Se il cavallo vegano non basta ci vuole Cody

Due storie lontane tra loro che però indicano una sfera valoriale legata al cavallo che troppo spesso viene messa in secondo piano. Anche da chi ne ha molto rispetto

Bologna, 21 aprile 2024 – Capita a volte che due notizie apparentemente lontane per contenuto trovino il modo, nella mente di ciascuno, di intrecciarsi e saldarsi. Spesso ciò accade in virtù di un vissuto personale. Altre volte invece si tratta di un flebile filo condiviso. Che magari, parlandone, si riallaccia al filo di qualcun altro.

Amador County è un piccolo centro di 40mila anime a margini dell’opulenta California. Così come è sempre più frequente, arrivata alla fine dei suoi giorni e in precarie condizioni di salute, la signora Feliz Guthrie ha scelto affidare i suoi ultimi tempi di vita a un hospice. Una vita spesa tra i banchi di scuola come professoressa e la passione incontenibile per i cavalli, Feliz quando ha sentito che la fine si stava avvicinando ha avuto una sola richiesta che ha affidato alle volontarie dell’hospice: montare in sella per l’ultima volta.

Le volontarie si sono immediatamente attivate e, pur sapendo che Feliz non ce l’avrebbe mai fatta a reggersi su un cavallo, hanno trovato un buon compromesso. Glie ne hanno portato uno fino alla casa di riposo e così Feliz ha potuto accarezzarlo.

L’incontro, come è facile immaginare, ha fatto scorrere più di qualche lacrima tra le assistenti che accompagnavano l’anziana signora in sedia a rotelle e anche la rachwoman che ha portato Cody (questo il nome del cavallo) non è rimasta certo indifferente.

Il personale della casa di riposo ha notato subito che mentre accarezzava il muso compiacente di Cody, Feliz sembrava recuperare quella tranquillità che le mancava da tanto tempo. E anche Cody sembrava conscio del valore di quello che stava offrendo: fermo e docile vicino a quella strana signora con le ruote al posto delle gambe…

Era il luglio dell’anno scorso e dalla Finlandia arriva la notizia del primo campionato di equitazione vegana. Secondo molti l’equitazione non è uno sport etico in quanto si fonda sull’impiego di animali che, né in un verso né nell’altro sono nella condizione di dare il proprio consenso. L’equitazione vegana consta nell’eseguire un percorso di salto, in perfetta tenuta equestre, a cavalcioni di un bastone che a una estremità termina con una testa di cavallo fatta di panno. Contrariamente a quanto possono pensare gli amanti dell’equitazione ‘tradizionale’, questa pratica sta avendo un discreto successo (soprattutto nel nord Europa) e ora si tengono competizioni di equitazione vegana anche di dressage. Il cavallo ‘vegano’ ha indubbi vantaggi: non sporca, non costa, non mangia e può essere riposto anche dietro una porta. Però…

Però… Chi glie lo spiega alla signora Feliz?

Non è un discorso banale o da banalizzare con il solito clima da derby che si crea in queste occasioni. Il tema etico del rapporto con gli animali è delicatissimo e il fatto che molto spesso si accendano i riflettori su casi davvero raccapriccianti è un indice preciso che forse chi si oppone non ha proprio tutti i torti.

Tuttavia per una volta, si potrebbe approcciare il discorso in una maniera più propositiva. E dare valore a qualcosa che ce l’ha davvero. Anche oltre il risultato sportivo. Ovvero ciò che i cavalli, semplicemente con la loro presenza – e in questo caso sono loro che scelgono se lasciarci avvicinare -, sono in grado di offrirci. Empatia, rispetto, ruoli, socialità, interazione, comprensione dell’altro, socializzazione, consolazione, gioia, cura, percezione.

Sicuramente, per tutte queste cose, il cavallo vegano non basta. Qui ci vuole Cody…