C’erano una volta…le carrozze di Ferrara

Carrozze che un tempo servivano a far vedere dal vivo forza, possanza, andature e bellezza degli stalloni che servivano le fattrici in Emilia- Romagna

Una carrozza del fu Deposito Stalloni di Ferrara, notare il monogramma sulla carrozzeria - Foto archivio MCM
Ferrara,  6 marzo 2024 –  E ci saranno ancora presumibilmente, da qualche parte: ma chissà dove.

Stiamo parlando delle carrozze in dotazione all’Istituto di Incremento Ippico di Ferrara, già deposito stalloni, fino a che questo gloriosa istituzione è rimasta viva.

Carrozze che un tempo servivano a far vedere dal vivo forza, possanza, andature e bellezza degli stalloni che servivano le fattrici delle varie razze in Emilia- Romagna.

Stalloni Bardigiani, Haflinger, Cavallo Agricolo Italiano da tiro pesante rapido, Lipizzani che in compagnia di Purosangue Inglesi. Trottatori di diverse schiatte e altri utili padri riempivano di vita e nitriti quelle vecchie scuderie.

Da anni si cercano invano queste carrozze, che non si sa dove siano più.

In compenso, del tutto casualmente, chi scrive queste magre righe ha ritrovato in un vecchio hard-disk le foto che vedete a corredo di questa nota: sono loro, le carrozze di Ferrara.

E anche i loro fanali, e i timoni, e i bilancini: l’hard-disk era rimasto bloccato nel 2012, quindi le fotografie non possono essere posteriori.

Chi le ha viste queste carrozze?

Erano una collezione davvero notevole.

Non sappiamo chi è l’autore, nel caso siamo pronti a concedere il credit.

Di seguito un brano di un nostro vecchio articolo sulla chiusura dell’Istituto di Incremento Ippico di Ferrara.

…Poi le carte, le informazioni sedimentate in decenni di lavoro: l’Archivio della regione Emilia-Romagna
accoglierà la mole di documenti relativi a decine e decine di generazioni di cavalli. Mentre i begli
attacchi ancora custoditi nelle rimesse dell’Istituto saranno affidati probabilmente al Museo delle
Carrozze di Piacenza (ma è arrivata richiesta anche una richiesta dal Museo comunale di
Migliarino). Le attrezzature per l’inseminazione donate all’Università di Bologna. Ma è
un’opzione possibile solo perché si tratta di un dono fatto a scopo di studio e ricerca: tutto il
resto, cavalli compresi, è stato messo all’asta. Già, l’asta: l’unico strumento previsto dalla legge
per alienare i beni di proprietà dello Stato. Che siano vecchie scrivanie, asini Romagnoli o
stalloni di Cavallo Agricolo Italiano da tiro pesante rapido non ha importanza; i responsabili della
struttura rispondono del loro valore in prima persona davanti alla Corte dei Conti e non hanno
nessuno spazio di manovra. L’asta è stata indetta con prezzi alti di partenza appositamente per
evitare l’attenzione dei macellai e dei commercianti. Quattro cavalli e due asini hanno trovato
una nuova casa ma se avete voglia di acquistare uno degli altri loro colleghi fatevi sotto. Tutti i

soggetti invenduti, nel rispetto della normativa vigente sull’alienazione dei beni pubblici,
potranno finalmente essere venduti con trattativa privata a chi ne farà richiesta.
Il dottor Barchi, Responsabile del Servizio Produzioni Animali della regione Emilia-Romagna, è
una persona calma, limpida, quello che la gente emiliana (molto più facile alla critica pungente
che al complimento) definisce un galantuomo. Eppure, per ironia della sorte, è lui che deve
sostenere la parte più amara della faccenda. Riceve critiche, stupori, esclamazioni di
disappunto e anche articoli lamentosi come questo che state leggendo oltre ad una serie infinita
di domande. Prima fra tutte: cosa succederà adesso? «Continueremo a svolgere il nostro
compito istituzionale, che è quello di aiutare gli allevatori locali a mantenere vive le razze
autoctone fornendo loro supporto tecnico e aiutandoli nell’acquisto di buoni stalloni, i più giusti
per le loro cavalle: il Cavallo Agricolo Italiano da tiro pesante rapido, il Delta Camargue, il
Bardigiano, l’asino Romagnolo, il cavallo Appenninico e il cavallo del Ventasso sono un
patrimonio zootecnico importante non solo dal punto di vista genetico e in alcuni casi storico.
Sono un modo per tenere gli allevatori sul territorio e la terra, il paesaggio hanno bisogno di
loro, di gente che ricavi il suo pane da attività che contemporaneamente permettano di
mantenere vivi e curati terreni altrimenti destinati all’abbandono, che non provocherebbe
soltanto una perdita per l’economia locale ma aprirebbe le porte a quei processi di degrado
ambientale che impiegano anni ad evidenziarsi ma poi sono inarrestabili, come l’erosione del
suolo in collina e la maggior vulnerabilità agli incendi dei boschi abbandonati a se stessi».