Uno dei temi più controversi che si perde nella notte dei tempi, riguarda la presenza dei cavalli nel Nord America, un’area prima ancora che un paese, contornata dall’oceano. È antecedente o posteriore all’arrivo dei conquistadores? I cavalli sono nati là e poi arrivati nel continente euroasiatico o viceversa?
Gli studi in merito sono stati tantissimi. Tutti ricchi di apporti scientifici che, con l’aiuto della tecnologia, sono andati via via affinandosi. E così, eccoci arrivati fino alla teoria recentemente esposta dal professor Clément Bataille e dal suo staff all’Università di Ottawa, apparsa su Science e arricchita dall’impiego dell’AI.
Secondo Bataille, l’origine dei cavalli nel Nord America risalirebbe a circa 4 milioni di anni fa, quando in virtù di un diverso livello dei mari, esistevano lingue di terre emerse tra i continenti, che consentivano quindi il passaggio dei cavalli da una parte all’altra. In pratica tra Nord America ed Eurasia. I 57 ricercatori internazionali che hanno partecipato a questo studio – compresi scienziati nativi americani Lakota, Blackfoot, Dene’ e Uñupiaq – avrebbero raccolto prove scientifiche di questo passaggio ‘a doppio senso’ verificatisi in diverse occasioni.
In realtà, si tratta di veri e propri movimenti migratori che sarebbero continuati almeno fino all’Era Glaciale, tra 50mila e 19mila anni fa.
Uno studio di tale complessità scientifica è stato reso possibile combinando l’analisi all’avanguardia del DNA antico e degli isotopi con i sistemi tradizionali di conoscenza scientifica indigena, rivelando come le nuove intuizioni su come il cambiamento climatico abbia influenzato le specie di megaerbivori nel tardo Pleistocene. Cavalli in primis. Volendo uscire dall’ambito accademico per osservare le cose con un pragmatismo più ‘pop’, questo studio porta con sé lezioni importantissime sulla conservazione della biodiversità in tempi di cambiamenti climatici e dell’ecosistema.
I cavalli, veri maestri
I cavalli hanno svolto un ruolo fondamentale nel plasmare la visione del mondo e i sistemi scientifici di molte popolazioni indigene a livello globale. Il loro comportamento, i loro ruoli ecologici e la loro capacità di adattarsi e di spostarsi su grandi distanze hanno offerto profonde lezioni alle comunità indigene che hanno gestito vasti territori nelle Americhe per più di 20.000 anni.
«Il nostro lavoro dimostra che solo in Nord America esisteva una stirpe equina distinta a sud delle calotte glaciali, un’altra in Alaska e nello Yukon, e addirittura una terza al limite occidentale dell’Alaska», spiega la dott.ssa Yvette Running Horse Collin, scienziata Lakota e direttrice del Taku Skan Skan Wasakliyapi: Global Institute for Traditional Science (GIFTS), che ha guidato il lavoro di laboratorio di sequenziamento del genoma per questo studio e ha contribuito a garantire l’applicazione e il rispetto di tutti i protocolli scientifici indigeni.
«I modelli di migrazione naturale mostrano chiaramente che gli odierni confini geografici dei Paesi e le etichette paleontologiche che li accompagnano non definiscono o catturano accuratamente la reale esperienza del cavallo». A dimostrazione di ciò, la terza stirpe di cavalli trovata in Nord America è stata fatta risalire geneticamente all’Eurasia, per la precisione ai Monti Urali.
Questi cavalli sarebbero entrati in Nord America quando il livello del mare si è abbassato e una massa di terra ha collegato la Siberia all’Alaska. Lo studio dimostra che questo ponte terrestre è stato attraversato più volte dai cavalli dall’Eurasia all’America tra 50.000 e 19.000 anni fa.
I risultati sottolineano l’importanza di mantenere corridoi ecologici che supportino il movimento continuo tra gli habitat. Tali percorsi sembrano essenziali per preservare la biodiversità della megafauna e delle forme di vita dipendenti e interconnesse, non solo nell’Artico in rapido riscaldamento, ma a livello globale, dato che il mondo si trova ad affrontare una grave crisi della biodiversità.
Per approfondire (in inglese) https://www.uottawa.ca/en/news-all/following-late-pleistocene-horse-migration-toward-our-sustainable-future