L’intervista che si legge di seguito non è recente ma risulta ugualmente molto interessante per i contenuti che propone, in particolare nel momento in cui il completo azzurro volge lo sguardo al Campionato d’Europa in programma il prossimo fine settimana a Blenheim, in Gran Bretagna.
Questa intervista è stata pubblicata nel dicembre del 2009 sulle pagine cartacee di Cavallo Sport (allegato di Cavallo Magazine) a seguito della straordinaria impresa compiuta quell’anno da Juan Carlos Garcia (nato nel 1967 in Colombia, italiano nello sport dal 2003 ma residente nel nostro Paese dall’inizio degli anni Novanta), vale a dire la conquista della medaglia d’argento a squadre nel Campionato d’Europa sia di salto ostacoli (su Hamilton du Perhet) sia di completo (su Iman du Golfe) a un mese di distanza tra i due risultati. Un successo davvero sensazionale, poiché Garcia è l’unico atleta nella storia dello sport equestre capace di vincere una medaglia nel Campionato d’Europa delle due specialità nello stesso anno: a Windsor il 28 agosto in salto ostacoli, a Fontainebleau il 27 settembre in completo.
Lei si è reso conto di questo straordinario record?
«Al momento no, non ci ho proprio pensato. Cioè, sono sincero: in realtà non lo sapevo… Ma poi a Fontainebleau è stata la prima cosa che hanno detto i giornalisti delle televisioni francesi. E io l’ho saputo così».
Ha un significato particolare per lei questa impresa?
«Ovviamente sì. Soprattutto perché ho fatto molta fatica per ottenere questo risultato, in particolare in completo».
Ma al completo inteso come specialità come è arrivato?
«L’idea mi è sempre piaciuta. E in più io da tempo sto al Gese, a Bologna, che è una scuderia naturalmente più predisposta al completo che al salto ostacoli. Ma al di là di ciò il mio obiettivo è quello di diventare un vero uomo di cavalli, e credo che per questo non ci si debba rinchiudere dentro una specialità piuttosto che un’altra: bisognerebbe saper fare qualunque cosa a cavallo, più o meno bene a seconda dei casi, è chiaro, ma comunque qualunque cosa. Io ho giocato a polo, ho corso in pista… Del resto basta considerare anche i grandi dell’equitazione italiana: i fratelli d’Inzeo, Graziano Mancinelli, tutti i campioni di quelle generazioni provenivano da una formazione tecnica che spaziava dal salto al completo, dalle corse in piano a quelle in ostacoli, tutto. Personalmente, però, quello che più mi piace e appassiona è proprio il completo».
Anche più del salto?
«Beh, in effetti è difficile da dire… Il fatto è che un concorso in completo ti assorbe completamente dall’inizio alla fine senza un solo attimo di sosta: ogni giorno una prova, le visite veterinarie… Ecco, per esempio mi sono reso conto di quanto siano difficili le visite veterinarie, veri e propri impegni, non come in salto ostacoli: in completo devi essere molto bravo anche nel presentare il cavallo a piedi… Diciamo che il completo è una specialità che insegna ad approfondire di molto il rapporto con il cavallo».
L’esperienza maturata in completo si è rivelata utile in salto ostacoli?
«Sicuramente molto nel lavoro in piano. È più vero il contrario, però. È l’esperienza in salto ostacoli che mi ha aiutato molto in completo, visto che anche in completo oggi come oggi i percorsi sono diventati molto tecnici».
Quindi è più facile per un cavaliere di salto fare completi, piuttosto che per un cavaliere di completo fare gare di salto ostacoli?
«Sì, in generale credo di sì. Ma è vero comunque che anche l’esperienza di completo serve in salto. Oggi in salto ostacoli è tutto talmente calcolato, misurato, confezionato che a volte si vedono cavalieri bravissimi ma completamente incapaci di reagire all’imprevisto durante la gestione del percorso. Qualche cross in questo senso fa molto bene… ».
Psicologicamente ha trovato difficile seguire due eventi così importanti a distanza ravvicinata?
«Sì, direi di sì. Poi ciascuna gara ha proposto difficoltà specifiche. Nel completo da questo punto di vista la cosa più impegnativa è stata la prova di dressage. È un gran peccato, avrei potuto vincere anche una medaglia individuale e se non ce l’ho fatta è stato proprio per mancanza di giusta concentrazione nella prova di dressage. Ho perso tutto lì. Proprio per deconcentrazione. Ma non è così facile come sembra: questa ripresa di dressage la maggior parte dei cavalieri di completo la stava provando da sette/otto mesi, mentre io l’ho fatto quasi solo in gara lì a Fontainebleau. Perché poi in tutto questo, nella preparazione all’evento cioè, bisogna metterci dentro anche la trasferta allo Csio di Calgary in Canada, che sono altri dieci giorni di impegno. E io sono arrivato a Fontainebleau direttamente da Calgary. Insomma, non è stato facile».
