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Home | Sport | Salto ostacoli | Piergiorgio Bucci: settanta volte Italia

Piergiorgio Bucci: settanta volte Italia

Il campione azzurro è nella squadra che sabato a Ocala affronterà la Coppa delle Nazioni: e sarà la sua settantesima presenza!

18 Marzo 2025
di Umberto Martuscelli
Piergiorgio Bucci: settanta volte Italia

Piergiorgio Bucci (ph. UM)

L’Italia sabato prenderà parte alla Coppa delle Nazioni dello Csio a cinque stelle di Ocala, negli Stati Uniti. Un appuntamento importante poiché si tratta della seconda tappa del circuito Longines League of Nations.

Ma per uno dei cavalieri azzurri che scenderanno in campo l’evento avrà un’importanza ulteriore. Questo cavaliere azzurro è Piergiorgio Bucci e l’importanza ulteriore è data dal fatto che quella di sabato sarà la sua settantesima presenza in Coppa delle Nazioni.

Settanta. Un numero importante non solo da un punto di vista per così dire formale e statistico: anche sostanzialmente lo è molto, perché significa esperienza, storia, sport, cavalli. Un cavaliere che raggiunge settanta presenze in Coppa delle Nazioni (più sei campionati internazionali, quindi le presenze in squadra sono in realtà 76) può certamente dire di aver lasciato un segno profondo lungo il cammino del suo sport.

«Eh… sono tante settanta, tanti anni, tanti cavalli… ».

Ne avverte il… peso?

«No, assolutamente! Anche se devo ammettere che pensare al numero, alla cifra in sé… beh, un po’ di impressione me la fa».

Ma volendo analizzare un po’ meglio questo tipo di sensazione cosa direbbe?

«Direi che sono orgoglioso di aver raggiunto questa tappa: vuol dire aver mantenuto una certa consistenza di rendimento nel tempo. E anche aver stabilito una buona intesa e un buon rendimento con tutti i cavalli che mi sono stati compagni lungo questo cammino».

Dopo un’esperienza così consistente ci si abitua? Diventa un fatto normale essere convocati in squadra?

«Per me no, assolutamente! Io vivo ogni volta come se fosse la prima. Sento sempre la stessa voglia, lo stesso entusiasmo delle prime volte, di quando ero più giovane e all’inizio. Non so, magari è perché io sono della vecchia generazione, ma per me la Coppa delle Nazioni rimane sempre la gara più bella, più emozionante, più eccitante. Fare parte della squadra italiana in Coppa delle Nazioni è un traguardo di importanza enorme: da ragazzino non osavo nemmeno sognare una cosa del genere, poi dal momento in cui ci sono arrivato ho sempre cercato di migliorarmi, di essere sempre più competitivo».

Sì ricorda la prima?

«Come fosse stata ieri. A Lisbona, nel 2002. Montavo Clio. Era una squadra forte, per quel livello di concorso un po’ di secondo piano, con Mario Verheyden, Valerio Sozzi e Cristian Pitzianti… ma arrivammo ultimi e io feci 20 penalità… ! Un disastro».

Quali Coppe ricorda in modo particolare, e perché?

«La prima a Roma, con Portorico, nel 2007. Quando Roberto Arioldi che allora era il nostro tecnico mi ha comunicato la convocazione, piuttosto inaspettata devo dire, mi sono sentito le farfalle nello stomaco… e per tutta la settimana che ha preceduto il concorso ho avuto questa sensazione di euforia e di pressione. Ma è una cosa che a me piace tantissimo, sentirmi così: mi dà una carica incredibile».

A proposito di Roma certamente anche la vittoria del 2017 rimarrà nella sua memoria per sempre…

«Ovvio, questo lo do per scontato, nemmeno da dire… l’Italia che vince a Piazza di Siena dopo trentadue anni, far parte di quella squadra, quei meravigliosi compagni, quei cavalli, il pubblico… come si fa a descrivere tutto questo?».

Altre?

«La prima a Dublino. La metterei perfino davanti a quella di Aquisgrana. Ad Aquisgrana ci sono talmente tante gare tutte del massimo livello e importanza, e la Coppa delle Nazioni è una di quelle. Invece a Dublino… non so, c’è un’atmosfera particolare per la Coppa delle Nazioni, come se fosse più sentita, come se fosse una cosa unica».

Dopo settanta presenze ormai lei ha una certa esperienza in materia… Esiste davvero il cosiddetto spirito di squadra in un gruppo di cavalieri che squadra lo sono solo ogni tanto nel corso dell’anno?

«Certamente, esiste eccome! Soprattutto quando si è tra ragazzi ai quali piace la Coppa delle Nazioni, lo spirito della Coppa delle Nazioni: allora quello è il momento in cui si diventa quasi una famiglia, un’atmosfera che a me piace da morire. Io tutti i più importanti risultati dell’Italia in Coppa delle Nazioni li ho vissuti quando siamo stati unitissimi tra noi. Ovviamente i cavalli fanno sempre la differenza, però a prescindere da questo la discriminante principale è proprio la qualità del rapporto con i compagni di squadra».

E quindi anche in senso diciamo… negativo?

«Sì, certo. Mi è capitato anche di far parte di squadre con una pessima relazione interna, e il risultato ne ha risentito, eccome… ».

