Ogni personaggio storico che si rispetti ha accanto a sé un grande cavallo. Non esiste storia senza un cavallo. Chi di noi non ricorda il celebre cavallo “bianco” di Napoleone? Ecco, possiamo assicurarvi che Napoleone non è stato l’unico ad avere un cavallo “bianco” e, altra cosa in comune, non è stato l’unico ad essere chiamato il “liberatore dei popoli”, come ci ricorda l’ode di Foscolo: “A Bonaparte liberatore”.
Ebbene, se volgiamo un attimo lo sguardo verso ovest, potremo scorgere un’altra storia, fatta dell’intreccio di Piccola storia personale e Grande Storia di un Paese, quella di Simón Bolívar e del suo Palomo. Questo binomio, al pari di Napoleone e Marengo, ha dato vita a una leggenda che ancora oggi attraversa cronache, libri di storia e racconti popolari dell’America Latina. Non abbiamo ritratti ufficiali né descrizioni minuziose, ma la memoria collettiva ce lo ricorda e descrive meglio di un dipinto. Palomo era anche lui un cavallo grigio e fiero, così chiaro da brillare sotto il caldo sole dei tropici.
Bolívar e Palomo si incontrarono in un modo completamente inaspettato: in un villaggio di campagna dell’America Latina, quando ancora era sotto il dominio della Spagna, una contadina, Casilda, offrì a Bolívar due doni inaspettati: un giovane stallone e un gallo da combattimento. “Prenda, mi general, le servirà più di mille soldati”, disse la donna.
E così, Palomo si ritrovò percorrere migliaia di chilometri insieme a Bolívar per liberare il Venezuela, Colombia, Ecuador, Perù e Bolivia ed inseguire il suo sogno di creare un unico stato confederato nell’America Latina, ossia la “Gran Bolivia”. È facile immaginarli lungo i fiumi dell’Orinoco, con gli zoccoli che affondavano nella fanghiglia dopo i temporali, la criniera bianca, bagnata e mossa dai gelidi venti delle Ande. Palomo saliva i sentieri impervi con resistenza straordinaria, mentre soldati e muli arrancavano. Nelle pianure colombiane, il suo galoppo sollevava nuvole di polvere che precedevano l’arrivo dell’esercito del libertador.
La storia di Palomo fu immediatamente avvolta dal mito, senza di lui la storia non sarebbe stata la stessa, così come si può ritrovare nelle parole di Gabriel García Márquez, nel romanzo Il generale nel suo labirinto, scrisse che “i cavalli furono il respiro della sua campagna, più dei cannoni e dei fucili”. Palomo, con il suo instancabile galoppo e incrollabile coraggio divenne il simbolo della rivolta e della campagna liberatoria dei popoli oppressi.
Nessuno può incarnare meglio la purezza e la resistenza del sogno di libertà e giustizia come Palomo, il popolo aveva bisogno di lui e lui aveva bisogno galoppare sempre di più, in testa all’esercito, insieme al suo generale. Eduardo Galeano, parlando del continente, scrisse che “la storia è un racconto a cavallo”.
Non potremo mai sapere se Palomo fosse veramente un super cavallo, con qualità straordinarie, ma quello che oggi sappiamo è che ancora, anche e nei villaggi più remoti, la resistenza la forza dei popoli oppressi dai conquistadores spagnoli porta il suo nome, evocato sempre con nostalgia come simbolo di un’epoca degli Dei passata.
Una nostalgia questa che si perde nella sconfitta di Bolívar e del suo sogno che non è stato però un fallimento in quanto ha dato origine alla creazione delle Repubbliche indipendenti del Sud America.
Ma come accadde a molti cavalli da guerra, il prezzo pagato fu alto. Palomo morì esausto dopo un’ultima marcia di oltre centocinquanta chilometri, nella hacienda Mulaló, in Colombia. La morte fermò il suo galoppo ma non la sua corsa che ancora riecheggia nelle storie popolari dell’America Latina e per tutti coloro che vanno a pregare sulla tomba di Palomo, segnata con una pietra con scritto: “qui riposa il cavallo preferito del Libertador”, diventata una meta di memoria storica.
In questo intreccio di mito e realtà, Palomo diventa simbolo di ciò che i cavalli hanno rappresentato per l’America: forza, resistenza, libertà. Senza di loro, i movimenti di indipendenza non avrebbero avuto la stessa velocità, le comunicazioni non avrebbero avuto la stessa efficacia, le culture non avrebbero avuto la stessa profondità. I cavalli hanno portato uomini e idee, hanno sostenuto sogni e guerre, hanno incarnato visioni di futuro.
Ogni volta che si racconta l’epopea di Bolívar, ogni volta che si parla di libertà, si avverte come un galoppo lontano, un’eco di zoccoli che battono su sentieri invisibili. Palomo sembra tornare a correre, invisibile e immortale, ricordandoci che la Storia non si esaurisce mai davvero, ma ritorna sempre al suo inizio, chiudendo il cerchio in un movimento eterno di polvere, memoria e sogno.