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Home | Cultura equestre | Vet: una professione in divenire

Vet: una professione in divenire

Tra analfabetismo funzionale e modifica dei criteri d'ingresso al ciclo di studi universitari, come evolverà la professione dei veterinari di domani? Un flash anche dagli States

15 Gennaio 2025
di Liana Ayres
Mercato del lavoro: AAA veterinari cercasi

Bologna, 15 gennaio 2025 – Secondo un recente rapporto dell’OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), circa il 35% degli italiani di età compresa tra 16 e 65 anni, indipendentemente dalla professione svolta, rientra nella categoria che porta il nome di ‘analfabeta funzionale’. In pratica sa leggere e scrivere, va o è andato a scuola, ma non comprende né è in grado di elaborare completamente i contenuti complessi di quando legge.

Il fenomeno sembra colpire non solo persone con bassa scolarizzazione, ma anche laureati e professionisti, spesso con anni di studi alle spalle.

Posto che secondo rilevazioni internazionali i laureati italiani mostrano competenze inferiori ai diplomati finlandesi, la percentuale degli analfabeti funzionali nel nostro paese è del 20% tra i diplomati e del 4% tra i laureati.

Si tratta di un dato allarmante, in un’epoca in cui la formazione professionale riguarda tutti, perché significa che almeno il 35% di questi ‘tutti’ – scolarizzati compresi – corre il rischio di prendere sonore cantonate. Il rigore e l’attenzione scolastica – intesa come capacità formativa degli studenti – assume quindi un ruolo ancora più centrale per fare la differenza.

Professione e formazione in scuderia

Sperando che ciò non accada mai, come potrebbe arrivare questo discorso in scuderia? È presto detto… e riguarda una professione di grande riferimento tra quelle che interessano i nostri cavalli: quella del veterinario.

Lungi dal pensare che ciò in passato sia stato garanzia di qualità professionale, salta all’occhio che proprio dall’Anno Accademico 2025-26, per chi decide di iscriversi a veterinaria non ci sarà più il test d’ingresso. Si sarà ammessi al ciclo di studi dopo un semestre ad accesso libero, al termine del quale verrà stabilita una graduatoria nazionale, tenendo in considerazione gli esami fatti.

Nell’ultima sessione del 2024, quella di luglio, al test si erano presentati in 5mila, per 1209 posti disponibili.

Il numero degli iscritti ovviamente riguarda genericamente la professione veterinaria, che spazia dai pesci ai grandi animali. Coloro che hanno come obiettivo prioritario gli equini sono probabilmente un centinaio all’anno…

Tuttavia, nel mettere in equilibrio domanda e offerta, da una parte ci sono veterinari che – tolte rare eccezioni – guadagnano poco e sono sempre meno. E dall’altra, clienti che hanno sempre meno scelta rispetto al parterre dei professionisti ai quali rivolgersi.

In molte parti d’Italia, soprattutto al sud, il veterinario ‘dei cavalli’ è colui che vive soprattutto grazie ai bovini. Il che non è certo disdicevole… Ma non assomiglia neppure lontanamente alla realtà di certe province del nord dove chi si occupa degli equini lo fa in maniera esclusiva. Che in molti casi significa anche con una preparazione e una casistica più specifica.

Se la scelta di ‘aprire’ l’accesso a veterinaria porterà a una migliore qualifica professionale o meno lo vedremo sulla distanza di qualche anno, quando i primi professionisti lasceranno i ‘banchi’ di scuola e arriveranno in scuderia. E visto che la programmazione non è esattamente il pezzo forte dei nostri atenei (come del resto dimostrano anche medicina e infermieristica…) non ci rimane che incrociare le dita, convinti del fatto che alla fine, chi sceglierà una professione difficile e complessa come quella del veterinario, soprattutto dei cavalli, sarà sempre e comunque preparato e mosso da una grande passione personale.

Nel frattempo negli States…

Anche se la scala dei volumi numerici è diversa, negli Stati Uniti la situazione non va molto meglio che da noi. L’American Horse Council, in un report sull’impatto economico del mondo del cavallo ha stimato che negli States ci siano circa 6.7 milioni di cavalli e che il 30% dei proprietari medi abbiano circa 75mila dollari di reddito all’anno. Il Texas è lo stato con il maggior numero di cavalli (quasi 749mila). Poi c’è la California (477.700) e la Florida (344.900). Il Kentucky, la patria del Purosangue americano, ne annovera ‘solo’ 224.600.

Il che lascerebbe presagire a una macchina ben oliata, che gira a pieni giri. Invece…

Secondo quanto dichiarato all’autorevole Quarter Horse Journal da Justin High, veterinario al Reata Equine Hospital di Weatherford, Texas, si stima che entro il 2030 il mercato statunitense avrà bisogno di 5.300 veterinari equini solo per rimanere in pari. Attualmente il numero dei professionisti che lavora negli States è di circa 4.000 veterinari, con un tasso di sostituzione quasi negativo dato che il 30% degli attuali membri dell’AAEP ha 59 anni o più ed è quindi avviato verso il proprio fine carriera.

Da un’indagine condotta dall’American Association of Equine Practitioners (AAEP), la popolazione studentesca statunitense – in molti casi poco motivata dal complicato mondo dei cavalli – è composta per l’80% da donne e per il 20% da uomini, mentre nella pratica clinica si passa al 53% di donne e al 47% di uomini. Attualmente, soprattutto in considerazione delle distanze, così come accade già in Australia, anche in veterinaria si sta giocando la carta della telemedicina. Ma non è detto che i proprietari più attenti si accontenteranno di una visita da remoto per i propri cavalli…

Tags: analfabetismo funzionale formazione medicina test d'ingresso universita veterinari veterinaria
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