Partire per primo, partire per ultimo: essere il quarto della squadra è sempre una responsabilità e lei lo è stato spesso… Cambia la prospettiva, cambia l’approccio alla gara?

«Credo sia una cosa soggettiva. Ovviamente essere consapevoli del fatto che la propria prestazione potrebbe essere determinante per il risultato di tutta la squadra mette un bel carico di pressione in più… A me, per esempio, questa è una cosa che piace tantissimo: la pressione su di me ha un effetto positivo. È qualcosa a cui ci si prepara mentalmente, ma non per tutti è la stessa cosa, questo è ovvio».

Le è quindi capitato di essere… l’ago della bilancia?

«Certo. La situazione che non dimenticherò mai l’ho vissuta a Lummen nel 2015, nello Csio del Belgio, Coppa delle Nazioni che faceva parte del circuito di Prima Divisione. Ero appunto l’ultimo a partire, montavo Casallo Z. Quando sono entrato in campo prova c’era un silenzio di tomba, nessuno diceva niente… perché in quei casi gli altri non sanno mai se dire o se non dire… Mio fratello invece mi conosce benissimo, ovviamente: e a un certo punto lo vedo arrivare trafelato in campo prova, mi guarda con gli occhi sbarrati e mi dice se fai zero abbiamo vinto! Lui sa che la tensione mi gasa, e che più forte è la pressione e meglio reagisco… E quindi io sono entrato in campo con dentro una forza pazzesca: ho fatto zero, Casallo è stato magnifico e abbiamo vinto!».

Sono emozioni potenti… Eppure negli ultimi tempi si discute molto sul senso e sul valore del concetto Coppa delle Nazioni: c’è chi sostiene che si tratti di una competizione messa un po’ in secondo piano nella realtà agonistica attuale…

«È vero. E devo dire che per tanti cavalieri è così, sì… ».

Cioè è una cosa che lei sente, che percepisce?

«Certo, soprattutto in alcuni cavalieri più giovani, quelli dai trentacinque anni in giù, diciamo… Non so se dipenda dal grande incremento del numero delle gare a disposizione, dal fatto che si guarda di più ai soldi, al montepremi… Però è un fatto che per alcuni cavalieri partecipare a una Coppa delle Nazioni sembra quasi una cosa secondaria, rispetto alle grandi gare individuali, ai circuiti… Del resto abbiamo visto il caso di cavalieri importantissimi che hanno addirittura rinunciato a partecipare a campionati internazionali per non compromettere le loro grandi gare individuali. Per carità, io non mi permetto assolutamente di criticarli, ognuno fa le scelte che ritiene migliori per sé stesso: dico solo che è un diverso modo di vedere lo sport».

Martin Fuchs e Steve Guerdat di recente hanno annunciato di non voler partecipare alla Longines League of Nations proprio come gesto di protesta nei confronti del modo in cui la Fei ha gestito il circuito di Coppa delle Nazioni…

«Sono d’accordo con Steve e con Martin nel criticare la Fei su tante cose, ma nel caso specifico penso che la decisione di non montare non sia giusta. Lo sport evolve, tutte le cose sono soggette al cambiamento: la LLN è una cosa nuova, il montepremi di ciascuna Coppa delle Nazioni è salito parecchio, a me personalmente il concetto di questo circuito piace. A mio parere c’è solo un vero grande problema che va risolto nella LLN».

Quale?

«Quello delle date. Non si possono mettere due Csio su quattro del circuito nel momento in cui è in pieno svolgimento la stagione indoor di Coppa del Mondo. Questo è un grave errore».

Un errore che tra l’altro ha penalizzato anche lei personalmente, no?

«Eh sì, certo. Per me, l’ho già detto, non c’è discussione: una Coppa delle Nazioni viene prima di tutto. E per questa ragione ho dato la mia disponibilità al nostro commissario tecnico Marco Porro nel caso lui avesse ritenuto di convocarmi per Abu Dhabi e Ocala (rispettivamente prima e seconda tappa della LLN dall’11 al 15 febbraio e da oggi a domenica, n.d.r.). Ma così ho perduto la possibilità di qualificarmi per la finale della Coppa del Mondo, che sarebbe stata la mia prima. Se non avessi fatto Abu Dhabi (portando a termine un formidabile doppio percorso netto su Hantano, n.d.r.) avrei partecipato alle tappe di Coppa del Mondo di Bordeaux e di Goteborg, il fine settimana immediatamente precedente e seguente Abu Dhabi, e avrei guadagnato direi quasi certamente quei pochi punti che mi mancavano per raggiungere la finalissima, una gara a cui io non ho mai partecipato, in tutta la mia vita. Voglio essere chiaro: non recrimino assolutamente, è stata comunque una mia scelta, una mia decisione, la squadra e l’Italia vengono prima di tutto. Dico solo però che in linea di principio non è giusto che la Fei metta i cavalieri in una situazione del genere: vale per me e per chiunque altro, naturalmente».

Settanta Coppe delle Nazioni. Prossimo traguardo? Ottanta, novanta… cento?

«Calma… Intanto pensiamo a quella di sabato!».

Tags: piergiorgio bucci salto ostacoli
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