro non finisce mai e richiede dedizione costante per affinare i movimenti.
Il lavoro in piano da cui origina il dressage rappresenta una base utile a tutte le discipline equestri. A i massimi livelli infatti, testimonia la Truppa, il lavoro di preparazione alle giornate di gara per un saltatore come per un dressagista è il medesimo: ginnastica, transizioni, cessioni e controllo dell’elasticità sono elementi comuni.
Un altro aspetto centrale è il rapporto tra genetica, selezione e lavoro. Le tecnologie riproduttive e la selezione genealogica hanno assunto un ruolo importante nella filiera equestre, tanto da orientarne le aspettative. Questo, però, non elimina l’incertezza: anche un cavallo con ottima genealogia può “perdersi” lungo il percorso, o perché il carico di lavoro richiesto, fisicamente o mentalmente, è troppo pesante per lui o perché è il cavaliere stesso a non essere in grado di svilluparne tutto il potenziale. La differenza la fa il rapporto attento e rispettoso tra cavaliere e cavallo, sviluppato nel tempo.
Truppa sottolinea come, in Italia, il dressage resti una disciplina di nicchia se confrontata con il salto ostacoli. I numeri sono ridotti, sia per quanto riguarda i cavalli di alto livello sia per il numero di cavalieri che riescono a competere stabilmente sulla scena internazionale. Paesi come Germania, Olanda, Inghilterra o Spagna possono contare su bacini molto più ampi, e questo incide inevitabilmente sulle percentuali di successo. Non è tanto una questione di qualità assoluta, quanto di quantità e continuità del sistema.
Truppa riconosce come un periodo di formazione in quel contesto possa segnare un passaggio fondamentale nella crescita di un cavaliere, consentendo di comprendere a fondo il sistema, il lavoro quotidiano e la gestione del cavallo ad alto livello. Lei stessa racconta come l’esperienza in Germania abbia rappresentato un momento di svolta, un passaggio da amazzone promettente a professionista consapevole
Truppa evidenzia fiduciosa come, soprattutto nelle categorie giovanili, ci siano oggi ragazzi che stanno crescendo con basi più solide rispetto al passato: lavorare con numeri più piccoli rende più difficile emergere, ma non impedisce la crescita di nuove generazioni.
