Pensa di continuare a dedicarsi al completo?
«Sicuramente. Con un minor numero di cavalli, però. Inizialmente ne ho messi insieme un notevole gruppo per poter aumentare rapidamente la mia esperienza: ne ho impegnati sei, e sei cavalli da lavorare in completo sono tanti, ci vuole una quantità di tempo enorme. Adesso voglio ridurre a due o tre al massimo. Tra quelli del completo e quelli dal salto… No, voglio ridurre e fare cose più mirate».
Mirate a grandi gare?
«Sì, adesso con Iman du Golfe vorrei puntare al Campionato del Mondo, l’obiettivo è quello».
Quindi al mondiale potrebbe gareggiare sia in salto sia in completo…
«Eh… per il salto non è così facile, però potrebbe essere, sì, mi piacerebbe moltissimo. Ma in ogni caso il mio vero traguardo, il mio vero obiettivo anche per il completo sono le Olimpiadi di Londra».
Ha avuto riconoscimenti importanti dopo queste due medaglie?
«Sì, un sacco di complimenti… Però, parlando di completo, trovo che non sia giusto che un cavaliere italiano abbia un allenatore francese, un proprietario francese… e anche un grande aiuto da parte della federazione francese. Ecco, mi piacerebbe prima o poi arrivare ad avere anche proprietari italiani. Speriamo che adesso grazie a questi nostri risultati a Fontainebleau e a Windsor ci venga data un po’ più di fiducia… che a qualcuno venga voglia di investire un po’ di più su di noi in termini sia di risorse sia di entusiasmo».
Quale delle due medaglie le ha dato più soddisfazione?
«Entrambe, ovviamente, è difficile fare una classifica. Di sicuro quella del completo è stata più sofferta. Quella del salto un po’ meno, io ero davvero certo che l’avremmo vinta. So che può sembrare facile dirlo a posteriori, ma noi ci siamo fatti delle foto con delle medaglie finte già due settimane prima di Windsor! Eravamo proprio convinti: almeno del bronzo. E avremmo potuto vincere anche l’oro. Dopo Dublino (vittoria della squadra azzurra nella finale della Top League di Coppa delle Nazioni, n.d.r.) eravamo sicuri di una medaglia. Nel salto siamo stati una squadra veramente affiatata, convinti, consapevoli, decisi. Non è stato solo bello vincere la medaglia: è stato bello il modo in cui ci siamo arrivati».
Invece nella squadra di completo si è inserito bene? Il mondo del completo la vede come un estraneo o come una parte di sé?
«Mah… Il fatto è che il completo è una specialità del tutto diversa dal salto ostacoli anche in termini di vita vissuta durante un evento. Quando hai un cavallo in completo è come averne dieci in salto ostacoli: inizi al mattino prestissimo a far camminare il cavallo, devi vedere tre o quattro volte il cross, devi vedere come sta il cavallo dopo il cross, devi fare mille prove nel dressage… il tempo che stai lontano dal cavallo è ridottissimo. E quindi è ridottissimo quello che puoi dedicare alla condivisione con gli altri, allo stare insieme. Ma io in effetti sono un po’ nuovo: direi che l’ambiente del completo mi vede un po’ come un estraneo, ma io ho iniziato da poco, è giusto che sia così, sono l’ultimo arrivato. Poi a pensarci bene con i miei compagni di medaglia ho fatto solo la gara di Fontainebleau… E poi bisogna dire che in completo già tre o quattro gare in un anno sono tante, non è come in salto ostacoli che ogni fine settimana siamo in concorso sempre tutti insieme».
Ma qualcuno in completo, vista la sua bravura e la sua esperienza in salto ostacoli, le ha chiesto mai qualche consiglio, qualche aiuto?
«Sì, però quasi più per il cross che per la prova di salto. In effetti in molte gare io sono rimasto netto nel tempo, spesso e volentieri riesco a togliere un tempo di galoppo nelle linee. Oggi i percorsi di cross moderni assomigliano sempre di più a quelli di salto ostacoli: molte linee e combinazioni ravvicinate, proprio come accade in salto. E ostacoli dal fronte stretto. In cross però ci vuole anche molto istinto e convinzione: lì dubbi non ne devi avere… ».
Fisicamente parlando la impegna di più un completo o un salto ostacoli?
«Completo, non c’è dubbio. Anche perché io non possiedo ancora l’abitudine che ho nel salto ostacoli. E poi perché ci vuole un grado di concentrazione infinitamente maggiore: pensi solo cosa può significare dover tenere in mente tutta una ripresa di dressage, poi un percorso di cross con trenta salti sparsi in un bosco per dodici minuti… Io a questo non sono ancora molto abituato. Ma credo che con impegno e dedizione, soprattutto nel dressage, io potrò migliorare di molto: e magari arrivare prima o poi anche a una medaglia individuale».