Nelle brughiere battute dal vento del Galles, dove il mare s’infrange contro scogliere antiche e la nebbia pare custodire segreti più vecchi dei villaggi che ricopre, esiste una tradizione che, ogni inverno, restituisce voce a un cavallo che non c’è più. Una storia vera, documentata eppure intrisa di quel mistero che appartiene alle credenze celtiche e alle ombre lunghe della stagione di Samhain, la radice più antica di Halloween. Si chiama Mari Lwyd, la “Giumenta Grigia”. Non è una creatura di carne, ma un teschio di cavallo montato su un bastone, adornato di nastri, stoffe candide e campanelli, portato in processione da uomini che attraversano i villaggi cantando e bussando alle porte nella notte più scura dell’anno. La prima testimonianza scritta risale al 1798, ma molti studiosi concordano: questa tradizione è probabilmente molto più antica, un frammento sopravvissuto dell’antica spiritualità celtica, quando si credeva che in inverno il confine tra i mondi si assottigliasse e gli spiriti potessero camminare tra i vivi. Il cavallo, per quei popoli, non era soltanto un compagno di lavoro o guerra, ma un messaggero tra i regni, un animale capace di guidare le anime, ponte tra ciò che è e ciò che è stato. Così, quando un cavallo bussava alla porta nelle notti più buie, non era soltanto superstizione: era un invito a rispondere, a partecipare a un rito collettivo di passaggio e protezione. Quando Mari Lwyd arriva davanti a una casa, i suoi accompagnatori intonano versi rituali, sfidando chi è dentro a rispondere con altre rime. Un’antica gara poetica, il pwnco, che decide se la “giumenta fantasma” rimarrà fuori o verrà accolta all’interno per portare benedizioni e ricevere cibo e bevande. Nel movimento della mandibola ossuta, nei nastri che danzano nel vento e nei campanelli che vibrano nell’aria fredda dell’inverno, il cavallo torna in vita per una notte. Quello che potrebbe sembrare un costume macabro è invece un gesto di memoria profonda: nelle campagne gallesi, il cavallo era più che un animale da lavoro. Era una forza vitale, compagno nelle miniere e nei campi, presenza costante in una terra che ha imparato a sopravvivere grazie a umiltà, resistenza e rispetto per la natura. Usare un vero teschio – spesso proveniente da cavalli allevati negli stessi villaggi – significa onorare il legame, permettere alla sua presenza di tornare nelle case come guardiano benevolo. Mari Lwyd non porta paura, ma fortuna. Non chiede urla, ma risposte in poesia. Non invade per spaventare, ma per benedire. Nonostante nel corso del XX secolo la tradizione avesse rischiato di perdersi con il declino delle comunità rurali, negli ultimi decenni è rifiorita grazie a gruppi culturali e comunità locali che ne custodiscono il valore simbolico. Non è una festa costruita per i turisti, né una rievocazione artificiale: è una tradizione viva, che appartiene ancora alla terra, alla bruma, alla voce del mare. Quando il teschio di cavallo appare tra le strade buie e i suoni delle rime si alzano nell’aria, sembra che l’inverno si apra per un istante e lasci passare qualcosa di antico, un richiamo alla memoria di un animale che ha vissuto e lavorato accanto all’uomo per secoli. Non è un fantasma spaventoso, ma un’ombra gentile che cammina nella notte per ricordare che nessun legame autentico si dissolve davvero. E in un tempo in cui Halloween è diventato rumore, maschere di plastica e luci artificiali, nelle campagne gallesi un teschio di cavallo continua a bussare alle porte. E ogni colpo è un invito silenzioso a non dimenticare che, tra uomini e cavalli, esiste una storia che neppure l’inverno riesce a fermare.
Halloween nel Galles: la Mari Lwyd, un’antica tradizione che unisce folklore, poesia e devozione per il cavallo.
























