I vestiti del Re: selle, finimenti e bardature – prima parte

Prima fu un laccio, poi arrivarono le redini: sempre un filo sottile su cui corre l’equilibrio tra la nostra necessità di contenere e quella di trasmettere indicazioni

Anfora di Psyax (VI sec. a.C.), notare la leggerezza di finimenti e no nsolo / ph. Regione Siciliana
Bologna, 29 settembre 2021 – Il cavallo è nato libero.

Libero e nudo: è stato l’uomo che, per usare la sua forza a proprio vantaggio, ha avuto bisogno di mettergli addosso qualcosa.

La prima volta solo un laccio intorno al collo, probabilmente: nell’immaginario collettivo si immagina questo momento come uno scontro di volontà, tra nuvole di polvere e zoccoli scalpitanti.

Ma forse la cosa un può essere andata un po’ diversamente.

Gli uomini che abitavano le steppe del Kazakistan 5.500 anni fa e che sembra siano stati i primi ad addomesticare i cavalli erano cacciatori.

Quindi attenti osservatori.

Sapevano come si comportavano gli animali, e muoversi nel modo giusto per avvicinarne uno. Farsi accettare, avvicinarlo. Accarezzarlo, magari: uno con la voglia di scappare ma incuriosito e l’altro che smorzava ogni movimento per non spaventare. Sarà stato un approccio lungo: ma da lì è cominciata una storia che dura fino a oggi.

E da quel primo laccio le cose non sono cambiate poi tanto: un filo sottile su cui corre l’equilibrio tra la nostra necessità di contenere e quella di trasmettere indicazioni.

Quindi una imboccatura è stato il primo finimento del cavallo: un semplice nodo alla mandibola inferiore prima, un osso con due corde legate alle estremità poi.

E già c’era bisogno di una testiera: procediamo al galoppo, arrivare ai carri da guerra degli Ittiti è un attimo. Il mitanno Kikkuli visse nel 1350 a.C.: dalle testimonianze figurative è chiaro che l’attacco all’epoca era simile a un giogo, ma redini e testiere hanno già la connotazione moderna.

La funzionalità comune ha disegnato in modo simile gli stessi oggetti, anche se nati a distanza di secoli o migliaia di chilometri uno dall’altro.

Così la testiera del cavaliere greco del VI secolo a,C. raffigurata su una stele funeraria del Museo Barracco di Roma è identica a una normalissima testiera dei nostri giorni.

Le code delle redini sono aperte come quelle della monta da lavoro, il cavaliere monta a pelo: l’assetto è naturale, sciolto, le ginocchia alte per giocare di forza ed equilibrio e mantenersi in groppa al cavallo.

Che la sella ci ha messo un po’ ad arrivare: sulle prime una semplice coperta buttata sulla schiena del cavallo per proteggersi dal sudore sarà bastata, ma presto ci fu bisogno di altro.

Perché la facoltà che dà il cavallo di spostarsi in modo più veloce per distanze molto maggiori di un uomo a piedi, esigeva lo studio di accessori speciali.

Ippocrate attribuiva alla mancanza di una sella i frequenti problemi che gli sciiti, grandissimi cavalieri, pativano alle anche e agli arti inferiori.

Un altro famoso medico dell’antichità, Galeno, fece la stessa diagnosi ai romani.

Che attorno al III secolo d.C. inventarono lo scordiscum, una struttura di legno a quattro corni che limitava un po’ la caducità del cavaliere. Ma mancava ancora qualcosa: le staffe.

Sembra incredibile che quelle menti logicamente sopraffine dei romani non ci fossero arrivate da sole, eppure si dovettero aspettare le invasioni degli Avari, attorno all’VIII secolo, per portare in Europa quella fondamentale invenzione nata in India 600 anni prima.

(Continua…)