Cavalli, maiali e affini: loro ci capiscono…ma noi capiamo loro?

I soggetti esaminati erano cavalli domestici e di Przewalski, maiali e cinghiali: questi ultimi gli unici a non farsi impressionare dagli urlacci

Una delle immagini esplicative dello studio sulla capacità di interpretare le vocalizzazioni tra specie di cavalli, Przewalski, maiali e cinghiali
Copenaghen, 25 maggio 2022 – La ricerca è stata svolta all’Università di Copenaghen, prima firma quella della dottoressa Anne-Laure Maigrot, e pubblicata sul sito BMC Biology.

Oggetto dello studio: la discriminazione (nel senso di capacità di distinguere)  della valenza emotiva dell’espressione vocale di altre specie  da parte di equidi e suidi.

I soggetti esaminati erano cavalli domestici e di Przewalski, maiali e cinghiali.

Nello specifico, è stato osservato se le quattro specie appartenenti a due famiglie di ungulati, Equidae (cavalli domestici e di Przewalski) e Suidae (maiali e cinghiali), possono discriminare tra vocalizzazioni di valenza emotiva opposta.

Prodotte non solo da conspecifici, ma anche eterospecifici e umani strettamente correlati.

A questo scopo, è stato riprodotto su individui di queste quattro specie, che erano tutti abituati all’uomo, le vocalizzazioni di un insieme unico di registrazioni per le quali era nota la valenza associata alla produzione vocale.

Si è così scoperto che i cavalli domestici e di Przewalski così come i maiali, ma non i cinghiali, hanno reagito più fortemente quando la prima vocalizzazione riprodotta è stata negativa rispetto a positiva, indipendentemente dalla specie trasmessa.
Conclusioni?

I cavalli domestici, i cavalli e i maiali di Przewalski sembrano quindi discriminare tra vocalizzazioni positive e negative prodotte non solo dai conspecifici, ma anche dagli eterospecifici, compreso l’uomo.

Inoltre, i ricercatori hanno riscontrato un’assenza di differenza tra la forza di reazione delle quattro specie ai richiami di conspecifici e eterospecifici strettamente correlati.

Il che potrebbe essere collegato a somiglianze nella struttura generale della loro vocalizzazione.

Nel complesso, i risultati suggeriscono che la filogenesi e l’addomesticamento abbiano svolto un ruolo nella discriminazione/percezione delle emozioni tra specie diverse.

Detta in soldoni: cavalli e maiali sanno distinguere tra suoni negativi e positivi provenienti dalle specie simili a loro, dai loro parenti stretti, ma anche dagli uomini.

I cinghiali invece non si sono lasciati impressionare: ci vuole altro che un urlaccio, evidentemente, per riuscire a scalfire il loro aplomb.

Elodie Briefer, del gruppo di ricerca, ha precisato che “Questi animali reagiscono maggiormente – generalmente più velocemente – quando incontrano una voce carica negativamente, rispetto ad una con carica positiva. In alcune situazioni, sembrano persino rispecchiare l’emozione a cui sono esposti”.

Il prossimo obiettivo dei ricercatori sarà quello di esaminare quanto noi umani siamo in grado di comprendere correttamente i suoni delle emozioni degli animali.

Ci dimostreremo più maiali o più cinghiali?

Vedremo: noi restiamo in attesa dei risultati, ma scommetteremmo un soldino che  cavalli e maiali sono più bravi di noi.