Nel cuore delle Highlands scozzesi, dove i laghi si stendono come specchi scuri e il vento sussurra storie antiche, vive ancora una leggenda che parla di cavalli — ma non di quelli che conosciamo.
È la leggenda del Kelpie, lo spirito delle acque che, da secoli, abita i loch e i fiumi del Nord.
Il Kelpie è una creatura del folklore scozzese, descritta come un cavallo nero e lucente, capace di emergere dalle acque e trasformarsi in essere umano. È una figura ambigua, metà spirito e metà bestia, che incarna la potenza e il pericolo dei fiumi in piena. Nella tradizione orale, la sua criniera è sempre bagnata, il manto lucido come vetro, e i suoi occhi ardono di una luce innaturale.
Chiunque lo incontri viene attratto dalla sua bellezza: un cavallo selvaggio, solo, che si lascia avvicinare. Ma chi osa salirgli in groppa resta intrappolato: la pelle del Kelpie diventa vischiosa come alghe e l’animale si getta nel lago, trascinando la vittima con sé, verso il fondo.
Questa leggenda — diffusa soprattutto lungo le sponde del Loch Ness, del Loch Garve e del fiume Spey — nasce probabilmente come avvertimento. Nelle campagne scozzesi dell’Ottocento, i genitori raccontavano ai bambini del cavallo delle acque per metterli in guardia dai pericoli dei fiumi e delle correnti.
Ma, come spesso accade nel folklore, il Kelpie è più di una semplice “paura”: è un simbolo.
Nelle cronache raccolte da Walter Gregor e da altri studiosi di folklore, il Kelpie rappresenta la forza indomabile della natura — il fascino e al tempo stesso la minaccia dell’acqua, che può dare vita o toglierla.
In alcune versioni, il Kelpie può essere domato. Si dice che chi riuscisse a mettergli una briglia d’argento o a tagliare la criniera potesse costringerlo a servire come cavallo da lavoro. Ma era un potere rischioso: bastava un attimo di distrazione, e lo spirito si liberava, vendicandosi con furia.
Racconti raccolti nel XIX secolo in Aberdeenshire narrano che il Kelpie, una volta catturato, poteva trasformarsi in un bellissimo stallone da tiro, capace di trascinare carichi enormi — finché non sentiva il richiamo dell’acqua e spariva di nuovo nel fiume.
Il mito ha varianti in tutta la Scozia. Nelle isole Orcadi e Shetland, creature simili vengono chiamate nuggle o shoepiltie; in Irlanda, la stessa figura prende il nome di each-uisge, “cavallo d’acqua”. Tutte condividono lo stesso tratto: la duplice natura del cavallo, simbolo di forza e libertà, ma anche di pericolo e mistero.
È interessante notare come il Kelpie si sia mantenuto vivo anche nella cultura moderna: dal monumento dei Kelpies di Falkirk, due enormi teste equine in acciaio alte 30 metri che svettano nel paesaggio scozzese, fino alle opere letterarie e cinematografiche che lo hanno reinterpretato come guardiano o spirito guida.
Ma la leggenda non è solo estetica o mito turistico. Gli antropologi sottolineano come il Kelpie rappresenti un’antica forma di rispetto verso la natura. In un paese di fiumi impetuosi e laghi profondi, il cavallo d’acqua era il modo con cui le comunità rurali davano un volto alla forza del paesaggio.
Temere il Kelpie significava riconoscere che l’acqua era viva, che aveva volontà e carattere.
Nell’immaginario equestre, questa leggenda offre uno spunto affascinante: in molte storie il Kelpie non è soltanto mostro o predatore, ma anche creatura di straordinaria bellezza, simbolo della libertà selvaggia che ogni cavallo porta dentro di sé. È la personificazione dello spirito indomito che sfugge al controllo umano.
E forse è per questo che, ancora oggi, davanti ai loch scozzesi, qualcuno giura di aver visto — tra la nebbia e il riflesso dell’acqua — una criniera che si muove silenziosa, una forma che svanisce all’improvviso.
Il Kelpie continua a vivere lì, dove il cavallo incontra il mito: tra terra e acqua, tra paura e meraviglia.
E in quel confine, dove tutto può trasformarsi, ci ricorda quanto sottile sia la linea che separa la forza dalla libertà, l’istinto dal mistero.
Photo Credits: https://warsandhistory.com/























