La World Horse Welfare Conference 2025, tenutasi il 21 novembre e improntata sul tema “Through the horse’s eyes”, ha riunito esperti da tutto il mondo (dai cavalieri olimpici ai veterinari, dai ricercatori ai professionisti degli zoo) per esplorare una domanda cruciale: come vivono davvero i cavalli le condizioni che noi esseri umani costruiamo per loro?
La conferenza, presieduta dall’on. Caroline Nokes MP, ha offerto una prospettiva multidisciplinare su ciò che oggi sappiamo riguardo alla cognizione equina, alle loro priorità comportamentali e alle implicazioni pratiche per il loro benessere quotidiano. Come ha sottolineato il direttore generale di World Horse Welfare, Roly Owers, negli ultimi anni le evidenze scientifiche hanno messo in discussione molte idee tradizionali su cosa significhi davvero “una buona vita” per un cavallo. In questo contesto si inserisce l’intervento di Rick Hester, direttore del reparto Animal Care and Wellbeing del Cheyenne Mountain Zoo in Colorado, il cui contributo (presentato durante la conferenza) ha dimostrato come i principi dell’etologia applicata negli zoo possano offrire strumenti preziosi anche all’equitazione moderna.
Dalla zootecnia agli equini: cosa ci insegna la storia del castoro che “grattava il vetro”
Hester ha raccontato un caso emblematico: un castoro nordamericano che trascorreva tra le due alle quattro ore a notte a grattare ossessivamente il vetro del suo recinto. Un comportamento ripetitivo e stereotipato, tipico di animali che vivono in ambienti privi di varietà, stimoli e possibilità di scelta. La svolta è arrivata cambiando l’ambiente, non l’animale. Partendo dai principi dell’operant behaviour (secondo cui l’animale agisce sul mondo e ne riceve conseguenze che modellano le sue scelte future) il team ha ricreato le condizioni ambientali che, in natura, motivano un castoro: suoni di acqua corrente (anche solo una registrazione), vegetazione abbondante, rami, fango e substrati manipolabili. Il risultato? Il castoro ha smesso di grattare il vetro la stessa notte in cui è stato modificato l’ambiente e, nell’arco di una settimana, aveva affinato le proprie abilità di costruzione della diga. A distanza di un anno, il comportamento stereotipato non era più ricomparso. Per Hester, il messaggio è chiaro: “Il problema non è nell’animale, è nel suo ambiente.”
Il principio delle “free operant freedoms”: la libertà che genera benessere
La ricerca utilizzata da Hester si basa sui criteri delle free operant freedoms (1996), linee guida per progettare ambienti che rispondano alle iniziative dell’animale. Tra queste, spicca la più importante: la libertà di iniziare, interrompere, riprendere o modificare un comportamento. In natura gli animali sono liberi di scegliere, sperimentare, ripetere, cambiare ritmo, fallire e riprovare. Gli ambienti in cattività (compresi molti contesti equestri) spesso non permettono tutto questo.
E i cavalli? Per Hester il principio vale allo stesso modo
Alla domanda su come questo approccio possa essere tradotto nel mondo del cavallo, Hester risponde con convinzione: “Il comportamento è un principio unificante sul pianeta. Ha una rilevanza cross-species molto entusiasmante.”
Per applicarlo ai cavalli, suggerisce di partire dalla domanda più semplice e più spesso trascurata: cosa fanno i cavalli quando sono liberi di scegliere? Osservazioni su cavalli in ambienti naturali o semi-naturali mostrano comportamenti ricorrenti: frequentazione di punti d’acqua e pozze per rotolarsi, interazioni sociali, movimenti liberi in gruppi, esplorazione di spazi variabili. Hester invita quindi a “importare” questi elementi nei contesti domestici e sportivi, osservare come i cavalli li utilizzano e rivedere l’ambiente sulla base delle loro reazioni, proprio come è stato fatto con il castoro.
Una conferenza che apre nuove strade nel benessere equino
Il panel di interventi della conferenza, che includeva personalità come Pippa Funnell MBE, la ricercatrice danese Janne Winther Christensen, l’esperto di welfare e data science Dr. Syed Saad Bukhari e rappresentanti del mondo giornalistico, veterinario e istituzionale, ha ribadito come il futuro dell’equitazione passi attraverso una comprensione più profonda del cavallo come individuo. L’obiettivo non è “umanizzare” il cavallo, bensì riconoscere la sua prospettiva, le sue capacità e i suoi limiti, costruendo ambienti e routine che gli permettano di esprimere un repertorio comportamentale ricco, vario e significativo. In altre parole: guardare il mondo attraverso gli occhi del cavallo.
Perché questo approccio interessa tutti: proprietari, tecnici e appassionati
L’unione tra scienze comportamentali applicate negli zoo e tecniche di gestione equina rappresenta una nuova frontiera del benessere. Significa: ridurre stereotipie il ballo dell’orso, o il tic d’appoggio; migliorare la gestione in scuderia e nei paddock; creare spazi che stimolino il cavallo senza stressarlo; ripensare ai sistemi di addestramento in ottica di motivazione e scelta. E soprattutto, significa considerare il cavallo come protagonista attivo del proprio ambiente, non come semplice destinatario passivo delle nostre decisioni.
Fonte principale: https://www.horseandhound.co.uk/news/beaver-environment-change-could-help-horses-911028

























