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Home | Notizie | Salto ostacoli: un primo bilancio azzurro

Salto ostacoli: un primo bilancio azzurro

Il Campionato d’Europa giovanile, la permanenza in Prima Divisione di Coppa delle Nazioni, i successi individuali ma anche alcune pesanti sconfitte: come leggere questi primi sette mesi di sport?

19 Giugno 2019
di Redazione Cavallo Magazine

Bologna, agosto 2016 – Siamo solo all’inizio di agosto e quindi tante altre sfide sportive ci aspettano da qui alla fine dell’anno, tra le quali su tutte svetta l’Olimpiade, ma un primo bilancio della stagione azzurra del salto ostacoli lo si può già tracciare poiché durante lo scorso fine settimana sono state archiviate due pratiche fondamentali. La prima è quella che riguarda l’attività della prima squadra: è vero che manca ancora la finale del circuito Furusiyya di Coppa delle Nazioni di Barcellona in calendario a settembre, ma la Prima Divisione europea si è chiusa e ha già espresso i suoi verdetti: questo è ciò che più conta. La seconda è quella che riguarda l’attività delle squadre giovanili: domenica a Millstreet è terminato il Campionato d’Europa per le classi children, juniores e young riders; ovviamente ciò non vuol dire che d’ora in poi i giovani azzurri si potranno considerare in… vacanza, però è chiaro che per tutti loro l’obiettivo europeo era quello più significativo della stagione.

I RAGAZZI

Partiamo proprio dai giovani. Il responso del Campionato d’Europa di Millstreet è stato positivo, sia in termini di risultati sia in termini di prestazioni. Un esito che però non ci deve stupire più di tanto: l’Italia molto spesso è riuscita ad avere children e juniores (e aggiungeremmo anche i pony) sul podio tra squadra e individuali, mentre più di rado gli young rider. A dimostrazione del fatto che fino a un certo livello noi ce la giochiamo da sempre ad armi pari con le più forti nazioni europee, mentre cominciamo a dare segni di ritardo quando le cose diventano più difficili in particolare per la qualità della concorrenza in termini soprattutto di livello dei cavalli. E’ chiaro: per affrontare le gare children e quelle juniores ci vogliono ovviamente buoni soggetti, ma montando bene (come i nostri ragazzi di frequente sanno fare) spesso le differenze date dalla qualità dei cavalli si annullano – non sempre però, purtroppo – e il merito emerge a prescindere; per gli young rider invece è tutt’altra storia: lì montare bene è fondamentale ma non basta, ci vuole anche un cavallo di qualità superiore per puntare al podio, diversamente si rimane nelle retrovie poiché la concorrenza è spesso armata fino ai denti mettendo sovente in campo binomi che vincono anche negli internazionali a cinque stelle per non dire in Coppa delle Nazioni. E’ proprio una musica diversa, molto più simile a quella del livello seniores che non juniores: e noi facciamo storicamente fatica a tenerne il ritmo. Tuttavia ai fini della valutazione di ciò che accade in occasione delle gare giovanili continentali il risultato ha sì importanza, ma non tale da essere determinante: proprio perché parliamo di ragazzi, e non di cavalieri già formati e finiti, gli aspetti più significativi stanno nell’esperienza vissuta, nell’impatto con una situazione così eccitante e allo stesso tempo responsabilizzante come quella prodotta da una competizione del calibro di un Campionato d’Europa. Dentro la testa e nell’animo dei bambini children e dei ragazzi juniores – e in parte anche dei ‘giovanotti’ young riders – accadono cose che noi adulti facciamo fatica a definire compiutamente, a meno che non si siano vissute in prima persona a suo tempo (e sempre ammesso che il ricordo sia ancora lucido e presente… !): sono cose forti che verranno ricordate e utilizzate e valorizzate per il resto della vita di amazzoni e cavalieri – sono semi destinati a dare frutti – e da sole bastano a esaltare la dimensione di un’esperienza del genere. Proprio per questo sarebbe bene che noi adulti evitassimo di fomentare entusiasmi sproporzionati utilizzando davanti ai ragazzi parole e metafore e scenari che possono risultare più deleteri che utili nel processo formativo di un atleta, il quale – a quell’età – deve pensare di tutto tranne che di essere già arrivato a un traguardo definitivo, sia sotto il profilo oggettivo che – soprattutto – soggettivo. In tale ottica il risultato agonistico in sé stesso è per l’appunto importante ma non determinante: determinante per la formazione dell’atleta/cavaliere è il ‘modo’ in cui quell’esperienza viene vissuta e in seguito interiorizzata. E anche il modo in cui quell’esperienza viene proposta ai ragazzi dal mondo degli adulti: quindi dei genitori, dei tecnici, dei dirigenti, degli addetti ai lavori. Perché tutto ciò rappresenterà un chiaro indirizzo per lo sviluppo della carriera della futura amazzone o del futuro cavaliere.

