Albin, la favola del brutto anatroccolo

Ecco la storia sorprendente di un cavallo che ha regalato a Juan Carlos Garcia e a tutti i tifosi del salto ostacoli azzurro emozioni indimenticabili…

Juan Carlos Garcia in gara su Albin (ph. Archivio FISE)

Bologna, sabato 31 ottobre 2020 – Allora, sedetevi in poltrona, chiudete gli occhi e fate questo sogno. Grande concorso internazionale indoor, grandi cavalieri e grandi cavalli in gara. Tribune gremite: cinquemila spettatori, non un solo posto libero. Atmosfera delle grandi occasioni: bandiere, musica, colori sfolgoranti, display luminescenti, piante, fiori, decorazioni. Cerimonia di premiazione della gara più importante della giornata: loro, i vincitori, cavallo e cavaliere, sono lì in campo davanti a tutti gli altri, e gli altri sono Ludger Beerbaum, Meredith Michaels, Marco Kutscher, Jessica Chesney… Arriva il momento, eccolo: sale la bandiera tricolore e insieme si sciolgono le note dell’inno di Mameli. Dalle tribune si alza un boato terrificante: ma non sono solo urla di gioia, no. Pian piano si riesce a distinguere chiaramente: la gente, il pubblico, tutti gli spettatori si alzano in piedi e cantano, cantano l’inno d’Italia (è proprio un sogno: quando mai si è sentito a un concorso ippico il pubblico cantare l’inno d’Italia?). Il cavaliere in campo a capo scoperto guarda la bandiera, guarda il pubblico e piange di commozione. Il cavallo sta lì con le orecchie ritte e lo sguardo fiero, consapevole di essere protagonista assoluto. Finita la musica il canto del pubblico si trasforma in un applauso fragoroso che riempie il padiglione in ogni spazio. È un trionfo.

Bene, un bel sogno, vero? Ma non è un sogno: è realtà. Tutto questo è realmente accaduto, proprio come lo si è raccontato e descritto: il concorso, la gara, la bandiera, l’inno, il canto, le lacrime… Per la precisione è accaduto a Verona sabato 10 novembre 2007: in campo Juan Carlos Garcia insieme ad Albin. Vincitori della gara più importante del secondo giorno del concorso ippico internazionale di Fieracavalli.

Quell’emozione, quella gioia, quel tripudio sono nati di certo dalla strepitosa vittoria di quella gara, ma sono stati soprattutto l’omaggio a una carriera formidabile. La carriera di un campione straordinario: come lo può essere un cavallo che a 19 anni entra nel barrage di una gara da 1.50 in uno dei concorsi internazionali più importanti del mondo e annienta gli avversari con un percorso che sembra un turbine di energia incontenibile.

Del resto che Albin non sarebbe stato un cavallo normale lo si poteva intuire fin dall’inizio, dal momento della sua nascita nel 1988: i suoi genitori non rappresentavano certo una famiglia classica per il salto ostacoli di alto livello, soprattutto in un Paese – la Francia – che ha sempre fatto dell’allevamento del cavallo da sport un proprio fiore all’occhiello. Se il papà di Albin, Hidalgo de Riou, è infatti uno stallone prestigioso (nato nel 1973 da Uriel x Herquemoulin) padre di molti ottimi soggetti, la mamma non solo è una illustre sconosciuta, ma per giunta trottatrice. Vale la pena di ricordare qual è stato l’unico altro grande cavallo francese da salto ostacoli che ha avuto un trottatore come genitore? Il campione olimpico di Seul 1988 (guarda caso proprio l’anno della nascita di Albin): Jappeloup. Anche lui un bell’esempio di splendida anormalità…

