Sulle praterie sconfinate dello Xinjiang, dove il vento odora di erba fresca, sorge Zhaosu, la contea che in Cina chiamano la “città dei cavalli celesti”. È un luogo che sembra sospeso nel tempo, incastonato tra montagne e cieli immensi, dove l’antica connessione tra l’uomo e il cavallo non è mai venuta meno. Qui, l’animale che da millenni accompagna le popolazioni nomadi non è solo compagno di viaggio o strumento di lavoro: è il simbolo di libertà, di fierezza e di un’identità che continua a galoppare nei secoli. Già al tempo della dinastia Han, le cronache parlavano di cavalli “tianma”, i mitici cavalli celesti provenienti dalle steppe occidentali, forti, eleganti, quasi divini. Si dice che corressero più veloci del vento e che il loro respiro producesse vapore, come se fossero fatti di nubi e tempesta. Quei cavalli, secondo gli storici, provenivano proprio dalle vallate fertili che oggi corrispondono alla regione di Zhaosu. La leggenda, fusa alla storia, ha dato origine a un culto che ancora oggi permea la vita di chi abita queste terre.
Nel Novecento, con la nascita degli allevamenti statali, Zhaosu è diventata un polo equestre strategico per l’intera Cina. Negli anni Sessanta il governo istituì un grande allevamento militare, fornendo cavalli alle truppe della cavalleria popolare. Da allora, la contea ha continuato a crescere: oggi conta più di centomila cavalli, un numero impressionante che ne fa uno dei centri equini più importanti del Paese. Non è un caso che ogni estate, sulle praterie di Karkant, si svolga la spettacolare corsa dei diecimila cavalli, un fiume vivo che attraversa il verde, un’onda di crini e zoccoli che sembra voler risvegliare gli spiriti antichi. È un evento che non ha solo valore folkloristico, ma celebra una cultura profonda, dove il cavallo è ancora simbolo di prosperità e coraggio.
Quando si parla di “cavalli celesti”, è inevitabile pensare anche a una delle razze più antiche e nobili del mondo: l’Akhal-Teke, il cosiddetto “cavallo d’oro” del Turkmenistan. È il discendente diretto dei cavalli che popolarono le steppe dell’Asia centrale e che, secondo la leggenda, conquistarono l’ammirazione degli imperatori cinesi. Il suo mantello, lucente come metallo fuso, ne fa una creatura quasi mitologica. Sottile, agile, resistente, l’Akhal-Teke è il risultato di una selezione millenaria: nato per sopravvivere ai deserti e alle lunghe traversate, ha mantenuto una grazia che tutt’oggi incanta. I turkmeni lo considerano un dono degli dei; in Cina, il suo sangue raro è diventato oggetto di studio e ammirazione, tanto che gli attuali discendenti dei cavalli celesti, sono proprio loro. E come poteva essere diversamente?
Ma la storia di Zhaosu non è solo quella di un animale leggendario. È anche fatta di uomini e donne che hanno scelto di vivere al passo dei cavalli, dedicando la vita all’arte dell’addestramento. Tra loro c’è Shirzat Nulum, un trentenne dal sorriso aperto e dallo sguardo che sa di prateria. Nato e cresciuto a Zhaosu, Shirzat ha iniziato da ragazzo a lavorare in un allevamento. Racconta che il primo cavallo che ha pulito lo guardò negli occhi come per dirgli che quella sarebbe stata la sua strada. “Ho trovato nei cavalli la mia passione e il mio amore”, dice. “Da allora non ho mai smesso di inseguire questo sogno.” Oggi lavora per un grande gruppo equestre a Urumqi, dove si occupa di addestrare cavalli Akhal-Teke, ma torna spesso nella sua terra natale per partecipare agli spettacoli e alle competizioni che celebrano la tradizione equestre di Zhaosu.
Durante il festival dei cavalli dello scorso anno, Shirzat è stato protagonista di una scena che ha fatto il giro dei social cinesi: in sella a un Akhal-Teke dal manto dorato, galoppava stringendo tra le braccia la sua bambina di cinque anni, Shakira, che già mostra il talento del padre. “Appena ha imparato a camminare, ha voluto salire in sella,” racconta ridendo. “Credo che il destino dei Nulum sia scritto tra gli zoccoli dei cavalli.” In quel gesto, semplice e potente, si riflette tutto il significato di una cultura che continua a vivere: la trasmissione di un sapere antico, la fierezza di appartenere a una terra che da secoli custodisce la leggenda dei cavalli celesti.
Oggi, mentre il mondo moderno rischia di mercificare ogni cosa, Zhaosu cerca di non perdere la propria anima. Le sue praterie, punteggiate di cavalli al pascolo e di tende bianche, restano un santuario di libertà e di bellezza. Qui ogni nitrito sembra raccontare la stessa storia: quella di un legame indissolubile fra uomo e cavalli, fra terra e cielo. Shirzat lo sa bene: “Quando cavalco,” dice, “non sento più la differenza tra me e il cavallo. Siamo un’unica forza, che corre verso l’orizzonte.” È forse questo il segreto dei cavalli celesti: la capacità di ricordarci che, anche nel mondo più frenetico, esiste ancora un luogo dove l’uomo può volare, semplicemente restando in sella.
