LA PRIMA SQUADRA

Dovremmo fare uno sforzo di memoria per ricordarci tutto quello che abbiamo pensato, detto, dichiarato e scritto le volte in cui l’Italia ha fallito la permanenza nella Serie A di Coppa delle Nazioni (Super League, Top League, Prima Divisione che dir si voglia), o mancato la promozione dalla B alla A, per dare il giusto peso alla… salvezza guadagnata quest’anno. Una salvezza raggiunta vivendo momenti di grande intensità, nel bene e nel male. Una salvezza raggiunta lasciando il dispiacere della retrocessione a squadre di formidabile valore come Gran Bretagna e Belgio (Belgio vincitore del circuito mondiale di Coppa delle Nazioni nel 2015, non dimentichiamolo), oltre alla Repubblica Ceca. Il regolamento attuale del circuito di Coppa delle Nazioni stabilisce che ciascuna squadra abbia a disposizione solo quattro delle otto gare previste dal calendario per guadagnare punti, a propria scelta ovviamente (sembra che per il 2017 le cose siano destinate a cambiare: si dovrebbe andare a punti in tutte le gare indistintamente; e con otto squadre, non più dieci, infatti quest’anno sono retrocesse in tre ma solo una verrà promossa): la Fise aveva indicato gli Csio di Lummen, Roma, Dublino e Hickstead. La Coppa di Lummen (che ci aveva visto vincitori nel 2015) è stata annullata per impraticabilità del campo dopo una forte pioggia: quindi i punti relativi sarebbero stati determinati dalla media dei punteggi acquisiti nelle tre successive gare. A Roma abbiamo fatto un’ottima prima manche e un tracollo nella seconda (ultimi in classifica, ma comunque guadagnando punti); a Dublino abbiamo vissuto una delle pagine più belle della storia recente del nostro salto ostacoli con una vittoria favolosa e punteggio massimo; a Hickstead, sette giorni dopo Dublino, i nostri cavalli hanno pagato lo scotto di due trasferte così pesanti e così ravvicinate: prima manche eccellente, seconda da dimenticare, e ancora un ultimo posto (e una manciata di punti). Come considerare tutto questo? Bisogna analizzare le cose nei dettagli. Prima di tutto – e questo vale ovviamente per chiunque – quando si fa una ottima prima manche e una pessima seconda vuol dire che da un punto di vista tecnico si è perfettamente all’altezza della prova, e che il problema risiede altrove (condizione fisica dei cavalli e condizione psicologica dei cavalieri soprattutto). In secondo luogo la vicinanza delle gare di Dublino e Hickstead ha dimostrato – se mai ve ne fosse stato bisogno – quanto importante sarebbe poter contare su un parco cavalli di primo livello un po’ più consistente del nostro attuale. Nella situazione di necessità noi siamo stati costretti a chiedere forse troppo ai nostri pur eccellenti soggetti, e il risultato si è visto; del resto nessuna delle squadre di alto livello, potendo scegliere, obbliga i propri migliori cavalli a due Coppe delle Nazioni una dietro l’altra. Il fatto però che due Csio di Prima Divisione siano consecutivi nel calendario internazionale è una evidente stortura generata dal sovraffollamento degli impegni agonistici. Ed è accaduto spesso quest’anno: tra Roma e San Gallo, e poi la sfilza Falsterbo, Aquisgrana (che non è nel circuito Furusiyya ma che è pur sempre la più importante Coppa delle Nazioni del mondo), Dubino e Hickstead, tutti in rapida sequenza. E’ giusto vedere questa scia senza soluzione di continuità? Diremmo di no, ovviamente. Quindi si ripropone un tema (con il quale tuttavia stiamo andando fuori… tema in questa sede) ormai vecchio di qualche anno: a nostro avviso la Fei dovrebbe risolversi a un atto di imperio con il quale disporre nel calendario i concorsi nell’arco dell’anno secondo un criterio diciamo organico e piramidale: dando la priorità all’armonia tra gli Csio di Prima Divisione, i cinque stelle del Global Champions Tour e gli Csi di Coppa del Mondo; poi tutti gli altri Csi da cinque a due stelle vadano in calendario dove meglio credono. Oggi si parla tanto del benessere dei cavalli: una prima forma di reale rispetto sarebbe quella di non indurre il loro sovrautilizzo, anche se è pur vero che tale criterio dovrebbe essere controllato e gestito prima di tutto dai singoli cavalieri, cosa che di fatto accade; però meglio sarebbe non indurre in tentazione… (poi da qui nasce il discorso sul doping, sul numero di gare ideale per ciascun cavallo etc etc… si potrebbe parlare di ciò per giorni: c’è chi aveva anche proposto di stabilire un numero massimo di percorsi a trimestre per ciascun cavallo).

