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Home | Cultura equestre | Guillaume Henry, parte seconda: equitazione e dibattito ecologico

Guillaume Henry, parte seconda: equitazione e dibattito ecologico

L’equitazione occupa un posto prezioso nel dibattito ecologico contemporaneo: parola di Guillaume Henry

29 Settembre 2025
di Redazione Cavallo Magazine
Guillaume Henry, parte seconda: equitazione e dibattito ecologico

BRITAIN AUTUMN

Grazie all’amico Giovanni Battista Tomassini pubblichiamo la seconda parte dell’articolo di Guillaume Henry* che tocca un argomento di grande attualità: quello dell’ecologia, così strettamente connessa alla natura del cavallo e alla pratica dell’equitazione.

Buona lettura!

L’equitazione porta con sé una dimensione profondamente civica.

Prendersi cura di un cavallo significa riconoscere che l’essere umano vive in interdipendenza con gli altri viventi e con l’ambiente.

Per questo l’equitazione occupa un posto prezioso nel dibattito ecologico contemporaneo.

Il cavallo, per la sua stessa natura, ci ricorda che la terra non è solo una risorsa da sfruttare, ma un ambiente da condividere e da preservare.

Occuparsi di un cavallo significa preoccuparsi anche delle sue condizioni di vita, della qualità dei pascoli, dell’acqua e dell’aria: in altre parole, sviluppare una coscienza ecologica.

Curare un cavallo equivale, indirettamente, a prendersi cura di un intero ecosistema.

Il ritorno della trazione animale illustra bene la pertinenza ecologica di questa relazione.

I cavalli rispettano i suoli meglio delle macchine pesanti, riducono l’uso di combustibili fossili e si inseriscono in una logica di produzione sostenibile.

Offrono risposte concrete a bisogni locali di fronte al cambiamento climatico. Sono, in un certo senso, un’alternativa moderna al “tutto meccanizzato” e ci spingono a ripensare il nostro rapporto con l’energia e con la produttività.

Anche l’equitazione come attività sportiva o di svago contribuisce a questa riflessione, poiché si svolge spesso a contatto diretto con la natura.

Uscite all’aperto, escursioni, competizioni di campagna invitano a riscoprire i paesaggi, a rallentare, a riconnettersi ai ritmi stagionali.

Montare a cavallo significa vivere un’esperienza di movimento non motorizzato che valorizza la lentezza e propone un altro rapporto con il tempo. In un mondo frenetico e saturo di tecnologia, questo è già un gesto ecologico.

Il cavallo ci invita anche a ridefinire il posto del vivente nelle nostre società.

Se a lungo l’immaginario collettivo si è fondato sul dominio e sullo sfruttamento dell’animale, l’equitazione contemporanea tende a valorizzare invece partnership e rispetto.

Questa visione risveglia le coscienze e alimenta un pensiero ecologico etico: vivere con gli altri esseri viventi, e non contro di loro. Il cavallo diventa simbolo di una possibile riconciliazione tra cultura umana e mondo naturale, tra aspirazione alla performance e ricerca di equilibrio.

Infine, le attività equestri contribuiscono al mantenimento di paesaggi vivi e di spazi aperti, essenziali per la biodiversità. I pascoli necessari all’allevamento equino costituiscono habitat favorevoli per insetti, uccelli e piante locali. Mantenendo questi ambienti, gli allevatori contribuiscono alla tutela di ecosistemi ricchi e vari, spesso minacciati dall’urbanizzazione e dall’agricoltura intensiva.

Una prassi culturale e politica

Più in generale, la pratica equestre ci interroga su come le società concepiscono il loro rapporto con il vivente e sul posto che riservano agli animali.

Montare a cavallo non è soltanto un gesto tecnico: significa partecipare a una relazione millenaria che ha plasmato la nostra storia, i nostri paesaggi e il nostro immaginario.

Sul piano culturale, l’equitazione resta un’arte di vivere che unisce rigore e sensibilità, tecnica ed estetica. Attraverso di essa si trasmettono saperi, tradizioni e valori che alimentano le identità collettive.

Sul piano politico, solleva domande fondamentali: quale posto vogliamo dare agli animali nello spazio sociale?

Vogliamo restare in una logica di sfruttamento o muoverci verso un rapporto di partenariato?

Il cavallo, che non è riducibile né ad animale da reddito né ad animale da compagnia, occupa una posizione singolare e costringe a ripensare i confini consueti tra uomo e vivente. Questa ambiguità lo rende simbolo della transizione che le nostre società devono intraprendere per abitare diversamente il mondo.

Essere cavaliere significa dirigere un cavallo, ma questa guida non si fonda sulla forza: richiede dialogo e fiducia.

È un modello relazionale basato sull’autorità condivisa, non sulla costrizione, che apre una riflessione sul tipo di leadership che le nostre società desiderano.

Il cavallo ispira un’altra forma di governo, in cui efficacia e rispetto vanno insieme, e l’influenza nasce dall’armonia più che dal dominio.

Praticare l’equitazione significa anche partecipare a una cultura comune che interroga le nostre scelte collettive.

Essa incarna l’equilibrio da trovare tra sport, arte, economia, territorio ed ecologia.

Non è neutra: implica una visione di società, un modo di vivere insieme e di condividere il mondo con il vivente. In questo senso, l’equitazione diventa una prassi culturale e politica, capace di legare il gesto quotidiano a una riflessione più ampia sulla civiltà che vogliamo costruire.

Conclusione

L’equitazione dimostra, in tutte le sue dimensioni, che non può essere ridotta a un semplice sport.

È una scuola di responsabilità e di cooperazione, un luogo di incontro e inclusione, un pilastro dell’economia locale, un’alleata della transizione ecologica e un’eredità culturale e politica che risuona ancora oggi.

Il cavallo, compagno dell’uomo da millenni, continua a incarnare una visione del mondo fondata non sul dominio, ma sull’alleanza e sul rispetto.

In questo senso, praticare l’equitazione significa scegliere un modo di vivere e di abitare la società, in cui l’equilibrio tra uomo, animale e natura restituisce senso e bellezza al nostro essere umani.

È un vero progetto di società, capace di tessere legami tra passato e futuro, tra tradizione e innovazione, tra individuo e collettivo.

In un’epoca in cui i nostri stili di vita e i nostri modelli di sviluppo devono reinventarsi, l’equitazione ci ricorda una verità essenziale: ripensare il futuro significa anche reimparare a camminare — e, talvolta, a galoppare — accanto al vivente.

(*) Istruttore d’equitazione formatosi a Saumur, scrittore, divulgatore ed editore, Guillaume Henry è presidente della Mission Française pour la Culture Équestre, l’organismo creato dalla Federazione Equestre Francese e dal Cadre Noir, per promuovere lo sviluppo della cultura equestre di tradizione francese, inscritta nel patrimonio Unesco nel 2011. È autore di numerosi articoli sulla tecnica e la storia dell’equitazione, così come di una ventina di libri dedicati all’arte equestre, tra i quali François Baucher. L’uomo, il metodo (illustrazioni di Marine Oussedik), edito in Italia da More than a Horse.

Tags: guillaume henry parte seconda
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