Albin inizia la sua carriera sportiva in Francia senza alcun clamore. Anzi, pare un cavallo di nessun pregio, perché le poche qualità che pur tuttavia dimostra – forza, atleticità, scatto – vengono impietosamente vanificate da questo retaggio materno molto ingombrante e apparentemente inamovibile: la rottura al trotto, la mancanza di equilibrio generale, l’incapacità di cambiare il galoppo in azione… A 9 anni Albin sembra ormai addirittura troppo anziano per poter sperare in qualche significativo miglioramento. A che serve un cavallo del genere? Troppo difficile per un dilettante o per un ragazzino alle prime armi, inutilizzabile per un cavaliere di alto livello, inutile per l’allevamento perché castrone (ma se anche fosse rimasto intero quella genealogia bislacca di certo non lo avrebbe favorito), fuori discussione per le passeggiate data la sua nevrilità… Che fare? Il da farsi lo ha bene in mente Juan Carlos Garcia, abituale frequentatore della scena francese e dunque conoscitore esperto della situazione relativa al parco cavalli d’Oltralpe. Garcia compra Albin in società con un proprietario italiano (Carlo Fioravanti) perché pensa di poter andare oltre quei limiti evidenti per chiunque: ritiene che gettare via quanto il cavallo di buono aveva comunque dimostrato fino a quel momento sarebbe stato sciocco senza una ulteriore prova d’appello. Un appello che certo non si sarebbe potuto consumare in quattro e quattr’otto, ovviamente: ecco perché Carlos si arma di certosina pazienza e inizia il lavoro su Albin in un primo momento lasciando il cavallo in Francia per un po’ di tempo nelle scuderie di Christian Hermon. Quando Albin arriva in Italia Garcia monta per la scuderia di Giordano Bernabé, il quale rileva la metà del baio francese lasciando l’altro 50% al suo cavaliere (e poi quando cavaliere e proprietario si separeranno ci sarà una breve ma intensa diatriba circa il destino del cavallo: Bernabé avrebbe voluto ritirarlo dall’agonismo rilevando il 50% di Garcia, Garcia avrebbe voluto acquisirne l’intera proprietà e continuare l’attività agonistica: e finirà proprio così, come ben sappiamo).

Inizia dunque questa meravigliosa storia: se Garcia per Albin è stato una sorta di principe azzurro, è ben vero che Albin per Garcia è divenuto il cavallo più importante della carriera. Quando si intreccia la loro unione entrambi non sono ciò che diventeranno insieme: Carlos è già ottimo cavaliere ma ancora privo di grandi risultati; Albin è niente più che una speranza, pur se in età già molto matura. Nel 2000 affrontano la loro prima stagione internazionale, e nel 2002 in luglio la consacrazione: vittoria del Gran Premio dello Csi di San Patrignano. Nel 2002: quando Albin ha 14 anni… ! Qualcuno in quel momento avrà anche pensato al classico canto del cigno: invece si è trattato di un inizio. Da lì infatti prende avvio una serie di formidabili prestazioni che ben presto porteranno Carlos e Albin a divenire il più importante binomio azzurro di quegli anni (Garcia diventa italiano di passaporto sportivo nel 2003, dopo anni di residenza e lavoro nel nostro Paese). Sono loro insieme la prima coppia azzurra capace di vincere un Gran Premio di Coppa del Mondo dell’Europa Occidentale nella storia del salto ostacoli del nostro Paese (Bordeaux 2006). Sono loro il binomio azzurro capace di conquistare il miglior risultato per l’Italia in una finale di Coppa del Mondo (4° posto a Kuala Lumpur 2006). E ancora loro compongono la squadra azzurra che ottiene il miglior risultato della nostra storia in un campionato internazionale – escludendo le Olimpiadi – prima della medaglia d’argento di Windsor 2009: accade a San Patrignano (ancora San Patrignano!) con il 4° posto dell’Italia nel Campionato d’Europa del 2005, e il loro 6° individuale.

Non sono però i risultati a spiegare cosa davvero sia stato Albin non soltanto per il suo cavaliere, ma anche per tutti noi semplici spettatori. Garcia una volta in un’intervista ha detto una cosa molto bella, riflettendo sulla sua carriera di cavaliere dopo i successi ottenuti con Albin: «Adesso io entro in un barrage e mi sento sicuro, so di poter fare la gara. Poi va come va, però io adesso sento di poter vincere contro chiunque: cosa che prima non accadeva. Puntavo a fare lo zero e se lo facevo ero contento ma magari ero sesto, ottavo o anche più giù. Oggi invece no: oggi io provo a battere il mio avversario, chiunque egli sia». Ecco il merito grandioso di Albin: lui non ha solo vinto gare e saltato ostacoli e galoppato veloce, lui ha fatto sentire forte il suo cavaliere e ha fatto sentire forti tutti noi seduti in tribuna. Forti al cospetto di qualunque avversario. Albin ci ha fatto sentire forti e ci ha regalato bellezza: quel suo galoppo, quei suoi salti, quella sua espressione fiera e intelligente… Quando a Verona nel 2008 c’è stata la cerimonia per il suo ritiro dalla scena agonistica (lui ventenne e pimpante come un puledro) la gente ha pianto, inevitabilmente: e quella incontenibile emozione ci fa capire – allora come oggi – quale sia il motivo per il quale noi tutti amiamo i cavalli e questo meraviglioso sport. Il motivo per il quale noi tutti non potremo dimenticare mai questo straordinario e sorprendente campione, un cavallo che è stato capace di andare oltre limiti apparentemente insuperabili per rendere normale ciò che normale non sarebbe mai stato per chiunque altro. Albin, un cavallo che ha raccontato una storia magnifica: lui adesso se n’è andato, ma quello che ci ha raccontato, quella storia magnifica, è ormai un pezzo della nostra vita.