Tornando a noi. Importante è stata non solo l’attività della squadra impegnata nella Prima Divisione, ma anche quella dei cavalieri nelle Coppe di seconda fascia, le quali hanno dimostrato tutto il loro significato come momento di preparazione e allenamento. L’esempio tipico è quella di Sopot, dove il risultato negativo della nostra rappresentativa ha forse fatto perdere di vista ai più il significato delle prove offerte dai cavalli – entrambi esordienti in Coppa – di Bruno Chimirri e di Lorenzo De Luca: il primo, Tower Mouche, si è poi rivelato fondamentale per la vittoria di Dublino dimostrando quanta importanza abbia avuto la sua presenza e il suo risultato in Polonia, mentre il secondo, già più rodato su gare internazionali, non ha fatto altro che confermare il suo valore. In ogni caso il ritorno di un cavaliere del calibro di Bruno Chimirri in una grande Coppa delle Nazioni ha un altrettanto grande significato: così come quello di Gianni Govoni a Hickstead con un Antonio che certo cavallo facile non è. Ma sia Bruno sia Gianni rappresentano dei valori agonistici e di esperienza e di forza e di coraggio inestimabili e imprescindibili. Tra le Coppe di seconda fascia per noi molto importanti quest’anno bisogna poi inserire quelle di Budapest e di Samorin dove sia i cavalieri giovani sia quelli meno giovani ma bisognosi di preparazione con i loro cavalli si sono fatti valere alla grande conquistando due ottimi risultati. Insomma, il lavoro di costruzione di una squadra forte è laborioso e lungo: bisogna affrontarlo però con la certezza delle proprie idee, senza la fretta di dover dimostrare tutto e subito, consapevoli del fatto che le cadute ci saranno ma che potranno paradossalmente rivelarsi molto utili per la crescita dell’insieme generale, consapevoli anche del fatto che i cavalli hanno i loro tempi di maturazione e di crescita e di consolidamento del proprio valore. Se a tutto questo aggiungiamo anche i favolosi risultati individuali che alcuni tra i nostri più forti cavalieri hanno conquistato tra la fine del 2015 e questi primi mesi del 2016, e se aggiungiamo anche il fatto che alcuni altrettanto forti cavalieri azzurri in questo momento sono privi del confermato soggetto di alto livello (una su tutti: la meravigliosa Giulia Martinengo Marquet), ecco che il quadro complessivo si dimostra decisamente interessante. Per tutta questa serie di ragioni riteniamo si possa considerare sicuramente positivo il bilancio sportivo di questi primi sette mesi di salto ostacoli. Al quale potrebbe aggiungersi una voce molto importante nelle prossime settimane: perché adesso la parola passa a Emanuele Gaudiano che porta con sé in Brasile il tifo e il sostegno e il calore e l’affetto di tutta l’Italia, oltre alla sua bravura di cavaliere e di agonista. Non ci sbilanciamo eccessivamente per pura scaramanzia: ma non sarebbe per nulla azzardato fare pensieri di…

3 agosto 2016

Tags: notizie
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